Attack on Paint!
«Maledizione! - urlò frustrato, avvicinandosi all'oggetto incriminato a grandi falcate. - Quel maledetto spaccone, se mi capita tra le mani giuro che gli rompo la faccia.» e fatta questa solenne promessa, tirò un pugno contro il muro di fronte a lui, scorticandosi le nocche e imprecando silenziosamente. Il cappuccio verde del suo felpone, tirato sui capelli, ombreggiava leggermente il suo viso, rendendolo ancora più incupito.
«Sei un vero idiota.» sibilò Mikasa, con quel tono asettico e canzonatorio che caratterizzava da sempre la sua voce. Gli afferrò la mano ferita, controllando con minuziosa attenzione, i danni che si era autoinflitto, verificando che altro non erano che un paio di taglietti.
«Non così tanto da rompermi le ossa da solo.» rispose piccato, sottraendosi alla presa ferrea della sua migliore amica e guardandola in cagnesco. Sempre così protettiva nei suoi confronti, trattandolo come un bambino e facendolo andare completamente fuori di testa. Perennemente in ansia per lui, persino quando, dopo aver fatto il piercing alla lingua, gli si erano gonfiate le tonsille, era andata assolutamente in escandescenza.
«Oh, ne dubito seriamente, Eren.» accompagnò quelle parole con un'alzata di sopracciglia e un sospiro rassegnato. In fondo sapeva che far ragionare il castano era una vera e propria perdita di tempo.
«Mikasa ha ragione, amico.» s'intromise Jean con un ghigno derisorio tirato sul viso, facendo casualmente scivolare il suo braccio intorno alle spalle della ragazza.
«Taci, equino.» sbottò Eren, non riuscendo a distogliere lo sguardo dall'affronto che gli era stato arrecato.
«E levami le mani di dosso, se non vuoi che ti spezzi le dita una ad una.» aggiunse Mikasa, regalandogli uno sguardo omicida con i suoi occhioni allungati e contornati da una perfetta linea di eye-liner e un ombretto cremisi. Il biondo si staccò immediatamente da lei, quasi come se si fosse scottato; eppure il volto terribilmente arrossato per l'imbarazzo, fece sorridere e levare gli occhi al cielo alla corvina. Era più o meno dalla terza elementare che Jean aveva cominciato a fare una corte spietata alla ragazza che, all'epoca, era già considerata la bambina più graziosa dell'intera scuola. Crescendo non aveva fatto altro che migliorare, maturando quel fascino enigmatico, tanto raro quanto invidiato. Il modo in cui calzava perfettamente quel jeans a vita alta, abbinato con quel top che stretto le fasciava il seno e quel giaccone di jeans in stile anni ottanta, era una vera e propria gioia per il fragile cuore di Jean, ormai reduce da innumerevoli rifiuti.
«Spero tanto che voi due stiate scherzando. - disse Connie, avvicinandosi ai sui tre amici con una sigaretta tra le labbra e mettendosi al fianco di Eren. - Ci troviamo dinanzi ad una grandissima presa per il culo, Eren ha ragione: questo bastardo la deve pagare.» un sorriso spavaldo spuntò sul suo viso, mentre batteva un pugno sul palmo aperto di Eren.
«Sapevo che Eren era un caso perso, ormai ho buttato la spugna da anni. Così mi dai solo conferma di essere bacato quanto lui.» rispose la ragazza, incrociando le braccia contro il petto.
«L'avrei pensata come te se fosse stato un caso isolato, Mika. Questa è la terza volta che succede, per di più nella stessa settimana. Ci stanno sfidando e non possiamo starcene zitti.» sputò fuori il ragazzo dal capo rasato, gettando il mozzicone sull'asfalto e schiacciandolo prepotentemente con la suola della scarpa.
«Abbiamo già abbastanza problemi con le forze dell'ordine, non mi pare proprio il caso di esporci con una rissa.» una cosa era certa: mettere i piedi in testa a Mikasa era incredibilmente difficile. Aveva sempre la risposta pronta e la sua lingua biforcuta la pronunciava con talmente tanta freddezza da far tremare le gambe ai suoi interlocutori.
«E poi ragazzi, una rissa? Non sappiamo nemmeno chi sia questo Slayer, potrebbe addirittura essere un bambino.» aggiunse Jean, facendo una mezza risatina per provare a sdrammatizzare la situazione. Peccato solo che Eren era tutt'altro che divertito. I suoi occhi verdi, infuocati da una furia cieca, puntati ancora sull'enorme muro dove era stato realizzato uno dei suoi più grandi lavori. Ci aveva messo anima e corpo per creare quel mural che, come ogni suo operato, rappresentava una creatura mostruosa dalle dimensioni spropositate e dalla carne dilaniata e fumante. La rappresentazione di quei titani era la sua specialità, un qualcosa che in un certo senso lo aveva reso una star nel quartiere. Tutti gli abitanti della zona avevano avuto il piacere di ammirare uno dei suoi lavori almeno una volta, lavori che lo avevano reso una leggenda tra i più giovani e un delinquente per gli sbirri. Ricordava perfettamente l'immensa soddisfazione che era nata nel suo petto quando finalmente era riuscito a concluderlo: enorme, furibondo, con le fauci spalancate e gli occhi verdi luminosi come gemme. Persino nel fare il tag del suo nome d'arte - Titan - era stato meticoloso, arrivando a livelli maniacali, ma ci era riuscito. Mai si sarebbe aspettato di trovarlo completamente deturpato. Al suo amatissimo capolavoro erano state apportate delle modifiche: il collo del suo gigante completamente tranciato e l'ombra di un uomo, armato di due spade e vestito con un mantello verde, messa completamente in primo piano. Non era tanto quella la cosa che faceva completamente perdere le staffe ad Eren, quanto più la dedica a lui indirizzata e scritta a caratteri cubitali:
-I'll kill all the Titans-
Slayer
...
