𝘀𝗼 𝘁𝗮𝗸𝗲 𝘁𝗵𝗶𝘀 𝗻𝗶𝗴𝗵𝘁
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La prima volta che ho visto Kuroo Tetsurō, mi sono reso conto che non so gestire bene quanto credevo i miei istinti.
La prima volta che ho visto Kuroo Tetsurō un brivido ha percorso la mia schiena, si è infilato sotto il mio maglione, ha raggiunto il collo.
La prima volta che ho visto Kuroo Tetsurō mi sono reso conto che se non mi fossi girato immediatamente dall'altra parte, se non mi fossi messo a correre via da quegli occhi ambrati, sarebbe successo qualcosa. Sarei cambiato.
Possiamo dire, in qualche senso, che la prima volta che ho visto Kuroo Tetsurō, ho iniziato ad innamorarmi di lui.
Ma andiamo con ordine.
Mi pento di aver messo gli stivaletti alla caviglia perché le suole rigide fanno rumore quando cammino, e attirano l'attenzione. Il cappotto lungo color caramello sfiora i polpacci mentre muovo le gambe minute calzate in un paio di pantaloni neri di velluto, larghi sul fondo, e il maglione rosso infilatovi sotto mi fa il solletico a contatto con la pelle.
Gli occhi delle persone nella stanza si girano tutti verso di me.
Non porto il completo, non sono nel mio solito outfit da evento, ma sanno perfettamente chi sono.
Il mio aspetto tenero, la mia statura minuta, il movimento evasivo dei miei occhi ingannano.
Ma io sono il boss del Nekoma. Uno Yakuza.
Il mio sguardo vola verso il basso, si incolla al pavimento di marmo scuro, mentre avanzo ancora fino ai divanetti di pelle scarlatta al centro della sala.
Non è una festa, è un brunch. Un brunch che pullula di gente che lavora con o per me.
Un brunch al quale non volevo partecipare.
Gli invitati mi salutano educatamente, ma lascio che le loro parole rimangano prive di risposta. Non ho voglia di parlare e spero di finire questa stronzata il prima possibile. Odio sprecare il mio tempo in inutili manifestazioni sociali che non hanno nessun fine.
Porgo il cappotto ad uno dei camerieri e accetto volentieri una tazza di caffè americano da un altro, prima di sedermi sul divano centrale davanti ad un piccolo gruppo di tre persone.
Al centro una delle mie maggiori collaboratrici, una donna di mezza età con i capelli di un posticcio biondo cenere e le unghie lunghe come artigli, laccate di rosso. Ride e la sua voce mi disturba, alta e rumorosa.
Sulla sinistra sua figlia, identica alla madre, solo più giovane e grazie a Dio meno fastidiosa.
E sulla destra c'è lui.
Non ho idea di chi sia. Non l'ho mai visto, e sono sicuro di non aver mai sentito il suo nome.
Ma non riesco a togliergli gli occhi di dosso.
Un sorriso lievemente storto e accennato sul viso, assieme al luccichio permanentemente malizioso delle sue iridi ambrate dominano il suo viso. I capelli sono scuri, corvini, sembrano spettinati come se fosse appena uscito dal letto ma si sposano stranamente bene con la sua figura. E' alto, snello, le sue gambe sembrano chilometriche, e il modo in cui la maglietta nera con lo scollo a V si piega sul suo corpo mi fa intendere che abbia un fisico decisamente degno di nota.
E' meraviglioso.
Mi arrossisce la punta del naso, la sento bruciare, quando mi sporgo per salutare.
- Kenma, caro, non ti ho ancora presentato il mio accompagnatore di oggi! Kuroo, su, saluta! - dice la signora al centro, che mi sembra chiamarsi Harumi, o Haruko, o qualcosa del genere.
Il misterioso sconosciuto si esibisce in un sorriso ancora più seducente, ancora più malizioso, e si sporge verso di me, allungando la mano.
