Capitolo Sei
Sono poche le cose che mi fanno innervosire, sul serio.
Sono una ragazza dalle poche pretese, con una barca di pazienza che metto di fronte a più improbabili situazioni e la maggior parte delle volte basta che mi si mette sul piatto una vasca di gelato per comprarmi anche i futuri figli, ad occhi chiusi.
Però quando accade che, per via di un esigenza fisiologica, sei costretta ad aprire gli occhi, interrompere il bellissimo sogno sul principe azzurro che era in atto nei meandri del tuo cervello, uscire dalla fortezza che è il calore del piumone ed immergerti nel gelo chiamato anche comunemente bagno.
Ecco, io questo proprio non lo sopporto.
E tutto è elevato all'ennesima potenza se ne esci da una mega sbronza della serata prima.
Il dolore alle tempie mi rende difficile aprire gli occhi.
Mi rigiro prima verso un lato, poi nell'altro, rannicchiandomi su me stessa e combattendo inutilmente verso una cosa che so, ha già vinto.
Mi alzo con il busto dal letto e constato felicemente di avere le tapparelle chiuse, permettendomi di vivere ancora per qualche minuto nell'ombra totale.
Ma poi, come ci sono finita in questa stanza?
Ieri sera mi sono lasciata proprio andare, mi dico al ricordo di me e Rush in un certo momento della notte dove analizziamo una pianta cactus nei minimi dettagli, solo perché era l'unica a trovarsi vicino i divanetti dove eravamo poggiati noi e per questo costruimmo cosi una storia in sua onore.
Una storia straziante, tra l'altro.
L'eroe delle piante. Il cactus.
Mi sollevo dal letto mugugnando per il fastidio alla testa e constato, una volta che sposto la coperta dalle gambe, di essere solamente in intimo.
Ispeziono la stanza su ogni superficie e fortunatamente non ci trovo nessuna sorpresa di troppo, cosi raggiungo il sacco con il cambio dei miei vestiti vicino la porta con ancora più calma, contenta di essermela ricordata nelle condizioni in cui ero.
Una volta vestita, mi pettino i capelli con le mani per dargli quel minimo di ordine e non far venire a chi dovessi probabilmente incontrare qui fuori un infarto definitivo.
Raggiungo il bagno senza nessun intoppo, ringraziando i santi di essermi ricordata la strada. Con la scusa mi faccio anche una doccia al volo senza bagnare i capelli, visto che tanto ormai sono sveglia ed è del tutto impossibile che io riprenda il sonno.
A quel punto sono pronta di uscire dal bagno, perfettamente sveglia e profumata.
Il silenzio è sovrano di questa casa, e con la convinzione di essere l'unica sveglia che scendo le scale e mi dirigo verso la cucina.
La cucina che è per l'appunto, occupata da Hunter.
Dannazione.
Faccio per girarmi ma ovviamente vengo intercettata dal colui che crea la mia totale ansia.
«Buongiorno» mi dice con la sua aria arruffata e il sorriso dolce.
Soffre per caso di amnesia il ragazzo?
Forse si accorge della mia faccia da mi.prendi.per.il.culo che si smuove freneticamente i capelli e si rigira verso i fornelli.
«Hai fame? Gli altri ancora dormono, io purtroppo devo lavorare quindi.. pancakes?»
«Buongiorno..ehm si, certo» magari insieme ai pancakes vorrei anche sapere se hai superato il trauma di avermi visto, ieri «muoio di fame» dico invece.
«Bene» dice e rigira un pancakes sul fornello.
«Bene» ripeto.
Poi mi avvicino, perché se non faccio qualcosa la situazione da imbarazzante diventa super imbarazzante e questo non devo permetterlo.
Lo affianco ai fornelli e notando che l'impasto è in realtà solo per una persona decido di prepararne altro. E nel frattempo magari, chiarire il piccolo episodio, un passo alla volta.
