Capitolo Dodici

Sapevo che la sfiga non aveva ancora finito con me. Te lo senti da dentro, immagini una nuvoletta grigia e macabra venirti dietro a passo spedito, pronta ad attaccare al momento giusto.

E cosi è stato, esattamente lunedi. Mi stavo incamminando verso le mie solite lezioni, ero cosi sovrappensiero e in perfetto ritardo che mi ero persino dimenticata di mangiare. E mentre mi dirigevo verso la lezione di Diritto, di colpo la mia memoria si ferma.

Buio, vuoto.

Mi risveglio in infermeria con una signora che controllandomi su ogni parte del corpo mi racconta di come io sia crollata a terra, sbattendo la testa e finendo per svenire.

Dopo aver controllato il mio stato, mi diagnostica una sorta di influenza. Mi avvisa di avere una linea di febbre e di essere molto disabilitata. Cosi chiamano mio fratello sotto mia rischiesta visto che non riesco a stare perfettamente dritta e mi faccio portare a casa.

Ed è qui che inizia la mia prigionia, dove mi inizia un ciclo odioso di febbre alta, forti mal di testa e ossa.

Sono cosi da tre giorni.

Solo adesso che è giovedi mattina, mi sento finalmente un pelo meglio del solito.

Sono ancora dolorante ma almeno la febbre sembra scesa.

Come ogni mattina che mi alzo senza dover uscire, faccio una colazione piena e senza corse.

Dopodiché sistemo la mia stanza e finalmente, posso andare anche a farmi una doccia veloce e togliermi i germi di dosso.

Quanto mi era mancato il set ai frutti di bosco, sono certa di aver creato una sorta di dipendenza verso quei prodotti e non mi dipiace affatto.

Una volta uscita mi velocizzo per asciugare i capelli ed evitare così di prendere freddo.

Pranzo con un brodino caldo e nient'altro, se non una mela poco dopo. Ho ancora lo stomaco infastidito e anche se oggi mi sento molto meglio voglio appunto evitare di ricadere sui miei stessi piedi.

Ed ecco che mi ritrovo nel primo pomeriggio, con una tuta addosso, capelli raccolti in una crocca disordinata, calzini pelosi antiscivolo, stravaccata sul divano con una coperta intorno e il telecomando in mano a scegliere qualcosa da vedermi su Netflix. James se n'è andato da un oretta buona a lavoro e non ho la minima voglia di chiamare qualcuno.

Potrò anche sembrare una sfigata vista da fuori, ma uno non ho nessuno a cui dare importanza, due.. beh almeno profumo.

Ed è con questi discorsi di incoraggiamento per la mia autostima che vengo interrotta da qualcuno che bussa tre alla porta.

Per un primo momento non mi muovo di un passo, fisso quella porta come se stesse per prendere fuoco e trattengo qualche secondo il respiro.

Chi diavolo potrà essere?

Rimango cosi a pensare su ogni possibile inimagginabile persona possa esserci al di là della dannata porta, quando sento bussare nuovamente con molta più forza e allora mi riscuoto dallo shock e balzo in piedi come un grillo.

Mi avvicino all'occhiello e quando capisco di chi si tratta devo usare tutte le mie forze per non squittire scioccata.

Mi allontano di qualche passo con occhi spalancati e bocca che quasi tocca il pavimento.

Bussa nuovamente.

«Un-un attimo!»

Mi osservo le mani, le rigiro, poi mi guardo i vestiti che indosso e mi soffermo sui calzini pelosi.

La mia reputazione è finita.

Inizio a correre come una forsennata verso lo specchio in camera. Mi do una sistemata veloce ai capelli, li tiro, li pettino, mi liscio i vestiti, apro le finestre per far entrare aria fregandomene del mio stato poco sano, tiro meglio la zip della felpa raggiungendo il mento.

Mi guardo ancora, e sbuffo.

«Dannazione» piagnucolo davanti lo specchio.