- E' un piacere conoscerla, signore. Io sono Kuroo Tetsurō. -
Ha una voce melodiosa, bassa, e dolce.
Stringo le mie dita fini fra le sue.
- Kozume Kenma. -
Dopo quelle parole non sembra volerne dire più. In effetti, rimane zitto, immobile come una statua, come un soprammobile da esibire, al fianco di quella vecchia che striscia le sue unghie da strega sulla sua coscia.
Non so perché mi dia così fastidio vederglielo fare.
Non me lo spiego.
So soltanto che, discorso concluso e brunch sul tavolo, ad un certo punto Kuroo si guarda l'orologio, alza un sopracciglio verso la signora e si congeda, sparendo.
Quando mi saluta, però, c'è qualcosa di diverso. Il suo viso è sempre meraviglioso, sempre invitante e carico di promesse, ma sembra stanco.
Non so nemmeno perché quando lo vedo allontanarsi sento l'impellente bisogno di alzarmi.
Apro la porta del bagno e lo trovo con le mani nel rubinetto, l'acqua gelida che scorre fra le dita, il volto sfinito.
- Chi sei tu, davvero? - mi ritrovo a chiedergli.
Non ho idea di che cosa io stia dicendo. Parlo d'istinto, e per me è così strano farlo che nemmeno mi riconosco.
Gira la testa di scatto, gli occhi allarmati, il corpo in tensione.
Mi avvicino di qualche metro.
- Non sono nessuno, signore. -
- Con quella donna, cosa ci fai? -
Gli attraenti tratti del suo volto assumono una facciata confusa.
- In che senso? -
Faccio un altro passo nella sua direzione.
- Perché sei qui, Kuroo? -
Inspira lentamente, poi sorride di nuovo. Non in quel modo sensuale e sghembo, ma con rassegnazione.
- Perché la sua collaboratrice mi ha pagato per accompagnarla. La cosa la disturba? Se è così mi premurerò di fare in modo che non accada più. -
Ah, ecco cos'era.
Quel volto stanco di quando se n'è andato.
- E ti piace? -
Scuote la testa e sospira.
- La signora Harumi? O il lavoro? -
- Entrambi. -
Ridacchia, si asciuga le mani e avanza verso la porta.
A pochi centimetri da me si ferma, gli occhi sui miei e il suo respiro che mi sfiora la pelle.
- Mi fanno schifo. -
Si scosta, e se ne va.
Non l'ho visto per mesi, dopo quella volta.
Non ne ho avuto occasione.
Finché non ho deciso di cogliere la palla al balzo quando ho scoperto che la signora Harumi intratteneva contatti sospetti con un qualche membro di un'altra associazione mafiosa.
Mi serviva un informatore, e chi meglio del ragazzo pagato per accompagnarla in tutte le occasioni ufficiali in cui si presentava?
Così l'ho prenotato. Ho prenotato il tempo dell'escort più richiesto di Tokyo, per un'intera giornata. Così, da un momento all'altro. Mi hanno detto che i clienti prenotati per oggi hanno avuto un esaurimento nervoso, quando l'hanno saputo, che trovare un angolo del suo tempo è impossibile e io avevo rubato il loro posto senza se né ma.
E ora sono seduto sulla sedia di pelliccia bianca - me l'ha regalata Sugawara ed è eccezionalmente comoda, a mia discolpa - della mia scrivania mentre attendo che il servizio che ho comprato mi venga comodamente recapitato sul posto di lavoro.
Ovvero mi godo l'inspiegabile senso di attesa mentre un paio di gambe lunghe si avvicinano alla mia porta di vetro con una falcata diretta e un sorriso sghembo si forma sulla faccia di Kuroo.
Appoggia la porta sulla maniglia, entra, si ferma sull'uscio.