Erano passati altri tre giorni, giorni in cui Eren e Connie avevano scrupolosamente perlustrato ogni angolo del quartiere alla ricerca dell'acerrimo nemico. Ma Slayer non era certamente uno sciocco, anzi probabilmente non si era fatto vivo di proposito. Chi poteva dirlo? Magari conosceva il suo aspetto e si era limitato ad osservarlo, nascosto nell'ombra. Forse si erano addirittura incontrati qualche volta, non era un'opzione da escludere quella.
Mikasa era assolutamente indispettita da quella "fantomatica caccia ai fantasmi" in cui si erano cimentati i suoi due amici senza minimo indugio. A sentirla parlare, Eren quasi si riteneva uno sciocco, ma la sete di vendetta che scorreva nelle sue vene riusciva a superare perfino quello.
Pretendeva come minimo delle scuse da quel buffone egocentrico che, come il miglior usurpatore, aveva attirato su di sé l'attenzione, sfruttando il duro lavoro del giovane Jaeger.
Eppure i giorni scorrevano incessanti e più il tempo passava, più si rendeva conto di quanto realmente ardua fosse quell'impresa. La sua nemesi si era perfettamente mimetizzata, scomparsa nel nulla; a quel punto perfino Connie sembrava voler gettare la spugna. Quella notizia gli arrivò quando, una settimana dopo, l'amico aveva deciso di dargli buca; dicendogli che doveva assolutamente studiare per un esame importante. Quando mai quell'idiota aveva aperto un libro in vita sua? Eren proprio non aveva memoria di un simile evento, eppure decise di non indagare oltre. In fondo comprendeva la stanchezza e il senso di rassegnazione che affliggeva l'altro; era identico a quello provato da lui stesso.
E proprio quando decise di chiudere lì quella dannata rincorsa, optando di tornarsene a casa e di provare a buttarsi quella rabbia alle spalle, scorse qualcosa che catturò completamente la sua attenzione. Era sulla strada di ritorno al suo appartamento, ancora un paio di angoli e sarebbe arrivato a destinazione.
Un ragazzo.
Indossava dei jeans neri, maledettamente aderenti e una canottiera slabbrata del medesimo colore, perfetta per mettere in risalto le braccia, una delle quali tappezzata di tatuaggi. Era in piedi, di fronte il muro di una piccola stradina, quello dove Eren aveva realizzato la sua prima opera. Le testa leggermente reclinata all'indietro, quel tanto da far ricadere i capelli corvini ai due lati della fronte; gli occhi sottili e argentei come la luna, puntati sul gigante che troneggiava dinnanzi a lui; le mani infilate in entrambe le tasche, donandogli assieme all'espressione del viso, un'aria odiosamente strafottente.
Non era di certo la prima volta che ad Eren capitava di vedere qualcuno osservare i suoi murales, anzi, spesso aveva intravisto ragazzine che scattavano fotografie o che si facevano un selfie da postare sui social. Era sempre stato motivo di orgoglio per lui, la semplice costatazione che qualcuno, oltre alla sua combriccola, apprezzava la sua arte.
Eppure quel ragazzo, dalle orecchie tempestate di piercing, non faceva altro che fissare. La schiena di Eren fu percorsa da brividi e le sue gambe si mossero da sole verso la destinazione da loro stesse designata. Quando gli fu a pochi passi, quell'individuo dall'aspetto singolare, piegò la testa di lato, immergendosi nelle iridi smeraldine del giovane artista. Lo studiò per qualche istante, con la medesima espressione con cui stava guardando il mural pochi secondi prima. Le labbra sottili, decorate da un piccolo anello sul lato sinistro, erano tirate in una linea dura, quasi del tutto inespressiva; i suoi occhi non tradirono alcun tipo di emozione. Semplicemente rimase lì, immobile, e quando dopo interi secondi di silenzio, Eren ancora non si era deciso a fiatare, l'altro levò un sopracciglio verso l'alto, in attesa di una spiegazione.
«Che stai facendo?» domandò a quel punto, pentendosi quasi subito della tonalità quasi aggressiva che aveva assunto la sua voce. Stava dando per scontato che quel ragazzo, tanto bello quanto incredibilmente sfacciato, fosse colui che stava cercando. Non lo sapeva, eppure aveva sentito quella sensazione nascere nel petto nel preciso istante in cui i suoi occhi si erano posati sulla sua figura. Tutto si aspettava, tranne che la bocca dello sconosciuto si stendesse in un sorriso, non in uno di quelli genuini, più che altro in uno assolutamente derisorio. Si stava prendendo gioco di lui e ancora non aveva aperto bocca.
«Guardo questo mural. - disse semplicemente, rivelando una voce più melodiosa di quanto Eren si sarebbe aspettato. - È forse un crimine fissare i muri, da queste parti?» chiese di rimando, l'aria di sfida non vacillò neanche per un istante dal suo viso. Gli occhi del castano saettarono nuovamente sul suo "Gigante Corazzato" alla ricerca di possibili segni di violazione, non trovandone neppure uno. La sua attenzione fu nuovamente sul corvino, che non aveva smesso nemmeno per un istante di sorridere; cosa che fece prudere, non poco, le mani ad Eren.
«No.» si ritrovò a concordare con quell'individuo così singolare.
«Certo che l'artista... - fece, lanciandogli uno sguardo eloquente. - deve avere serie manie di grandezza.»
«E tu cosa saresti? Uno psicologo, per caso?»