«Ehm.. non voglio darti peso di una cosa che può essere la sciocchezza delle sciocchezze, però penso che se ne parlassimo apertamente la potremmo chiarire in cinque minuti e magari dimenticarcene come l'inizio delle più belle amicizie della storia dove posso trovare la farina?»
Ecco, magari non dovevo uscirmene proprio cosi.
Il concetto che avevo di parlarne con calma, non è stato accettato dalla mia lingua.
Lui si è completamente immobilizzato e adesso mi guarda confuso.
«Oh.. si.. cosa hai detto scusa?»
Accetto il calore che mi avvolge l'intera faccia e osservo il top della cucina come se fosse la cosa più bella del pianeta, per evitare che lui noti il rossore sulle guance.
Devo correggermi, e subito anche.
«La farina.. volevo fare altro impasto perché con quello proprio non ne facciamo abbastanza» gli spiego lentamente.
Poi lo guardo.
«E.. volevo dirti che non sapevo fossi tu il ragazzo con la maschera. Si insomma vorrei evitare che tu mi evitassi per questa cosa, se possibile. Non perché mi importi molto, sia chiaro, ma insomma, con James di mezzo sarebbe, beh, imbarazzante» e rido come un isterica «Quindi la farina?»
Bruciatemi viva, vi prego.
Lo sento ridere e chiudo gli occhi per non imprecare come uno scaricatore di porto.
«Ok, allora..» mette un pancakes sul piatto di fianco e si gira a guardarmi divertito.
E' sbagliato che, anche in questa situazione, con tutto il macello e la brutta figura che ho fatto, io pensi che sia ancora più bello di ieri sera? Ma poi ha sempre avuto quel sorriso?
E perché porta la maglietta a maniche corte e mostrarmi cosi sfacciatamente i suoi bicipiti tirati e solidi? Ma non ha un po' di umiltà?
«Avery» mi chiama ed io scatto con gli occhi verso i suoi.
«Eh» fingo indifferenza quando vorrei veramente, veramente sparire da questa casa all'istante.
«Dicevo, non sapevo nemmeno io che la ragazza travestita da angelo fossi tu. Mi dispiace, sul serio e sono felice che vada bene anche per te risolvere le cose cosi, da persone adulte»
Già persone adulte, e mentre lo dice io non faccio che pensare al fatto che anche lui abbia avuto lo stesso mio pensiero del diavolo e acqua santa. Angelo, acqua santa, spirito divino, insomma siamo lì. Ed è semplicissimo comunque, basta archiviare la scena che ho in testa del nostro bacio, delle sue labbra morbide, di quelle mani che mi hanno bruciato con il solo tocco, e tutto tornerà alla perfetta normalità.
Ottimo, ce la posso fare.
«Vedi? Io lo sapevo che avremmo risolto subito» gli mollo uno schiaffo sulla schiena da brava spaccatrice di pietre e inizio ad aprire scaffali a casaccio «Dicevamo, la farina?»
Alla botta Hunter mi guarda leggermente corrucciato, poi però mi indica con la mano lo scaffale che ho sulla mia destra in alto.
Riesco ad aprirlo, mettendomi in punta di piedi e la vedo.
Inizia così il mio duello con la mancata altezza e provo la sfida del secolo, cercando di allungarmi più che posso per raggiungere quella maledetta.
Inizio a sfiorarla con l'indice quando sento uno movimento di aria improvviso.
Poi Hunter mi sfiora la schiena con il suo petto, allunga il braccio sopra la mia testa e afferra la farina.
Solo che qualcosa va storto.
Darò a vita la colpa a lui, comunque andranno le cose, ma fatto è che quando provo a rimettermi comoda con i piedi, scendendo quel mezzo centimetro tanto sudato, il mio corpo perde di un solo istante la stabilità e gli finisco leggermente addosso.
Praticamente gli sposto di mezzo metro il braccio che aveva sollevato, e ciò a portato ad una piccolissima conseguenza.