- Buongiorno, signore. Spero non la infastidisca se non mi sono presentato vestito in un determinato modo ma quando mi hanno chiamato non mi è stato specificato come dovessi... -
- No. -
Inarca le sopracciglia interdetto, quando lo interrompo.
Indico con la mano la sedia di fronte alla mia scrivania e si siede con circospezione.
- Non parlarmi come se fossi uno dei tuoi clienti. Ti ho pagato solo perché mi sembrava scortese prendere il tuo tempo quando è la tua fonte di sostentamento. -
Un guizzo luminoso cattura i suoi occhi.
- Ok, quindi cosa...cosa vuole che faccia? -
Agito la mano davanti alla mia faccia con indecisione.
- Quello che vuoi. Comportati come vuoi. Basta che tu risponda alle mie domande. -
Annuisce, poi sembra quasi che si tolga una maschera. In un attimo il suo viso diventa meno seducente e più infantile, ugualmente bello ma in modo meno lascivo. Il suo corpo si rilassa, il gomito raggiunge la scrivania e il mento la mano aperta.
- Mi dica. -
Rimango un attimo infinito a fissarlo in questo nuovo modo in cui si è posto di fronte a me.
Sto iniziando a credere di avere un'ossessione per quest'uomo bello e misterioso.
- La signora Harumi. Spostamenti, contatti, passi falsi. Dimmi tutto quello che sai. -
Infila la lingua in mezzo ai denti e sibila.
- Mi sta chiedendo una cosa difficile, sa? E' nel mio codice da galantuomo mantenere i segreti di una signora. - risponde, e sembra che voglia lanciarmi una sfida quanto i suoi occhi ambra sfavillano davanti ai mei.
Potrei minacciarlo, dirgli che mi basterebbe premere due numeri sulla tastiera del cellulare per farlo ammazzare qui e ora, ma non voglio che abbia paura di me. Voglio stare al suo gioco.
Spalanco gli occhi di fronte a lui e mi sembra di vederlo trattenere il respiro.
- Per favore. - mormoro, senza distogliere lo sguardo.
Rimane imbambolato per un secondo. Fisso, immobile, dritto a guardarmi.
- Se me lo chiedi così, micetto... - gli scappa dalle labbra e in un secondo sento le mie guance diventare rosso fuoco.
- Come mi hai chiamato? -
Si mette le mani di fronte alla bocca, gli occhi in un'espressione imbarazzata.
- Scusi! Scusi, glielo giuro non volevo dirlo ad alta voce! E' che sembra davvero un gattino carino, quando fa quell'espressione! -
Tra le vampate di colore al mio viso, scoppio a ridere. Una risata cristallina, delicata.
Altro che escort più richiesto di Tokyo.
Altro che dongiovanni bello e dannato.
Kuroo Tetsurō è un coglione.
- Va bene, posso anche starci. Puoi chiamarmi...in quel modo e puoi darmi del tu. Ora rispondi alle mie domande. -
Sussurro poi, la mia voce ridotta ad un filo e la mia faccia sono convinto abbia il colore degli incendi australiani.
Rimane con la bocca semiaperta di fronte a me, ma non dice di no.
Prende un grande respiro.
- Lei ha a cuore la signora Harumi? -
Scuoto la testa.
- Perfetto. Quella vecchia pazza mi prenota quattro volte a settimana. E mi fa anche schifo il modo in cui mi guarda, ma questo ora non è importante. Sono almeno tre settimane che mi porta in posti che non conosco, a Tokyo est, penso nel territorio della Shiratorizawa o del Karasuno. L'altro ieri ha provato della cocaina di quella gente. Parlava di merce, di transazioni, di un container al porto che non ha registrato da nessuna parte. -
Eccola. Beccata.
Prendo il cellulare dalla tasca e cerco Yaku nella rubrica.
Mi risponde Lev, il suo ragazzo, con la solita voce squillante e allegra.