«Avery?»

Faccio una piccola corsetta frenetica sul mio posto mugugnando sofferenza senza senso, poi mi decido di andare ad aprirgli la porta.

Il suo profimo è la prima cosa che sento di buono da tre giorni a questa parte, la prima cosa che mi investe, prima di lui.

Lo guardo.

Mi guarda.

«Ciao Hunter»

Sposta verso un lato il viso e mi scruta con un leggero sorrisetto.

Bello, questo ragazzo è semplicemente bello, anche se dovrei odiarlo con tutta me stessa in questo momento, la prima cosa che mi viene in mente mentre lo guardo sorridermi con quei suoi occhi ipnotici è proprio l'impossiblilità della sua bellezza.

«mhm.. posso entrare?»

Annuisco forse troppo velocemente, perché amplia divertito il suo sorriso, poi mi faccio da parte e lo faccio passare.

«Vuoi» mi schiarisco la voce «un caffè?»

«Si grazie» si guarda intorno circospetto, come se non avesse mai visto casa di James. Arriva davanti il divano dove la coperta che indossavo poco prima giace perfettamente per terra. Saetta lo sguardo dalla coperta alla tv con la schermata di Netflix in bella vista. Poi si gira verso di me e devo fare un mega scatto quasi da spacco del collo per non farmi scoprire ad osservarlo come una maniaca.

«Non mi chiedi il motivo per cui sono qui?»

Lo guardo e scrollo le spalle.

«Credevo iniziassi tu il discorso, non si fa cosi di solito dopo che una persona va a casa di qualcuno? Spiegare il perché del suo arrivo?»

Lo sento ridere dietro di me e pochi passi mi annunciano della sua vicinanza in cucina.

Finisco di fare il caffè, dandogli le spalle e anche munirmi di sicurezza e autocontrollo.

Ci siamo troppo lasciati malissimo l'ultima volta e sono molto, molto a disagio adesso.

Poi però mi riviene in mente la scena di lui e Tracy sulle scale e per poco non spacco i bicchieri che ho in mano.

«Ero.. preoccupato» inizia dopo un generoso silenzio fra noi «non ti ho più visto dopo la.. festa. Rush non ti ha trovato alle lezioni e quando sono andato con gli altri allo studio di James, proprio lui mi ha avvisato del tuo stato»

Sospiro rumorosamente, e anche se da una parte io sia contenta della sua premura dall'altra vorrei staccargli la testa a morsi.

«Però.. adesso ti preoccupi per me? Non è che soffri tipo di bipolarismo? Sai non vorrei tirar fuori cose passate, ma credo che l'ultima volta non ci siamo lasciati proprio amichevolmente»

Mi giro e lo guardo. E' nervoso.

Ha irrigidito la mascella e mi osserva con sguardo duro.

«Senti-»

«Lo so, lo so. Tu hai la tua vita io la mia, io non entro nel tuo spazio personale, tu non entri nel mio. Quello è il tuo cerchio, questo è il mio. Ho capito il concetto, fidati. Per questo non capisco la tua intromissione nel mio fottuto cerchio. Come funziona? Decidi tu quando oltrepassare cosa?»

Abbassa lo sguardo e per un attimo mi pento di come io gli abbia appena parlato.

Però deve capire che non può cambiare regole a suo piacimento, le sue parole con i fatti di ora non coincidono proprio per niente. Ed io cosi vado in confusione.

«Mi dispiace» si passa una mano sui capelli e si lecca velocemente il labbro «Non dovevo trattarti in quel modo. Non volevo. So che ti eri soltanto preoccupata per me è che.. non sono abituato a dire le mie cose alle persone. Sono sempre stato riservato e nessuno si è mai interessato realmente di sapere..» sposta lo sguardo fuori la finestra, in difficoltà.

«Quello che sto cercando di dirti è che mi dispiace un casino. Non avrei dovuto trattarti cosi, mi sono pentito il giorno stesso cazzo» avanza di un passo verso di me, osservandomi.

