New Kind Of Neighborhood
[Chiavi, orologio, panino]
«Te l'ho detto! Ancora un paio di giorni e avranno finito di sistemarla. La pittura sulle pareti non si asciuga in un giorno, Tony.»
Tony sospira. Alza la spalla per sorreggere il cellulare senza usare le mani e, infilando una mano nella tasca del bomber nero, inizia a rovistare all'interno.
«Happy, doveva essere pronta già ieri. Non posso rimanere da Bruce tutta la settimana, o mi verrà un esaurimento nervoso. Lo sai che quello ha pazienza inesistente e io ho paura per la mia incolumità», replica.
«Sono più convinto che sei tu che lo farai venire a lui. Tony, questa è la prassi quando si decide di dare una rinfrescata alla casa; sapevi che i tempi potevano variare, no? Abbi pazienza e tra un paio di giorni tornerai a casa tua. Più di questo non posso fare.»
Tony ridacchia e infila anche l'altra mano nella tasca, siccome nell'altra non ha trovato niente di ciò che cercava. «Be', potresti, in verità! Magari mettiti a soffiare sopra le pareti e vedrai che si asciugherà prima. O usa un phon, un ventilatore, un ventaglio, ma risolvi questa cosa al più presto. Se resto qui un giorno di più mi ritrovi morto in un fosso e non è decisamente la mia prospettiva di vita migliore.»
«Fare i capricci non accelererà le cose», sospira Happy dall'altra parte della cornetta e Tony un po' ama spazientirlo; è uno dei suoi hobby preferiti. «Sii paziente, per una volta in vita tua, e non pressarmi.»
«D'accordo, d'accordo. Come vuoi. Ci sentiamo domani, vedi di darmi buone notizie», lo minaccia e, quando Happy chiude la comunicazione senza nemmeno salutarlo, scuote la testa divertito. Non ha problemi a rimanere da Bruce, visto che è praticamente sempre impegnato in laboratorio, ma quel soggiorno in una casa che non è la sua comincia a pesargli. È vero che sono amici da una vita, che per lui probabilmente farebbe lo stesso – non prima di averglielo fatto pesare solo perché lui è Tony Stark e deve sempre comportarsi come se tutto fosse un peso troppo grande da sostenere, ma preferirebbe di gran lunga ritrovarsi nel suo salotto ben arredato da un architetto visionario, davanti alla sua TV grossa quanto lo schermo di un cinema, e con la sua AI intuitiva che prende ordini senza fare un fiato; non come Happy, che si lamenta in continuazione delle sue pretese e, certe volte, lo lascia pure vincere, dandogli ragione. Ma solo perché non vuole attentare alle sue coronarie, dato che i suoi ultimi elettrocardiogramma hanno dimostrato che ha qualche problema a gestire l'ansia. E Tony sa di essere la sua ansia fatta persona. Un po' ne va fiero.
Percorre il viale alberato di quella zona così tranquilla, che dopotutto non gli dispiace affatto. Ogni quattro ore passa un'auto, e la notte non vola una mosca. Bruce vive in una villetta in cortina, con una scalinata di qualche gradino che porta ad una veranda e poi all'ingresso. Il giardino è ben curato, anche se Tony non avrebbe mai detto che l'amico di infanzia fosse un pollice verde. Una sorpresa anche per lui. Sale le scale, mentre si tasta tutte le tasche – ancora quelle della giacca, poi quelle dei pantaloni, anteriori e posteriori, e continua a non trovare le chiavi di casa; quel mazzo doppio che Bruce, senza alcuna fiducia, gli ha comunque lasciato, insieme ad una serie di noiosissime raccomandazioni. Non perderle, non scordarle dentro casa, non copiarle, non darle agli sconosciuti, e altre cose del genere, segno che deve avere una grande bella considerazione della sua maturità.
Infila le mani nel borsello che porta a tracolla, arcisicuro di non averle mai infilate lì dentro. Non ha quel ricordo, perché non ha mai avuto il vizio di farlo nemmeno con le sue. Le tasche sono più comode e raggiungibili, il borsello è solo un peso in più che ha il solo compito di sostenere i documenti e il portafoglio. Semplicemente le chiavi non ci sono.
Cerca di fare mente locale, mentre gli occhi volano sullo zerbino, che alza nella speranza di trovare l'ennesima copia; ovviamente non c'è. Guarda sotto ad un vaso, in mezzo ai tulipani sul prato, nel tronco di un albero, sul davanzale della finestra e sotto una candela. Niente da fare. Le chiavi non ci sono; e nemmeno Bruce. Non sa nemmeno che orari faccia, non li ha mai memorizzati perché non gli è mai interessato, ma ora come ora vorrebbe averlo fatto.