- Ciao Capo. Morisuke sta dormendo, devo svegliarlo? -
- Sì. Dovete andare a guardare fra le ultime cose che ha registrato Harumi, la vecchia con le unghie da strega. Se non risulta niente nelle ultime tre settimane andatela a prendere, interrogatela. Dovrebbe avere un container pieno di droga al porto, trovatelo e portatelo da noi. -
Alzo lo sguardo verso Kuroo davanti a me e appoggio la mano sullo speaker del cellulare.
- Ti serve viva? - sussurro.
Rimane un attimo immobile a pensare. Poi scuote la testa.
- Naah. - risponde.
Non so perché, sorrido.
- Ammazzatela. - concludo al telefono, e attendo un "ricevuto" prima di chiudere la telefonata.
Chiudo le braccia sul tavolo e ci appoggio la fronte sopra.
E anche questa è fatta.
Rimango immobile finché Kuroo, che mi fissa stranito, tossisce per attirare l'attenzione.
- Non voglio essere scortese o metterti fretta micetto...ma ora cosa dovrei fare? -
Appoggio il mento sulle braccia e lo guardo.
- Non lo so. A me serviva solo sapere di Harumi. -
Ridacchia.
- Mi hai prenotato per un giorno intero. Quanto contavi di metterci a farmi una semplice domanda? -
Mi mordicchio il labbro inferiore.
- Forse mi aspettavo che fossi una persona integra e che provassi a rifiutarti un paio di volte, prima di spiattellare tutto alla prima persona che te lo chiede. -
Assume un'espressione offesa.
- Sono profondamente ferito. - afferma, una mano davanti alla bocca.
Sorrido di fronte alla sua pessima recitazione, e nemmeno lui riesce a tenermi il broncio ancora a lungo.
Apre il viso in un ghigno a metà e appoggia nuovamente il mento sul palmo aperto, osservandomi dritto negli occhi.
- Scherzo, micetto. Non me ne può fregare di meno di cosa succede a quella vecchia stronza. -
Come pensavo.
Lascio svolazzare la mia mano in aria.
- In realtà non so perché ho prenotato il giorno intero. Se vuoi puoi rimanere qui, o andare a casa. Come ti pare. Non rivorrò i miei soldi indietro. - rispondo infine, e un minuscolo nodo di nervosismo si forma in me.
Non voglio che se ne vada. Ma non voglio nemmeno obbligarlo a rimanere.
I suoi occhi ambrati scintillano di speranza, quando si avvicina a me con il busto ampio, come se riuscisse davvero ad annullare lo spazio della scrivania fra noi.
- Non dirmi che vuoi che torni a casa così in fretta, micetto. Posso rimanere. -
Il nodo si scoglie ma il cuore inizia a martellarmi nel petto quando mi rendo conto di cosa stia facendo. Kuroo sta flirtando. Sta apertamente flirtando con me.
Non so perché il pensiero mi piaccia tanto.
Sorrido innocentemente al suo viso malizioso.
- Speravo l'avresti detto. - sussurro appena, e mi sembra di vedere i nostri sguardi appesi l'uno all'altro per una quantità di tempo indefinito.
Poi la tensione si spezza.
- Allora, che cosa dobbiamo fare? - mi chiede.
Alzo un sopracciglio.
- "Dobbiamo"? -
Annuisce.
- Oh sì. Non credere che ti farò lavorare da solo e rimarrò qui a guardarti come un idiota. Mi annoierei. -
Ha senso.
Tiro un pesante librone di pelle dall'angolo del tavolo di legno scuro fino a lasciarlo entrare nel mio campo visivo, e apro esattamente alla pagina di oggi.
Stranamente, le linee scritte nella mia calligrafia stretta sono poche. Non ho molto da fare.
- Incontro con Bokuto e cena fuori. - leggo ad alta voce.
Aggrotta le sopracciglia.
- Bokuto del Fukurodani? Quel Bokuto? -
Annuisco.