«Hunter io non volevo intromettermi nelle tue cose..» sento mano a mano che le parole mi escono dalla bocca, come la mia corazza crolla «ero solo preoccupata per te. Non sono cosi superficiale da pretendere certe cose quando non ho alcun tipo di diritto di averle»

«Lo so» avanza di un altro passo, arrivandomi davanti «ho solo agito d'istinto. Ti ho ferito senza pensare e ripeto, mi dispiace» un sorrisetto esce sul suo viso, illuminandolo «che ne dici di.. ricominciare da zero?»

Sorrido anche io divertita «Riprendere da zero..va bene»

E' impossibile.

Alza le sopracciglia «Va bene?»

Annuisco flebilmente «certo, iniziamo da capo, mi sembra un ottima cosa»

E' assolutamente un idea orribile.

Mi guarda prima sorpreso, poi annuisce sorridendo.

«Bene» mi allunga la mano «allora siamo d'accordo»

Stringo la sua mano in una presa ferrea «Non avremo problemi»

«Ed eviteremo errori»

L'errore, vorrei dirgli, è stato venire qui, oggi.

«Bene»

«Bene»

Il rumore della porta che sbatte mi fa saltare per il colpo.

Sorrido sulle sue labbra, troppo divertita della situazione, mentre in braccio a lui mi sbatte sul muro della mia camera, divorando le mie labbra.

Ho le gambe intorno la sua vita e le sue mani.. le sue mani sono ovunque.

Mi bacia appassionatamente le labbra, poi il collo, scende verso il seno che morde da sopra la maglia e poi torna freneticamente verso le labbra.

Mi rendo conto di voler anche io toccarlo più a fondo, cosi gli sfilo la maglietta dal collo.

Giusto il tempo di far passare il capo oltre il viso, che torniamo a mangiarci la faccia.

Con le dita accarezzo le sue ampie spalle, avvertendo i brividi seguirmi lungo la scia.

La sua presa sotto i miei glutei si fa più solida quando arrivo a sfiorargli i capezzoli.

Ho il cuore che batte all'impazzata e il mio cervello non funziona più correttamente.

Non so come toccarlo, come muovermi, non so che accidenti fare.

Mi limito a seguire lui e le emozioni che mi divorano da dentro.

«Che cosa mi fai, Avery» sussurra contro le mie labbra, provocando un mio gemito involontario per i brividi provocati da quelle poche parole.

Fa scendere la zip della mia felpa e tenendomi con una sola mano, la fa cadere per terra, seguita subito dopo dalla mia maglietta.

Si stacca di colpo, il respiro ansante a guardarmi preoccupati.

«Ma tu.. cioè stai meglio?»

Vorrei dirgli che in questo momento nemmeno la febbre a quaranta mi fermerebbe, però annuisco e basta.

«Rigenerata» e riattacco le labbra alle sue.

Lo sento ridere, poi sospirare.

Indietreggia di qualche passo, fino a sedere sul bordo del letto.

Nella posizione in cui mi ritrovo, ondeggio sopra di lui.

Il cuore mi esce quasi dal petto quando avverto una protuberanza tra le mie gambe, e capisco che si tratta della sua eccitazione.

Vorrei urlare, ridere e piangere in contemporanea.

Invece sfogo la mia frustrazione con le mie mani, toccando ogni suo lato di pelle, muovendomi sopra il suo fuoco, mangiando l'aria dei suoi sospiri.

Di colpo ci fa invertire di posto, buttandomi con la schiena sul letto e sostenendosi con la forza delle braccia.

Mi guarda, mi scruta, facendomi arrossire.

«Alla faccia dell'andarci piano..» sussurra «sono un disastro»

Scoppio a ridere per la sua espressione e gli accarezzo le guancie in un gesto di affetto.

Sollevo di poco la testa e riprendo a baciarlo lentamente, perché non voglio assolutamente che inizi a pensare di fermarsi.