«Non ci vuole uno strizzacervelli per dare dell'egocentrico ad un tizio che si diverte a riempire con enormi ed inquietanti mostri l'intero quartiere, non sei d'accordo?» e a quelle parole le guance di Eren s'imporporarono, mentre le unghie affondavano nei suoi stessi palmi, umidi di sudore. Gli capitava sempre quando s'innervosiva: un chiaro segnale del fatto che stesse per perdere il controllo. La voglia di strappare a suon di ceffoni quell'altezzosa aria di compiacimento fu ancora più forte.
«Ma chi ti credi di ess-»
«Però, devo ammetterlo. - lo interruppe, quasi Eren non stesse dicendo niente. - Non è male.» e quello cos'era? Una sottospecie di complimento, forse? Di qualunque cosa si trattasse era riuscito nell'intento di strappargli le parole da bocca.
Cosa avrebbe dovuto fare? Accusarlo? Certamente non avrebbe potuto, in fondo niente gli assicurava che quel tipo fosse quello che lui è Connie avevano cercato negli ultimi giorni e, per quanto gli sarebbe piaciuto piegare quell'impertinenza, sapeva di non poterlo fare. Si ritrovò semplicemente a deglutire la rabbia, accompagnando quel gesto con un sospiro sommesso. Cercava un colpevole, e il suo subconscio aveva deciso di giocargli brutti scherzi: ecco tutto.
«Comunque...- riprese parola. - Volevi qualcosa da me?» i suoi denti andatono a giocherellare con l'anello di metallo sul lato delle labbra e i suoi occhi, famelici, continuarono a percorrere la figura di Eren da capo a piedi.
«Niente. - si giustificò a quel punto. - Ho sbagliato persona.» ammise, eppure i suoi piedi rimasero incollati al suolo, impossibilitati ad allontanarsi. Fu in quel momento che il più basso si avvicinò, con estrema lentezza, piazzandosi a pochi millimetri dal suo naso. Era talmente vicino che Eren poté giurare di riuscire perfino a percepire il flebile suono del suo respiro che, pacatamente, s'infrangeva contro il suo viso. Le viscere si contorsero nell'esatto momento in cui il corvino si leccò languidamente un labbro, ancora tirato in quel fottuto ghigno, facendo nascere una maledetta fossetta sul lato sinistro della guancia.
«Ci si vede in giro, Gigante.» sussurrò solamente sulla sua pelle, per poi retrocedere e allontanarsi, inserendosi subito nella strada principale e mescolandosi ai pedoni. Eren non riuscì a respirare né a muovere un singolo muscolo mentre l'altro spariva dalla sua visuale. Solo quando il cuore tornò a battere regolarmente, riuscì ad incanalare aria nei polmoni e a concretizzare la realtà dei fatti.
Quello era Slayer, e lui non era riuscito a dirgli assolutamente niente.
...
Parlare con i suoi amici di quell'incontro così inaspettato non rientrò nei piani di Eren. In fondo conosceva già le reazioni che ognuno di loro avrebbe avuto. Mikasa avrebbe sbuffato, alzando gli occhi al cielo, suggerendogli per l'ennesima volta di lasciar perdere la questione. Jean si sarebbe messo a ridere come un idiota, dandogli del codardo per non aver fatto niente dopo tutte le promesse di vendetta. Connie invece non avrebbe aperto bocca per un bel po', prima di scaricargli addosso tutta la sua frustrazione e di ricordargli come avevano trascorso gli ultimi giorni. Decise dunque di tenere segreto l'accaduto, almeno fin quando non avrebbe risolto la questione. Slayer avrebbe attaccato il Corazzato, glielo aveva praticamente detto, anche se non a parole, e questa volta non si sarebbe fatto trovare impreparato. Quel ragazzo non era uno stupido, Eren si disse che con molta probabilità agiva di notte, lontano dagli occhi indiscreti. E fu proprio quando il sole calò, quando l'unica testimone rimase la luna discreta, che si avviò sul luogo incriminato.
Sentì un moto di delusione all'altezza del petto quando, arrivato ai piedi del suo mural, non vi trovò assolutamente nessuno. Che avesse preso un abbaglio? Forse aveva viaggiato troppo con la fantasia... possibile che sentisse così tanto il bisogno di dare un volto al suo nemico, da essersi immaginato tutto? Eppure un lato di lui desiderava così tanto che quel ragazzo incontrato poche ore prima fosse colui che stava cercando. Già, perché nella sua storia, quello sarebbe stato l'antagonista perfetto. Ci aveva scambiato appena due battute, ma l'aveva capito subito: dannatamente sicuro di sé, sarcastico, bisognoso di avere l'ultima parola su tutto. E non era così che succedeva nei migliori fumetti o nelle serie tv? Il protagonista odiava così tanto la nemesi perché, in tanti, troppi aspetti, le somigliava. E diamine se si sentiva simile a quel tipo con quel maledettissimo sorriso... e quella fossetta. Se non fosse stata così dannatamente provocante, forse sarebbe riuscito a spiccicare due parole di senso compiuto e magari sì, dargli una lezione. E invece no, la sua omosessualità l'aveva momentaneamente distratto dal suo obbiettivo principale, manco fosse un quattordicenne in piena crisi ormonale.
Proprio mentre formulava questa miriade di pensieri contraddittori, sentì dei passi furtivi alle sue spalle che lo fecero voltare immediatamente. E dalla penombra, baciato unicamente dal riflesso della luna, che altro non fece che incrementare il pallore del suo incarnato, sbucò lui. L'aria spavalda e allo stesso tempo divertita, una mano infilata nella tasca dei jeans, l'altra stretta attorno ad una bomboletta spray. A quella vista, gli occhi smeraldini di Eren brillarono, seguiti da un fremito dettato dall'adrenalina, e da un sorriso spontaneo, carico di sfida.