Siamo amici, se così si può dire, e per quanto la sua reputazione non sia quella dell'uomo più dolce di Tokyo, posso assicurare che è uno dei più grandi idioti che conosca.
Lo vedo ingoiare la saliva e sorridere in maniera tirata.
Ma so che si ricrederà.
Anzi, a giudicare dalla notifica che appare pigra sul cellulare è in procinto di ricredersi fra pochi secondi.
Lo sentiamo prima che arrivi.
I passi sono pesanti, la presenza è dominante, e sta cantando a squarciagola "Farò di te un uomo" di Mulan.
Idiota.
Kuroo spalanca gli occhi, si gira completamente sulla sedia da ufficio e pianta lo sguardo sulla vetrata della porta, portando lo sguardo assieme al mio all'uomo vestito di bianco che avanza.
Bokuto, un metro e ottantasette di muscoli e i capelli bianchi sparati in aria con il gel, punta l'indice verso di me, lanciando un'occhiata a Kuroo nel mio ufficio.
- E sarai, veloce come è veloce il vento... - canta, la sua voce stonata che risuona nell'ambiente ristretto.
Con mia grande sorpresa, un idiota ancora più grande è seduto di fronte a me.
Allunga il braccio verso la sagoma massiccia di fronte al vetro.
- Un uomo vero senza timori... - risponde Kuroo, la voce non particolarmente intonata ma la verve pari a quella di Bokuto.
Il minaccioso uomo di fronte a noi spalanca gli occhi dorati, che iniziano a brillare.
- Potente come un vulcano attivo! -
Mi sembra di vederli chiudere gli occhi simultaneamente, nonostante non possa vedere il magnifico viso di Kuroo che mi sta dando le spalle.
E' come se aspettassero una percussione o un riff della base che solo loro sentono nella testa.
Poi tendono il braccio uno verso l'alto e in un urlo quasi ferino, che danneggia le mie orecchie ma riempie il mio cuore, finiscono la canzone.
- Quell'uomo che, adesso non sei tu! -
Rimango interdetto mentre scoppiano a ridere. Bokuto si infila nella porta e apre le mani sulle spalle di Kuroo mentre si sganasciano contemporaneamente dalle risate.
Kuroo che ride è bello da vedere.
Ma la gelosia attanaglia la bocca del mio stomaco.
Anche io vorrei avere la capacità di Bokuto di appoggiare le mani sul suo corpo senza diventare del colore del sole.
- Kenma, bambino, chi è quest'uomo meraviglioso che hai qui con te oggi? - mi chiede poi Bokuto, che tenta di riprendere fiato ma è palesemente provato dalla sua risata torrenziale.
Si asciuga una lacrima e lascia una pacca affettuosa sulla spalla del mio ospite.
Sorrido freddamente.
- Bokuto, lui è Kuroo. Kuroo, lui è Bokuto. - li presento, e si sorridono a vicenda.
Kuroo sorride a trentadue denti, affiancando con la mano il viso di Bokuto. Passa il pollice con affetto sulla sua guancia, prima di ridacchiare piano.
- Se fossi il mio tipo di uomo ti chiederei di sposarmi immediatamente. - gli confessa, e mi si stringe di nuovo la pancia.
Quanto vorrei che lo stesse dicendo a me.
Bokuto allunga le labbra in un bacio diretto in aria, e poi ridacchiando si stacca, sedendosi sul lato della mia scrivania sorridendomi.
Ah, sembra che si sia accorto che esisto.
- Kenmaaaaaaaaaaaa! - urla, a pochi centimetri dalla mia faccia, facendomi trasalire per lo spavento.
Annuisco brevemente.
- Bokuto. -
Si illumina e si spiaccica con la schiena sulla superficie dura, osservando il soffitto con aria sognante.
Eppure non parla.