Si passa una mano tra i capelli, prima di bussare, sperando che magari il dottor Banner sia rincasato prima, anche se non vi è traccia della sua auto.
«Bruce, accidenti a te, ho scordato le chiavi dentro. Apri, per favore!», esclama, ma come previsto non ricevere risposta. Grugnisce esasperato. «Dottore, apri questa porta o sarò costretto a sfondarla!», continua, ma ancora nessuna risposta. Si volta sconsolato verso le scale e, sorreggendosi al corrimano, flette le ginocchia per sedersi – non prima di aver mormorato un «oplà», siccome non ha più vent'anni – ma, nel fare quel movimento, l'occhio gli va inesorabilmente verso la casa accanto – quella della vicina affascinante – e quello che sta bussando alla porta con uno zaino sulle spalle e il volto tirato dalla delusione, deve essere suo figlio – o suo nipote, ha un vago ricordo che Bruce gli abbia detto così.
«May, non è divertente. Apri la porta!», esclama il ragazzo, continuando a bussare e, ad un tratto, si volta forse sentendo il suo sguardo addosso. «Senta, mi scusi... sa forse che ore sono?»
Tony alza un sopracciglio, poi un dito, che si punta addosso come a dire «Parli con me?», quello annuisce e, sollevando il polso, controlla l'orologio. «Dieci alle quattro.»
«Grazie», dice quello, atono, poi ricomincia a bussare. «May, il giovedì pomeriggio sei a casa, lo so! E lo scherzo sta durando anche troppo!»
«Ragazzo!», lo chiama Tony, e quello si volta di nuovo. Lui si alza in piedi e, incrociando le braccia sul corrimano delle scale, si sporge verso di lui. «Oggi è venerdì. Venerdì pomeriggio.»
Il giovane strabuzza gli occhi e, allargando le braccia, sembra che gli sia appena crollato il mondo addosso. «Cosa? Come sarebbe che oggi è venerdì? Io non ho preso le chiavi di casa, sicuro che avrebbe... oh, santo cielo. Mi toccherà aspettare che torni», si lamenta, e si siede lui sulle scalette di casa, con i gomiti puntellati alle ginocchia e il volto tra le mani; le guance gonfie. Un ciuffo ribelle che gli cade sul viso deluso, ma due occhi all'argento vivo che Tony può veder brillare persino da quella distanza. Rimane con le braccia incrociate al corrimano, vi poggia il mento sopra e lo guarda con un sorrisetto.
«Quando torna?»
«Prego?», chiede il ragazzo, voltandosi a guardarlo tra le sbarre della ringhiera che lo copre fin sopra ai capelli, ora che si è abbassato, sebbene non gli è sembrato poi così alto.
«Tua madre. Quando ritorna?»
«Mia zia», lo corregge e, con un sospiro, si sfila lo zaino dalle spalle e lo poggia tra le gambe. «Verso le dieci, credo. Il venerdì fa il turno lungo.»
«Oh, tua zia!», esclama Tony, ed è quasi trionfo nel aver quasi ricordato quel dettaglio che Banner gli aveva suggerito. «Dunque dovrai aspettare quasi cinque ore che ritorni?»
«Una cosa del genere», sbuffa, divertito. «E lei? Aspetta il dottor Banner? Non credo sia in casa.»
«Sono ospite a casa sua per qualche giorno. Stanno dipingendo casa mia e mi ha preso sotto le sue cure finché non finiranno. Conosci il dottore?»
«Ogni tanto lo stalkero. Studio al MIT, scienze biologiche, e ogni tanto facciamo qualche chiacchierata qui in veranda, come stiamo facendo io e lei. Le avrà parlato del vicino invadente, immagino. Be', ce l'ha davanti!» Si punta un dito ironicamente orgoglioso addosso, gioioso.
Tony ride e anche l'altro lo fa. Gli scalda un po' il cuore. «No, non mi ha parlato mai di te. Insomma studi al MIT, quindi sei un genio?»
«Ci provo», sorride lui, alzando gli occhi al cielo, imbarazzato. «Sono Peter, comunque. Peter Parker.»
«Tony Stark», si presenta lui, alzando una mano per salutarlo. «Sai più o meno quando tornerà il dottore, qui? Non vorrei restare sulla soglia a fare la fotosintesi, anche se tra poco calerà il sole e rischierò di morire di freddo.»
Peter alza le spalle, «Di solito intorno alle nove o giù di lì, ma dipende sempre da quanto lavoro gli si accavalla in laboratorio. Siamo destinati ad attendere qui, signor Stark.»