«Ad essere onesto, mi hai stupito. - cominciò il corvino, ormai a pochi passi di distanza. - Pensavo non muovessi un passo senza la tua combriccola da quattro soldi.» lo prese in giro agitando la bomboletta, nonostante il tremore che scosse le sue mani per l'irritazione, Eren riuscì a mantenere un'apparente calma.
«E così sei tu il bastardo che si diverte a rovinare i miei murales. Slayer... e poi sarei io l'egocentrico.» lo rimbeccò, sottolineando quanto fastidio gli avesse arrecato poche ore prima con quella battuta.
«Come mi stupisce il fatto che tu abbia fatto due più due, venendo qui stanotte. Sai, vederti perlustrare il quartiere in lungo e in largo con il tuo amico testa tonda è stato esilarante, mi chiedevo quanto tempo ti ci sarebbe voluto. Se non fossi venuto io da te, probabilmente a quest'ora staresti ancora a crogiolarti nelle domande.» e a quest'ennesima provocazione le mani di Eren artigliarono il colletto della sua maglietta, avvicinandolo a se e bruciandolo con lo sguardo.
«Guarda che ti faccio il culo.» ringhiò a un palmo dal suo viso, non riuscendo, nonostante ciò, a far sparire quel dannato ghigno. In poche mosse, lo fece aderire contro il muro, schiacciandolo contro di esso e sorridendogli vittorioso. Eppure ogni traccia di fierezza svanì nell'esatto istante in cui, non solo quel bellimbusto si mostrò del tutto indifferente alle sue minacce, bensì divertito.
«Non pensavo fosse così facile sedurti, Eren.» lo sbeffeggiò, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere la scintilla di malizia che luccicava nei suoi occhi, che da vicino parevano tanto simili al cielo in tempesta. Lo lasciò nuovamente senza parole, questa volta parve rubargli anche il respiro facendogli dimenticare come svolgere correttamente quel semplice e naturale atto. Lo conosceva, conosceva il suo vero nome, non solo quello d'arte. Improvvisamente, nonostante lo stesse braccando, si sentì come pesce caduto in rete, vittima di un subdolo piano che ancora non gli era ben chiaro.
«Chi cazzo sei?» ringhiò a pochi centimetri dal suo volto, frustrato all'inverosimile da quanto l'espressione dell'altro fosse ancora di puro divertimento e dalla luce negli occhi, caratterizzata dall'euforia di chi ha appena vinto un terno al lotto o di chi ha giocato alla perfezione le sue carte, riuscendo a raggiungere il risultato sperato. Assestò un pugno chiuso contro il muro, ad un soffio dall'orecchio dell'altro, compiacendosi del minuscolo brivido che riuscì a provocargli, eppure quelle iridi non abbandonarono le sue nemmeno per un istante.
Se fosse stata una qualsiasi altra persona, avrebbe puntato e piazzato il colpo sullo zigomo o sul naso, eppure, nonostante la crescente rabbia nel petto, non ebbe il cuore di deturpare un viso così bello, senza contare il fatto che aveva bisogno di sapere di più, e di colmare l'inspiegabile necessità di conoscere il suo nome.
Stava per porgli nuovamente la stessa domanda, quando si sentì afferrare per le spalle e venire tirato all'indietro, le braccia costrette dietro la schiena e una voce bassa e roca sussurrargli all'orecchio: «Non ti muovere e non opporre resistenza.»
Riconobbe quella voce all'istante, nonostante gli fosse impossibile voltarsi per guardare dritto in faccia l'uomo.
«Sei in arresto per aggressione, Jaeger.» continuò l'agente, facendo scattare la chiusura delle manette attorno ai polsi. Lo strattonò, facendolo voltare verso l'uscita del vicolo per scortarlo alla volante.
«Non ho fatto niente!» sibilò, cercando di divincolarsi dalla presa del maggiore e ricevendo in cambio una ferrea stretta sulla nuca che gli costrinse ad abbassare il capo.
«Non discutere, non ti conviene.» lo avvisò l'uomo, continuando a spingerlo. Nel frattempo l'agente Zacharias entrò nella sua visuale, andando incontro a Slayer che, dal canto suo, era rimasto senza parole.
«Aspettate, lui-» provò ad intromettersi, ma Zacharias lo interruppe.
«Può venire in caserma per la denuncia.» lo informò solamente, impedendogli di continuare a parlare.
«Non aspettavi altro, non è vero Smith?» sbraitò Eren, riuscendo a specchiarsi negli occhi azzurri della guardia che, con aria soddisfatta, lo costringeva a salire nei sedili posteriori dell'automobile.
«Puoi dirlo forte, stronzetto. - confessò in un sussurro, prima di sbattergli la portiera in faccia. - Ed ora chiudi quella fogna.»
...
Era chiuso da ore in quella misera cella. Erwin Smith l'aveva sbattuto dentro senza nemmeno dargli la possibilità di spiegarsi e di difendersi. Quel pallone gonfiato con il parrucchino stava provando ad incastrarlo da mesi, non riuscendo mai a beccarlo con le mani nel sacco. Ce l'aveva con lui, l'emblema, la prova vivente di quanto inutile fosse la polizia a Shiganshina, incapace di catturare anche un delinquete da quattro soldi che imbrattava i muri a suoi piacimento, definendosi come il re del quartiere. Quella di Erwin era diventata, con il passare del tempo, una vera e propria ossessione. Più di una volta l'aveva intravisto pattugliare fuori casa sua e, troppo spesso, l'aveva minacciato, intimandogli che, prima o poi sarebbe arrivata la resa dei conti.