- Bokuto, hai detto al mio segretario che ti serviva assolutamente un incontro oggi. Quindi, che problema c'è? Hai bisogno di uomini, di supporto per qualche operazione, che cosa... - mi zittisce con un sospiro.
Scuote la testa.
- No, è peggio. Molto peggio. -
Il che vuol dire che è una stronzata colossale e che sta sprecando il mio tempo. Dio, se non fossimo amici ora l'avrei già cacciato a pedate.
Kuroo però sembra interessato, e in modo quasi inconsapevole scivola da davanti alla mia scrivania al mio fianco, osservando la faccia del mio amico steso.
Non riesco a concentrarmi, però. Il modo in cui il suo corpo alto e snello si appoggia sul bracciolo della mia poltrona, la confidenza totalmente innocua e ingenua che mi sta offrendo. La sua mano sullo schienale è a pochi centimetri da me, e mi ritrovo a sperare che stringa le punte delle dita sulle mie ciocche di capelli chiari.
Vorrei sentire come le sue dita lunghe si muovono contro la mia testa.
Vorrei che mi toccasse.
Scuoto via i pensieri.
- Dai, Bokuto, dicci. - lo invito poi.
Le sue palpebre si stringono per un attimo, assieme a tutto il suo corpo, e poi sospira ancora.
- Posso fidarmi di te Kuroo, no? Sai a memoria le canzoni di Mulan, ma se scopro che riferisci quello che dico in giro ti taglio le gambe. - mormora.
E ha ragione. Gli stiamo dando fiducia, lasciandolo qui. Non dovrebbe sentire, non dovrebbe avere accesso a noi così facilmente. Potrebbe essere chiunque, con le peggiori intenzioni.
Ma nella mia vita non mi sono mai fidato di nessuno. Mai.
E questa volta, voglio rischiare.
Non so perché voglio farlo, e so allo stesso modo che rischiare per qualcuno che conosco a malapena è stupido. Ma per una volta nella mia vita, una, una soltanto, decido di essere istintivo. Di lasciarmi catturare dalle mille sensazioni confuse che si agitano nella mia pancia.
Annuisco. E mi lascio andare indietro, il capo che si appoggia sul suo avambraccio e gli occhi che lo raggiungono da dietro.
Gli lancio un'occhiata lunga, indagatrice.
Non mi sembra un traditore, e spero con tutto il cuore che non lo sia.
- Andare a dire in giro qualcosa di privato dei boss del Nekoma e della Fukurodani è un suicido. Non sono così idiota. - risponde poi Kuroo, e per un secondo soltanto la sua mano si infila fra i miei capelli e li pettina gentilmente con il movimento delicato delle dita.
- E poi non mi va di dire niente a nessuno. -
Sorride, e lo faccio anche io.
E' così... intimo. Il modo in cui mi guarda.
Il mio cuore perde un battito.
Poi la voce tonante di Bokuto interrompe la nostra bolla di perfezione e intimità.
- Ok, ok, ci sto. Allora, ieri sono andato in quell'archivio che ti avevo detto, a cercare il tipo super bravo incredibile fantastico che ci lavora. Faceva schifo, il posto, intendo. Ma porca di una puttana se lui non è la cosa più bella che io abbia mai visto. Ha degli occhi azzurri letteralmente da orgasmo. Lo voglio, Kenma, lo voglio davvero. - borbotta.
Le sue parole mi colpiscono. E' praticamente quello che provo per Kuroo. Ma lascerò passare l'idea di avere qualcosa in comune con niente meno che Bokuto Koutarou.
- Prenditelo. Se lo vuoi vai e prenditelo. - risponde l'uomo dietro di me, prima che io possa anche solo formulare una frase.
Bokuto emette un lamento acuto.
- Ci ho provato! Ieri gli ho chiesto di salire da me e ha detto di no! - si lagna.
Scuoto la testa ridacchiando.