«Ehi, la formalità mi mette a disagio. Chiamami Tony e... e, be', se questa è la prospettiva mi toccherà rassegnarmi alla morte. Ho una fame da lupi.»
«A chi lo dice...», sbuffa il ragazzo, divertito, alzandosi in piedi anche lui, imitandolo in quella posa con le mani incrociate sul corrimano. Inconsapevolmente adorabile.
«Allora ti faccio una proposta. Invece di aspettare qui, seduti su dei gradini gelati a farci il culo quadrato, ti invito a cena a mangiare un cheeseburger, ti va?»
Peter mette su una pokerface invidiabile, poi alza un sopracciglio e lo guarda sospettoso. Il sole inizia a calare e il tempo scorre con una lentezza quasi snervante. Non pretende che gli dica di sì ma, visto che sono nella stessa situazione paradossale, gli sembra carino invitarlo a mangiare qualcosa, invece di lasciarlo lì ad agonizzare mentre aspetta sua zia. O almeno questo è quello che pensa. Nel suo inconscio preme l'idea che Peter sia dannatamente adorabile e che, alla parola "MIT", non può negare che la sua curiosità abbia fatto un triplo carpiato dalla felicità. Si è laureato lì, molti anni fa, e sa che tipo di cervelli la frequentano, quella facoltà. Peter sembra uno tranquillo, ordinario, insicuro e impacciato, ma ha una parlantina incantevole e due occhi castani che Tony non riesce proprio a fingere di non aver notato. Il MIT lo rende solo più interessante.
«Dice sul serio?»
«Ti sembra una proposta troppo esagerata? Sono stato troppo diretto? Ti ho messo a disagio?»
«No, no. Sto morendo di fame anche io e l'unica cosa a cui riesco a pensare ora è un panino che gronda salsa barbeque ma... è davvero sicuro di voler sfamare uno studente appena tornato dall'università, con uno buco allo stomaco che sembra un cratere lunare e...»
«Sì, sono sicuro. Mi sentirei in colpa a lasciarti qui, mentre sono lì e mi gusto la mia cena. Mi rovinerebbe il pasto, immaginarti qui che soffri, mentre lo stomaco ti brontola e ti pieghi per colpa dei crampi. Non me lo perdonerei, Peter», dice, gagliardo e Peter fa un sorrisetto scettico.
«Oh, certo, lo immagino! Okay... andata! C'è un McDonald's giusto qui vicino o maga-»
«Il McDonald andrà benissimo», annuisce e, dando uno schiaffo troppo entusiasta al corrimano, scende le scale e raggiunge il viale. Poco dopo Peter è lì, di fronte a lui, con le dita strette allo zaino e un sorriso curioso stampato sul viso. Tony gli fa cenno di avviarsi e, annuendo, Peter gli si affianca e iniziano a camminare.
«Non pensi che me ne stia approfittando, ma la sua proposta era allettante e ho davvero una gran fame.»
«Ti ho invitato io, se non avessi voluto non lo avrei fatto», gli dice, alzando le spalle e Peter ridacchia, poi si ferma.
«Comunque stiamo andando nella direzione sbagliata. È per di là», comunica, con un pollice puntato dietro la schiena e Tony piega la testa e lo guarda incuriosito.
«Cerchi di depistarmi? Non sei il primo che lo fa, dunque sono preparato. Ho uno spray al peperoncino contro gli aggressori e non ho paura di usarlo», gli dice e gli punta un dito davanti la faccia, e Peter sobbalza, poi scoppia a ridere.
«È solo la fame, signor Stark! Le giuro che dopo il panino sarò una guida più attenta», dice, poi si voltano e riprendono la loro camminata.
«Tony. Chiamami Tony e dammi del tu, o mi sentirò un matusalemme», sospira.
«D'accordo, Tony. Andiamo, dai!»
Peter è una compagnia piacevole; ne ha la conferma quando quella serata procede e il tempo passa troppo in fretta, per pensare che avrebbero dovuto spenderlo davanti ad una porta chiusa, in attesa di essere salvati. Peter brilla, è frizzante, gli scalda il cuore e le mani – quelle mani che ha sempre, perennemente gelide, per chissà quale motivo. Peter sorride e gli cambia la vita; lo ha fatto in un secondo, quando non ha fatto niente nemmeno per provarci. Ci è riuscito e basta. E continuerà a farlo, anche quando Tony tornerà a casa sua, quando quelle pareti saranno asciutte, e troverà una scusa diversa ogni venerdì per trovarlo fuori casa, solo perché Peter pensa che sia giovedì. O fingerà sempre di crederlo, solo per rivederlo.
Tony sa solo che, per ora, un panino così buono non lo ha mangiato mai in vita sua. Sorride, e tutto sembra migliore.
Fine
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