Eren l'aveva sempre trovato ridicolo, considerandolo un vecchio inappagato sia della sua vita, sia del suo lavoro, arrivato persino a provare un malsano odio nei suoi confronti, unicamente per riempire la monotonia e la noia delle sue giornate. Ovviamente non aveva mai espresso ad alta voce quei pensieri, era un irresponsabile, non di certo uno sciocco; si era limitato ad ignorarlo, a considerarlo invisibile. Con il senno di poi, si disse che quello non aveva fatto altro che nutrire la smania di potere e il bisogno di vittoria dell'agente che era arrivato ad arrestarlo per aggressione. C'era dell'ironico in quella situazione: non aveva nemmeno sfiorato Slayer ed era finito dentro.
Immaginò il ghigno beffardo che avrebbe sfigurato i lineamenti di Jean, quando sarebbe venuto a sapere dell'accaduto e, ancor peggio, quasi riuscì a sentire il "te l'avevo detto" che gli avrebbe rivolto Mikasa. Si rincuorò con la consapevolezza che almeno Connie sarebbe stato dalla sua parte. Giocherellò con l'anello che portava all'indice, provando ad ingannare il tempo: in fondo non potevano tenerlo chiuso in quella stanza per sempre, il corvino non aveva nemmeno un graffio e quello che avevano visto i due agenti non era sufficiente ad incriminarlo.
«Fuori, Jaeger.» la voce di Mike Zacharias interruppe lo scorrere dei suoi pensieri mentre manteneva la porta spalancata. Gli occhi dell'agente erano contornati da profonde occhiaie e la sua espressione era chiaramente avvilita.
«Levi Ackerman non ha voluto sporgere denuncia. - spiegò, restituendogli i suoi effetti personali, contenuti in una busta sulla quale vi era scritto a penna il suo nome. - In realtà il tuo amico era parecchio incazzato.» continuò, massaggiandosi la fronte e prendendo a scortarlo verso l'uscita. Quindi quello era il suo nome: Levi. Non riuscì a spiegarsi il perché Zacharias l'avesse definito suo amico, così decise di indagare. In fondo l'agente non aveva nulla a che fare con il suo collega psicolabile.
«Incazzato?» chiese, cercando di mascherare la curiosità che lo stava mangiando vivo con un'espressione disinteressata.
«Ci ha fatto notare quanto il nostro intervento gli abbia impedito di avere un... coito con te.» a quelle parole Eren strabuzzò entrambi gli occhi, fermandosi improvvisamente e guardando l'altro con le labbra schiuse dallo stupore. Non era possibile, doveva aver sentito male. Slayer... Levi, aveva giocato con la sua pazienza, l'aveva stuzzicato, l'aveva fatto incazzare, aveva imbrattato i suoi preziosi capolavori: perché mai avrebbe dovuto dire una cosa del genere?
«Ha detto proprio così?» Mike fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce e cercare di mostrarsi il meno imbarazzato possibile.
«Ovviamente no, cerco di edulcorare il suo... discorso. - sospirò l'agente, massaggiandosi il ponte del naso, come se dire quelle parole l'avesse stancato all'inverosimile. - Ah, mi ha detto di dirti che domani sera prenderà un treno per Trost.»
...
Era lì, la stazione completamente deserta e quel bastardo seduto a guardare il mural che aveva fatto l'anno prima sul vagone del treno che, puntualmente, partiva alle sette tutte le mattine: direzione Trost. Lo considerava il suo pezzo più importante, quello che viaggiava da una città all'altra, l'unico che gli permetteva di essere conosciuto al di fuori delle strette mura di Shiganshina. A grandi falcate gli si avvicinò, non stava facendo assolutamente niente, ma come diceva sempre sua madre: prevenire è meglio che curare. Quando Levi si accorse della sua presenza, un sorriso beffardo nacque sulle sue labbra, facendo digrignare i denti ad Eren.
Ridi pure, pensò il castano, questa volta nessuno verrà ad interromperci.
«Che stai facendo?» chiese rabbioso, è quando fu a pochi passi dall'altro, questi si alzò.
«Non conosci altri modi per iniziare una conversazione?» lo schernì, e questa sarebbe stata l'ultima volta. In un secondo le mani di Eren agguantarono il colletto della maglietta indossata dal corvino, trascinandolo fino al vecchio vagone e facendolo scontrare con la schiena contro il metallo congelato. Eppure l'aria di sfida non abbandonò nemmeno per un istante quel volto sottile, né la luce di divertimento si affievolì dalle sue iridi. Lo odiava per quello che si era permesso di fare ai suoi lavori, lo odiava perché era riuscito a mandarlo completamente fuori di testa con poche parole, lo odiava e voleva urlaglielo a pieni polmoni; stava per farlo, ma prima che riuscisse ad aprire bocca, fu zittito dalle labbra dell'altro che quasi famelicamente si posarono sulle sue. Una mano sulla nuca, l'altra che si ancorò al suo fianco, mentre la stretta delle sue alla maglietta ormai slabbrata si allentava. Solo quando Levi interruppe il contatto per qualche secondo, prendendosi del tempo per studiare la reazione del castano, questi si riprese. Ancora una volta lo spinse contro il vagone decorato dal suo mural, facendo rimbombare nel silenzio della notte il suono metallico.
«Mi prendi per il culo, Levi?» sibilò a denti stretti, maledicendo se stesso per l'improvvisa ondata di calore che si era fatta largo nel suo corpo, percorrendo la pelle centimetro dopo centimetro, fino ad arrivare alle guance.
«Se preferisci. - sussurrò solamente, soffiando quelle parole contro il suo orecchio. - A me vanno bene entrambe le opzioni.»
«Se questo è la tua tattica di abbordaggio, lasciamelo dire, fa proprio schifo.» provò a mantenere stabile la voce e a ignorare l'improvviso giramento di testa causato la troppa vicinanza.