- Magari vuole essere corteggiato, magari non è tipo da dire "sì" al primo stronzo che passa. - ribatto.
Bokuto spalanca gli occhi.
- Ma io non sono il primo stronzo che passa io sono... -
Lo interrompo con un'occhiataccia.
- Tu sei il boss della Fukurodani, sì, lo sappiamo. Ma vuoi che stia con te perché sei grande grosso e cattivo o perché gli piaci davvero? -
Sembra illuminarsi di realizzazione.
- Insomma, io non vorrei che qualcuno stesse con me perché ha paura di me. Mi piacerebbe...piacergli, ecco. - continuo, e un sento un rossore caldo spandersi sulle mie guance. So che lo sguardo di Kuroo è fisso sul mio viso, in questo momento.
- Come se esistesse qualcuno a cui non piaci. - borbotta di rimando, e so di arrossire ancora quando fingo di non averlo sentito.
Bokuto si alza improvvisamente dalla scrivania, si lancia verso la porta e si gira all'ultimo.
- Sei un genio, bambino, sei un genio assoluto! Ora vado a trovarlo. Così si innamorerà di me! - urla, e Kuroo scoppia a ridere dietro di me.
- Portalo a pranzo. E fagli capire che non lo stai facendo perché sei il suo capo ma perché ti va di farlo. E non parlare di lavoro, cerca di capire qualcosa in più su di lui. Togliti il completo, mettiti qualcosa che ti faccia sembrare rilassato, lo farà sentire a suo agio. Cerca di non infilarti nei suoi pantaloni ogni quaranta secondi. - gli dice, e le sue parole mi ricordano dolorosamente che cosa faccia per vivere.
Lui sa come sedurre le persone, sa come farle sentire importanti.
Sono cose che fa giornalmente, strattagemmi che ha imparato con anni di esperienza.
E un pensiero si insinua nella mia testa.
Magari non sta facendo nulla di diverso con me.
Magari il modo in cui si comporta, quel modo tenero e allettante, è tutta una farsa per non darmi sui nervi. Non voglio che giochi con i miei sentimenti.
Bokuto annuisce, ringrazia, e scappa correndo, come il grande e grosso idiota che è.
E rimaniamo ancora una volta da soli, questa volta però la tensione è palpabile, e le domande continuano ad accumularsi nella mia mente.
- Lo stai facendo anche con me? - sussurro poi, incerto, e con un filo di voce.
Non dovrei mostrarmi così fragile, ma a questo punto, me ne sto allegramente sbattendo.
- Che cosa? -
- Non parlare di lavoro, vestirti in modo informale, farmi capire che non lo fai perché sono uno Yakuza ma perché ti va di farlo. Farmi sentire a mio agio. -
Si congela e rimane fermo un secondo. Poi sorride.
- Se lo stessi facendo, ti darebbe fastidio? -
- Sì. -
- E perché? -
- Perché non mi piace che ti comporti in un modo solo per farmi piacere. -
Le sue dita raggiungono il mio capo ancora, i polpastrelli che si appoggiano sulla ricrescita scura e si muovono dolcemente in una carezza consapevole.
- E vale solo per me? O ti dà fastidio con tutti? -
Abbasso lo sguardo.
- Solo... solo con te. Non trattarmi come se fossi un tuo cliente. Te l'ho già detto. -
Si allunga verso di me e le sue labbra si appoggiano sulla mia guancia delicatamente. Sento la pelle del viso nel punto in cui mi ha baciato prendere fuoco.
- Non lo sto facendo, micetto. -
Ok, penso che potrei avere un infarto, se la conversazione continua su questa linea.
E la morte non è uno dei miei obiettivi principali, al momento, quindi decido immediatamente di cambiare discorso.
- Stasera. A cena. Non puoi venire vestito così. - blatero, tirando fuori il primo pensiero cosciente dal mio cervello.
Kuroo rimane un attimo interdetto, ma poi fa finta di nulla e scrolla le spalle.