Gli accarezzo dietro la schiena, in piccoli cerchi delicati, fino a scendere e raggiunge il bordo dei suoi jeans, dove mi fermo.

Le labbra di Hunter scendono sul mio collo e poi ancora più giù, fin quando arriva sopra il reggiseno.

Mi guarda in cerca di assenso e quando non faccio nulla per fermarlo mi afferra dietro la schiena, sollevandomi di poco e slacciandomi il reggiseno con l'altra mano.

Fa calare le bretelle, sfilandole dalle mie braccia e infine lo lancia da qualche parte sul pavimento.

Sono cosi impacciata della situazione che provo subito a coprirmi la nudità, ma Hunter è più veloce.

Afferra i miei polsi e li inchioda sul letto, ai lati della mia testa.

Scuote il capo con un sorriso malizioso, poi scende giù e mi fa perdere l'uso della parola.

Gioca con i miei seni sotto i miei ansiti increduli.

Afferra una mia gamba e se la lega in vita, avvicinando le nostre parti più eccitate.

Sto viaggiando in un mondo parallelo quando con la mano scende ad accarezzarmi la pancia, raggiunge i miei glutei che stringe e torna davanti, afferrando il bordo della mia tuta.

Ed è lì che mi blocco.

Mi irrigidisco come una statua e lui dev'essersene reso conto, perché solleva la testa e mi scruta con lo sguardo.

«Ehi.. che.. sto correndo troppo?» nella sua voce avverto una nota di allarmismo e mi mordo il labbro per calmare il mio imbarazzo.

«No, no è che..» deglutisco «ecco io non»

Ho la gola secca e mi sento a disagio nel rivelargli una cosa cosi intima, dirla cosi apertamente poi.

Fortunatamente però lui capisce subito, spalanca poco gli occhi e la bocca.

«Oh» dice soltanto e quando penso che sta per sgattaiolare via, lo afferro per le braccia.

«Io.. non voglio arrivare a..» arrossisco «però non voglio nemmeno che te ne vai..cioè intendo dire che..» ormai sono diventata rossa come un pomodoro e Hunter si morde il labbro divertito per non scoppiare a ridermi in faccia.

«Forse ho capito» si avvicina a me, sfiorando il suo naso con il mio in una carezza circolare.

«Ti fidi di me?»

Annuisco ad occhi chiusi, senza pensarci troppo, perché con le mani si è già intrufolato dentro la mia tuta e mi sta accarezzando i glutei.

Sono inerme alla sua mercé.

Fa calare la tuta, sfilandola del tutto, lasciandomi in mutande.

E dopo è tutto confusionale, nella mia testa.

Sento lui, le sue mani, i suoi ansiti. I miei gemiti, le mie mani che stringono la coperta, la mia schiena che si incarca, le sue labbra che mi fanno vacillare, la sua lingua che mi fa urlare.

Mille fuochi d'artificio invadono i miei sensi.

Fanno rumore dentro il mio cuore e illuminano di mille colori i miei occhi. Una sensazione mai provata prima esplode dentro di me, bruciando ogni strato di pelle, partendo dalle dita dei miei piedi, espandendosi fino all'attaccatura dei capelli. La testa gira ininterrottamente e solo dopo un lasso di tempo a me indefinito, torno sul pianeta terra.

Torno da Hunter, che tirandosi nuovamente su verso di me, invita la mia bocca ad assaporare la sua.

Assoporo il suo sapore e un po' anche il mio, lentamente, in una dolce danza ipnotica. E capisco che non è ancora finita, non per me, perché mi rendo conto di non aver fatto nulla per lui, di sentirmi in debito.

E anche se ho utilizzato una minima parte rispetto a come Hunter abbia fatto con me, ho sperato per tutto il tempo che sia riuscita in qualche modo a trasmettergli delle emozioni che si avvicinino minimamente a quelle che lui è riuscito a regalare a me.


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