«Io invece penso sia perfetta.» soffiò, per poi carezzare il lobo del suo orecchio con i denti. Quello fu veramente troppo da sopportare, in particolar modo per una persona come Eren che peccava seriamente di pazienza e raziocinio. Le sue mani scivolarono lungo il busto dell'altro, carezzandone quasi con prepotenza le sporgenze dei muscoli, studiando con le dita i lineamenti di quel corpo.
«Dio, non ti sopporto.» ringhiò, affondando con le labbra contro il collo immacolato, lambendolo con la lingua e succhiandolo con prepotenza.
«Lo vedo.» costatò il più basso con un risolino, spingendo i fianchi verso l'alto e facendo frizionare una coscia con la nascente erezione del più alto. Intrecciò le dita fra le ciocche castane, spettinandole ancor di più, invitandolo con furiose spinte ad avvicinarsi ulteriormente. Ancora una volta le iridi di Levi s'immersero in quelle dell'altro: adirate e al contempo annerite dalla pupilla che, pian piano, inglobava quel verde smeraldino. Subito dopo scesero, puntandosi sulle labbra: una chiara richiesta, un invito che Eren non poteva permettersi di rifiutare.
Leccò a partire dal piercing, succhiando piano l'angolo della bocca schiusa, spostandosi poi, con una lentezza estenuante, lungo il labbro inferiore, così cedevole sotto il suo toccò. Immerse la sua lingua nella bocca di Levi, facendola scontrare con la gemella, creando così un'armoniosa e furibonda danza, composta unicamente da morsi e saliva. Non perse tempo a chiedersi cosa diavolo gli prendesse, sarebbe stato impossibile darsi una risposta. Sentiva il tocco del corvino ovunque, capace di mandare in escandescenza la sua pelle semplicemente sfiorandola. Una mano s'insinuò sotto quella maglietta, la cui presenza era ormai superflua, toccando a palmi aperti il torace tonico. Quando gliela sollevò, Levi assecondò quel movimento, prendendo il tessuto tra i denti per aiutarlo a mantenerla su. Con un'umida scia di baci si fece largo sul petto, un lenta tortura che toccò il suo apice nel momento in cui le labbra bagnate di Eren si chiusero su un capezzolo roseo del corvino. Levi fremette, sottoposto a quella dolce agonia, causata dal contatto del piercing di metallo con quel punto tanto sensibile. In risposta il castano sghignazzò soddisfatto, decidendo di incrementare quella tortura così ben gradita, alternandola a morsi e succhiotti.
Come poteva quell'individuo tanto fastidioso, essere fautore di così tanta lussuria? Eren proprio non riusciva a venirne a capo, ma ogni singola domanda perse importanza nell'esatto momento in cui la mano di Levi s'insinuò sotto la stoffa del suo jeans, carezzando abilmente l'asta turgida. E dopo essersi leccato le labbra, s'inginocchiò e senza preavviso alcuno inglobò interamente la sua erezione, ricevendo in cambio un sospiro sorpreso.
«C-cazzo.» si lasciò sfuggire, poggiandosi con una mano contro la superficie del vagone e piazzando l'altra dietro la nuca rasata, cercando di dettare un ritmo quantomeno pacato. Ma Levi non sembrava intenzionato a cedere, lo succhiò con vigore, spingendosi fino alla base e risalendo velocemente verso la punta gonfia e lucida. Ansimava senza ritegno, carezzando le guance che lo stavano accogliendo con tanta generosità, e sentendosi morire nel constatare come quegli occhi argentei non cedettero neanche per un minuto, pronti a non perdersi assolutamente niente. Quello sguardo disinibito e al contempo così sicuro di sé, gli parve tanto un muto consenso, la dimostrazione che quella notte si sarebbe piegato con piacere ad ogni sua volontà. Lo spinse contro il suo pube, costringendolo ad ingoiare completamente la sua intimità, mantenendolo poi fermo in quella posizione per alcuni secondi, prima di permettergli di allontanarsi per riprendere aria. Nonostante il colpo di tosse che seguì quel gesto, Eren vide chiaramente su quel viso il ritratto della libidine: i capelli fuori posto, gli occhi scuri e lucidi, le labbra spalancate a carezzare il glande adagiato su esse e un rivolo di saliva che colava fino al mento. Ancora una volta lo strattonò per i capelli, costringendolo ad inarcare il collo e riuscendo a strappargli un gemito, prima di spingere nuovamente la sua erezione tra quelle abili labbra. Se possibile, Levi lo succhiò con ancora più forte, stringendo la base con il palmo della mano e pompandola contemporaneamente.
Fu nell'esatto momento in cui si rese conto di essere agli sgoccioli che tirò via la testa dell'altro, uscendo da quell'antro bollente con un sonoro schiocco. Lo afferrò per un braccio, costringendolo ad alzarsi in piedi e reclamando nuovamente il possesso di quelle labbra gonfie. Con un brusco movimento lo fece voltare, spingendolo a piazzare entrambe le mani sul metallo. E mentre con una mano percorreva la linea centrale del collo, applicando su di esso una leggera pressione, con l'altra percorse gli addominali, scendendo lentamente verso il cavallo dei pantaloni; inebriandosi dei gemiti che riusciva a fargli emettere. Aderì completamente alla sua schiena, facendogli sentire quanto eccitato fosse semplicemente premendo il suo membro contro quelle natiche ancora coperte... coperte? Per quale assurdo motivo indossava ancora i pantaloni? E con quell'obiettivo prefissato in testa, sfilò quei dannatissimi bottoni dalle asole, scoprendo quelle gambe, carezzando a palmi aperti le natiche sode.
«Era questo che volevi?» grugnì contro un suo orecchio, mantenendo il tono basso e volutamente roco. Di tutta risposta, Levi si lasciò andare ad una risata soddisfatta, spingendo i fianchi verso il bacino di Eren, invitandolo a darsi una mossa.
«Rispondimi.» ordinò, per poi morderlo sulla nuca e strappargli un flebile gemito d'apprezzamento.