La farina si è rovesciata, tutta sulla sua testa e spalle.
Istintivamente io mi sono fatta più avanti e non so come ma sono riuscita ad evitare il danno.
Il problema viene quando mi giro.
E me lo ritrovo davanti.
Gli occhi chiusi, un broncio stranissimo e il viso completamente ricoperto di bianco.
Mi ritrovo tutto a distanza di qualche centimetro.
Ed è inevitabile.
Gli scoppio a ridere cosi forte che devo tenermi le mani sulla mensola per non cadere.
Hunter è diventato una statua di cera e tutto ciò è irreale.
Sul serio.
«Oh porca..» cerco di dire qualcosa ma niente, sono partita per la tangente.
«Credimi, non l'ho fatto apposta» cerco di contenermi, ma sono diventata una lacrima umana e il divertimento mi decontentra dall'ansia di ritrovarmelo cosi vicino.
Lui sembra abbia ripreso vita e coscienza dei suoi arti soltanto adesso, sbuffando rumorosamente e riversando sul mio viso l'odore di menta.
Apre un occhio lentamente e afferro vicino al mio fianco un panno, pulendosi subito dopo il viso con gli occhi.
Cerco almeno con le mani di aiutarlo anche io e comincio a levare la farina dai suoi capelli
«Che disatro, aspetta che ti aiuto»
Questa cosa però non fa che peggiorare la situazione, perché quest'ultima va ad aggiungersi a quella già presente sul viso che lui stava impegnando a ripulire, ritrovandosi però nuovamente pieno di farina.
E' finita.
Lui mi guarda accigliato, io rido ancora più forte.
Chiamate un esorcista.
D'un tratto lui, mi regala uno di quei suoi ghigni malefici e si sfila con un gesto rapido la maglietta, riversando in grande quantità la farina sulla mia testa.
«Adesso principessina continua pure a prendermi per il culo» mi sfotte, cercando di reprimere un sorriso.
In automatico cerco di fermare questo attacco alla trincea, imprigionandogli i polsi con le mie mani e utilizzando invano tutta la mia forza, perché non lo sposto di un solo centimetro.
Stiamo ridendo tutti e due, presi in questa lotta di lancio della farina, tanto da non renderci conto di come i nostri corpi adesso si siano avvicinati drasticamente.
Il dettaglio di avere il suo petto nudo a pochi centrimetri dagli occhi mi riesuma quella parte di lucidità rimasta indietro e involontariamente inizio a fissarlo.
Avevo intuito bene, all'epoca. Questo ragazzo è pieno di disegni su quasi ogni centrimetro di pelle esposta.
Lo osservo, partendo dal collo, oltrepassando il suo petto che in questo momento si alza e abbassa al tempo del suo respiro.
E arrivo fino a raggiungere l'elastico della sua tuta, che fascia magnificamente le gambe.
Gambe che in questo momento sono incastrate con le mie.
Siamo vicini, troppo vicini.
Alzo lo sguardo, trovando nuovamente i suoi occhi che in questo momento mi stanno fissando confusi.
Si stacca improvvisamente, indietreggiando di un passo e continuando a guardarmi.
Il silenzio può essere un ottimo momento di pace, ma in casi come questi, non fa che evidenziare l'imbarazzo che aleggia tra noi.
Hunter si schiarisce la gola e torna davanti la sua postazione, quella dei fornelli. Finisce di ripulirsi con il panno il suo viso per poi rimettersi la maglia e infine afferrare la ciotola con l'impasto.
Mi do anche io una sistemata ai capelli e alla maglia.
«Prendo qualcosa per dare una ripulita che abbiamo fatto un disastro» sussurro, mettendomi subito all'opera.
Mangiamo i pancakes ognuno perso tra i suoi pensieri, scambiandoci giusto qualche frase di circostanza e fortunatamente nel giro di un ora veniamo raggiunti mano a mano dagli altri, chiudendo definitivamente il capitolo di poco prima.