- Devo passare a casa, se serve che mi vesta bene. - commenta, ma non voglio che se ne vada. Voglio rimanere con lui.
- Ti accompagno. -
Sorride sornione.
- Volentieri. -
Casa sua è piccina. E' un appartamento di poche stanze, buio e con uno strano e forte odore di caffè. Sento la porta chiudersi alle mie spalle quando mi invita ad entrare e devo ammettere che si sposa stranamente bene con lo sfondo.
Alto e scuro su uno sfondo ampio e buio.
E' fatto apposta.
- Scusa se non è particolarmente ordinata. Non pensavo che avrei portato un super mafioso in casa mia, stamattina. - commenta, e ridacchio alla battuta mentre lo osservo appoggiarsi in ginocchio sul pavimento e cercare con lo sguardo qualcosa.
Non ho la minima idea di cosa stia facendo finché quella che somiglia pericolosamente ad una palla di pelo arriva zompettando davanti a lui, si ferma e appoggia il muso sulla coscia solida.
E' un gattino. Un gattino grande quando la mia mano, minuscolo e gracile che arruffa la sua pelliccia nera sulle gambe lunghe di Kuroo.
- Ciao, piccino. - mormora, accarezzandogli il muso con le punte delle dita.
Mi abbasso anche io, e avvicino la mano al nasino rosa.
Il micino si allontana un attimo da me, come avesse paura, ma dopo qualche istante inizia ad annusare la mia mano, e con una lappata della sua lingua ruvida capisco che posso iniziare anche io ad accarezzarlo.
- Non ti facevo tipo da gatti. - commento, mentre non riesco a fare a meno di sorridere mentre percepisco la pelliccia morbida fra le dita.
- L'ho trovato in mezzo alla strada qualche giorno fa per caso. Non potevo lasciarlo là. -
Annuisco.
- E' carino. Come si chiama? -
Kuroo distoglie lo sguardo.
- Non... non importa. -
Oh, è per caso imbarazzo quello che vedo sul suo bellissimo viso? Imbarazzo sulla faccia dell'uomo più seducente del pianeta?
- Dimmelo o ti sparo. -
- Non lo faresti mai. -
- Vuoi vedere? -
Ride, prima di guardarmi fisso negli occhi.
- Antimonio. Come l'elemento chimico. Nella sua forma instabile può essere giallo o... nero. Come lui. - risponde poi, arrossendo appena e scostando le mani dalla creaturina.
Il gattino scala le mie ginocchia calzate nei pantaloni e si adagia sul mio grembo, come se fosse particolarmente a suo agio tra le mie braccia, iniziando ad arruffare la testa in corrispondenza del mio ombelico.
- Ti piace la chimica? -
- Amo la chimica. La studiavo... la studiavo all'università. -
Continuo ad accarezzare il mostriciattolo nero fra le mie gambe.
- Posso chiederti perché non la studi più? -
Kuroo allunga un braccio verso di me, passando il pollice sull'orecchio sottile di Antimonio, e poi guarda di nuovo me, il viso che è più vicino al mio di quanto non lo sia mai stato.
- Il mio lavoro. Il rettore ha scoperto il mio lavoro e mi ha cacciato. E non ho i soldi per pagare un'altra università, quella era la più accessibile e l'unica che potevo permettermi di frequentare. -
Sento il risentimento nella sua voce, la rabbia, la tristezza.
Afferro il suo polso con le dita sottili, stringendolo per un secondo.
- Mi dispiace. - è l'unica cosa che riesco a dire, ma i suoi occhi sono pacati sui miei e sembra apprezzarlo.
Si alza.
- Vado a prendere i vestiti. -
Annuisco, e rimango qui, fermo, immobile. In un appartamento piccolo e buio e un gattino randagio in braccio.
Non voglio uscire da questa casa.
Non mi va per davvero.
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