«Sì. - sospirò allora - Sì, volev-» Eren lo zittì, premendo i polpastrelli sulla sua bocca.
«Succhia.» ordinò allora, e il cuore gli balzò in petto quando, con una risatina, Levi avvolse l'indice e il medio con la lingua, inglobandoli subito dopo e cospargendoli con una generosa quantità di saliva. Nel mentre, Eren piazzò un piede tra le sue gambe, costringendolo a divaricarle, poi lo fece piegare leggermente in avanti, sfilando la mano ben inumidita e scendendo tra i suoi glutei, lì, nel punto più nascosto. Massaggiò la sua apertura, lubrificandola, per poi inserire una prima falange che immediatamente venne accolta e stretta tra i muscoli che ebbero uno spasmo. Lavorò con perizia quella zona, nonostante l'altro non opponesse la benché minima resistenza desiderava prepararlo nel migliore dei modi, prima di appropriarsi interamente di quel corpo. Un mugolio d'assenso gli fece intendere che il corvino era più che pronto ad accogliere un secondo dito, e lui lo assecondò, aggiungendo il medio e sforbiciando tra le sue carni che parevano modellarsi come creta sotto il suo corpo. Quando riuscì finalmente a raggiungere quel punto, ogni singolo muscolo di Levi si tese in risposta e dalle sue labbra sfuggì un gemito strozzato. Sfiorò la sua prostata ancora una volta, stimolandola meno intensamente e il corvino mugugnò frustrato, provando a spingersi nella sua direzione per avere di più.
Ghignò quando, da sopra la spalla del suo amante, vide la sua erezione tesa e grondante di umori, fino a quel momento ancora intoccata. Scivolò fuori dal suo corpo, prendendo il proprio sesso tra le mani, pompandolo piano; nel frattempo Levi tirò dalla tasca della giacca che indossava sulla maglietta una bustina d'argento che gli passò immediatamente.
Non parlarono, non c'era bisogno di conferme o di permessi. Si volevano, probabilmente Eren l'aveva desiderato dal primo momento i cui i suoi occhi si erano posati sulla sua figura. Aveva pensato che fosse Slayer, l'aveva sperato, e in quel momento tutta la rabbia che aveva provato nei sui confronti si era tramutata in una lussuria cieca, quella dalla quale è impossibile sfuggire anche quando la si combatte con tutte le proprie forze.
Srotolò il lattice sul suo pene, portando la cappella contro l'anello di muscoli ora rilassati del compagno, poi lo penetrò con una sola e ben assestata spinta. Dovette fermarsi per alcuni secondi, riprendere fiato. La stretta spasmodica delle pareti bollenti di Levi sarebbe bastata a farlo venire prima ancora di cominciare, e lui non aveva alcuna intenzione di finire presto.
«Dio, sei così stretto.» sospirò, quasi con una nota di sorpresa, non se lo aspettava, non dopo che quest'ultimo aveva accolto le sue dita così bene. Eppure era confortevole trovarsi lì, completamente seppellito in quella morsa, i palmi di Levi completamente spalancati contro il metallo tinto della vernice colorata del mural. Si tirò indietro, dando una prima scoccata decisa. La colonna vertebrale di Levi si inarcò quasi in maniera innaturale e un gemito appagato annunciò il suo piacere. Conficcò le unghie nella carne pallida del suo bacino fino a lasciare piccoli segni a forma di mezze lune, centimetro dopo centimetro marchiò quella carne come sua. Lo schiocco dei loro corpi che s'incontravano ad ogni spinta, maledettamente lenta ma allo stesso tempo incredibilmente decisa, invase le loro orecchie.
«Questo è il massimo che riesci a fare?» lo sfidò il più grande, nonostante il fiatone pesante smentisse le sue stesse parole. Così Eren artigliò in un pugno i suoi capelli, tirandoli e costringendolo ad aderire con la schiena contro il suo petto. Levi assecondò i suoi gesti, facendosi maneggiare come una bambola e ritrovandosi con il capo riverso all'indietro contro la sua spalla. Quei meravigliosi occhi argentei, ora sfigurati dal piacere e dall'estasi del momento, scivolarono verso l'alto mentre il castano aumentava il ritmo. Diede ancora un'occhiata all'eccitazione tra le gambe di Levi, godendo immensamente del fatto che non fosse scemata neanche un po', nonostante avesse deciso di non dedicarsi ancora ad essa. Ancor di più lo fece impazzire il fatto che l'amante non avesse deciso di darsi piacere da solo, di non colmare quella mancanza, come se si fidasse ciecamente delle capacità di quello che, in fin dei conti, altri non era che uno sconosciuto. Gli morse il collo, gli graffiò la pelle, lo marchiò i tutti i modi possibili. Voleva che Slayer ricordasse precisamente, anche nei giorni che avrebbero seguito il loro amplesso, quello che gli aveva fatto.
«Sei... mh- insopportabile.» sbuffò contro la sua carne, sentendosi quasi al limite e maledicendo le contrazioni che Levi aveva ogni qualvolta colpiva la sua prostata, che traditrici lo mandavano pian piano tra le braccia della sua disfatta.
«Ci pensi- Ah, cazzo! Ci pensi tu a rimettermi in riga?» domandò a quel punto malizioso. Levi era sicuramente la scopata più oscena della sua vita, lontana anni luce da tutte le altre. Eren, animato da quelle parole, uscì fuori dal suo corpo, ignorando le sue proteste. Lo afferrò per una spalla facendolo voltare bruscamente, poi lo schiacciò contro la parete, succhiando il suo collo e facendo scendere una mano tra le sue gambe, prendendo a finalmente a toccarlo. Levi si contorse sotto le sue dita, fremette ad ogni singola pompata e tremò, ormai prossimo all'orgasmo. Proprio ad un secondo dal picco di massimo piacere, Eren lo lasciò andare, inginocchiandosi per sfilargli completamente via i pantaloni, rimasti fino a quel momento semplicemente abbassati. Accompagnò quel gesto, prendendo la cappella del corvino tra le labbra e succhiandola forte, inebriandosi della vista del suo capo abbandonato contro il vagone e dei suoi occhi umidi che faticavano a rimanere aperti.