*
«Tra tutti i poeti, filosofi, artisti del mondo, noi abbiamo il più noioso e poco compreso della storia» si lamenta Rush, lanciando una penna al centro del tavolo.
Gli lancio un occhiata divertita, e mi alzo per sgranchirmi le gambe.
Ci ritroviamo a casa mia, di mercoledì, chini sui libri da ore ormai per quella stupida richiesta di lavoro di gruppo del professor Corst. Harper per la maggior parte del tempo si è messa a criticare ogni pensiero letto, con Rush ad assecondarla come un cagnolino scodinzolante.
«Io faccio il caffè» annuncio più a me stessa che a loro.
Mi avvicino alla cucina e osservo il brutto temporale dalla finestra.
Il sole è quasi calato del tutto, la tanta pioggia ha reso cupa la giornata gia noiosa di suo.
«Abiti sola soletta in questa casa?» mi chiede Harper, guardandosi intorno.
Preparo le tazze con lo zucchero e scuoto la testa.
«Oh no, in realtà questa è casa di mio fratello James»
«Hai un fratello? Non lo sapevo»
«Già, è dello stesso gruppo di Rush, solo che il pomeriggio lavora sempre, sai ha uno studio di tatuaggi qui vicino»
Effettivamente dovrebbe già essere rientrato da un po'. Forsei dovrei pensare di chiamarlo. Come se lo avessi chiamato con la forza del pensiero, il rumore della porta che si apre attira la nostra attenzioni.
Il viso di mio fratello sbuca dall'ingresso e appena ci nota si immobilizza per un momento.
«Ehi..»
Mi avvicino in automatico e gli scocco un bacio sulla guancia.
E' zuppo di acqua dalla testa ai piedi.
«Ehi amico, com'è andata oggi?» Rush mi viene dietro e si scambia un cinque con James.
«C'è un cazzo di tempo, mi ha mangiato vivo» si lamenta, levandosi le scarpe all'ingresso e subito dopo il cappello.
Quando si accorge della presenza di Harper, da buona educazione gli fa un cenno con la mano e gli sorride.
«Ciao, sono James il fratello di Avery»
Harper, che nel frattempo si era alzata dalla sedia, ricambia il saluto osservando mio fratello con curiosità.
Ormai ne sono abituata, James attira come falene con la luce ed è raro che passa inosservato.
«Io vado a farmi una doccia» poi lancia un occhiata a Rush «vi fermate a cena con noi?»
Rush lancia uno sguardo rapido ad Harper, responsabile del suo passaggio a casa e quando vede che scrolla le spalle con disinvoluta., accetta la proposta di mio fratello e propone di prendere la pizza.
Ovviamente lo studio è stato abbandonato subito e abbiamo passato la cena a guardare un film della Marvel.
Quando i miei due amici ci lasciano ho ben chiare due cose;
La prima è che Rush prova interesse per Harper ed è stato cosi evidente che non dubito lo abbia capito anche lei.
La seconda invece è il ricordarmi di non far venire più Harper a casa mia quando c'è James. Sono stati tutto il tempo a controbattere ogni idea, gusto o pensiero. Ogni cosa. Non vanno d'accordo per niente. Assolutamente.
In un certo momento ho anche avuto paura che Harper gli lanciasse un bicchiere in faccia, conoscendola con il suo carattere.
Fortunatamente però c'era Rush che invece, essendo un giocherellone e pacifista di suo, è riuscito perfettamente a separare i due dal ring ed evitare che si spargesse sangue inutilmente.
Mi stampo questi due promeroria in testa e me ne vado a letto.
E quando sto per chiudere gli occhi e staccare la mente, ecco che, per l'ennesima volta, due occhi chiari vengono a farmi visita, incatenandomi pur non volendo.. sempre più a loro.
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