Quando ebbe finito si risollevò, studiò il petto dell'altro che si alzava e abbassava velocemente sotto il suo respirò, poi arpionò la parte inferiore delle sue natiche con i palmi e lo sollevò di peso, rubandogli un sospiro sorpreso. Levi immediatamente avvolse le gambe attorno alla vita del più alto, la schiena ancora parzialmente poggiata contro la fredda superficie e le mani piazzate sulle solide spalle, contratte per lo sforzo.
Eren lo fece scendere sul suo sesso, veloce, quasi brusco, abbandonandosi ad un ansito roco. Non aveva mai fatto sesso in quella posizione, non gli era nemmeno mai passato per la testa di provarci; con il corvino invece gli era venuto naturale e a giudicare dalla reazione che era riuscito a rubargli, capì di aver fatto la scelta migliore.
Levi era lussuria allo stato puro, così disinibito e a suo agio con il proprio corpo, così bello da rubare il titolo a chiunque altro Eren avesse mai visto.
Affondò in lui velocemente, martellò il suo interno fino ad individuare la posizione più comoda per raggiungere ancora la sua prostata. Sembravano un corpo solo, tanto si muovevano armoniosamente insieme nella rincorsa all'orgasmo: erano un ammasso di gemiti e di schiocchi umidi.
«Di più, ah- Eren, più veloce. - ed Eren obbedì a quella supplica, andando ormai ad un ritmo malato e baciando l'altro a bocca aperta. - Sì, così! Scopami, così!» Eren assecondò i desideri dei loro corpi, fregandosene dell'affanno e della stanchezza, speranzoso che il miglior sesso della sua vita durasse il più a lungo possibile.
Fu del tutto impossibile trattenersi: quando Levi venne, sporcando il loro ventri e gemendo a gran voce il suo nome per Eren fu la fine. Si riversò nel preservativo con un grido soffocato, i polpastrelli affondati nei glutei del compagno; i muscoli tesi si rilassarono improvvisamente e in quel momento seppe che non sarebbe riuscito a rimanere ancora per molto in quella posizione. Così, lentamente, si costrinse a piegarsi alle proteste del suo corpo, calandosi sulle ginocchia con Levi ancora stretto tra le braccia che ansimava pesantemente.
Attesero, immobili in quella posizione, che il sangue ricominciasse a circolare normalmente nei loro corpi e che il cuore rallentasse la furiosa corsa post orgasmo. Si guardarono, restando seri per alcuni istanti prima di lasciarsi andare ad una risatina imbarazzata.
«Mi devi delle spiegazioni.» cominciò Eren, prendendo a baciare i segni che aveva lasciato al suo amante sul corpo.
«Ti conosco da un po'.» confessò Levi, passando le dita tra la zazzera castana e scompigliata del più piccolo, giocherellando con le ciocche umide che gli ricadevano sulla fronte.
«E?»
«E mi piacevi.» continuò, senza vergognarsi minimamente di quel segreto svelato.
«Quindi, fammi capire, hai deciso di farmi incazzare per sedurmi? Mi sembra controproducente.»
«Quando ci ho provato con te la prima volta non mi hai degnato nemmeno di uno sguardo.» disse Levi, facendo spallucce, come se quella notizia fosse una cosa da niente.
«Frena, tu non ci hai mai provato con me.» Eren assottigliò gli occhi, confuso all'inverosimile mentre si specchiava nelle iridi dell'altro. Non poteva essere vero, come avrebbe potuto non soffermarsi a guardare uno come Levi?
«Certo che l'ho fatto! Qualche settimana fa. Sulla fermata del'autobus. Ho provato ad avere un approccio con te chiedendoti delle informazioni e tu mi hai snobbato.» rispose piccato e con un sopracciglio inarcato.
«Non ci credo. - disse sorridendo, ma Levi risultò mortalmente sincero. - Voglio seppellirmi.» mormorò, nascondendo il viso nell'incavo del collo di Levi.
«Tranquillo, Eren. Io non perdo mai.» lo informò, ghignando maliziosamente.
«Hai rovinato i miei murales!» sbottò offeso, non riuscendo nonostante ciò ad essere arrabbiato quanto avrebbe dovuto.
«Diciamo che li ho migliorati. - Eren lo guardò malissimo, facendogli accennare un sorriso vero, poi Levi si avvicinò al suo orecchio. - Non te la prendere. In fondo prima me ne hai fatto vedere uno molto da vicino. - lo provocò e, approfittando del fatto che l'erezione rilassata del castano fosse ancora seppellita nel suo corpo, strinse i muscoli per stimolarla. - Credo tu ti sia vendicato a sufficienza, o sbaglio?» Le iridi di Eren s'illuminarono, cariche di sfida.
«Forse. - disse, spingendosi nel suo corpo. - O forse no.» Levi sospirò, chiudendo gli occhi e beandosi di quella nuova stimolazione.
«Quando la tua sete di vendetta sarà finita, esci con me.» propose il corvino, sistemandosi a cavalcioni sui fianchi del ragazzo e prendendo ad ondeggiare sinuosamente. Eren affondò i denti nel labbro inferiore, annuendo con un cenno del capo.
«Domani sera?» chiese, godendosi il ritmo dettato dal più basso e sentendo il suo pene ormai nuovamente eretto.
«Domani sera»
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