8. Il museo
Soundtrack — Fearless,
Taylor Swift
🏙️
Sono trascorsi solo un paio di giorni dall'ultima volta che ho visto Caleb, da quell'ultima volta in cui ci siamo scambiati il nostro primo bacio. Sento ancora le nostre labbra sfiorarsi, poi perdersi l'una nell'altra, ricercando qualcosa di profondo e surreale.
La verità è che, quella sera, gli ho aperto anch'io le porte del mio cuore raccontandogli tutto quello che era successo; è stato lui a farmi capire tante cose e una delle più importanti è stata quella di non arrendermi con il mio lavoro alla Summit. Per quanto grande, è stato solo un fallimento, soltanto un articolo. Ce ne saranno molti nella mia carriera, alcuni più importanti di altri, ma questo è stato soltanto il primo approccio.
E, nonostante tutto, mi ha aiutata a capire come funzionano i fili di Manhattan e, soprattutto, chi li muove.
Per questo mi sono buttata a capofitto nel lavoro: mi sono stati assegnati argomenti semplici, ma li ho accettati senza fiatare, portando a termine tutti gli articoli richiesti. Ho scoperto che non è così difficile come pensavo scrivere di moda o pettegolezzi, e Sophie si è sempre dimostrata un'attenta ascoltatrice, dandomi la soddisfazione di rivelarle degli scandali durante l'ultima festa di compleanno di Stacy Moore, una giovanissima influencer che ha fatto di Instagram la sua stessa vita, condividendo tutto in diretta, persino il tradimento del fidanzato con sua sorella.
Ed è proprio di questo che le sto parlando mentre siamo appollaiate sul divano del mio loft, a sorseggiare un tè caldo e con la coperta di pile addosso, i nostri visi riscaldati dalle lucine appese sopra il mobile della cucina.
Alex è nella sua stanza, con la musica nelle orecchie, ma non escludo il fatto che stia origliando la nostra conversazione in puro stile 'Gossip Girl'. D'altronde, come una volta disse Dan Humphrey, le pareti dei loft di Brooklyn sono davvero sottili. Potrebbe anche essere stata la piccola J a dirlo, ma comunque non cambia nulla.
Raccontarle dell'altro argomento è più difficile, oltre che vagamente rischioso. So che dovrei dirle di Caleb e voglio farlo davvero, ma credo che parlarne lo renderebbe troppo reale e mi costringerebbe ad affrontare seriamente la situazione.
Sono stata bene insieme a lui, con Central Park illuminato dalla luce candida della luna e la luce dei suoi occhi a scaldarmi il cuore in una sera in cui ho riscoperto i nostri ricordi, imparando a guardarli da una prospettiva del tutto diversa. Ma ho anche paura delle conseguenze: siamo amici da tanto tempo ormai e ci conosciamo da quasi tutta la vita e sono terrorizzata all'idea che, se tra noi andasse male, perderemmo anche tutto quello che già abbiamo. Perderemmo la nostra amicizia.
So cosa vuol dire restare senza le persone che più si amano, ma non vorrei mai che questo capitasse a me e Caleb.
«È davvero assurdo che mi sia persa questa diretta» commenta la mia migliore amica.
La sua faccia imbronciata mi suscita una risata.
«Ci sono altre novità?» chiede, bevendo una lunga sorsata di tè ai frutti rossi. Speravo di riuscire a nascondere la mia apprensione con una semplice chiacchierata tra noi, ma a quanto pare Sophie si accorge di tutto e questo è il mio segnale di svuotare il sacco.
«L'altro giorno ho visto Caleb, abbiamo passeggiato per Central Park e poi...» cerco le parole giuste per dirlo, ma forse non ce ne sono. Devo farlo e basta. «Ci siamo baciati».
Dall'altro lato del divano, Sophie non si scompone, come se non avesse nemmeno ascoltato quello che ho detto. E per un attimo spero davvero che la mia voce si sia persa nell'aria, ma il secondo dopo le sue labbra si allargano, facendole sorridere anche gli occhi.
«Oh, che sia benedetto Dior! Lily, era ora!» si sporge in avanti, reggendosi sulle ginocchia e mi abbraccia con tanto trasporto che quasi rotoliamo entrambe per terra.
«Tu lo sapevi?» le chiedo d'impulso, con un'espressione stupita sul viso.
«Eri tu l'unica che non si rendeva conto che Caleb è innamorato di te. A quanto pare né tu né tuo fratello siete molto svegli considerando questo aspetto» dice lei ed io la colpisco con un cuscino.
«Ho paura di rovinare tutto, Sophie».
«Perché dovresti?»
«Siamo amici da tanto tempo, se non funzionasse...»
«Smettila di preoccuparti per il futuro, Lily. Non puoi saperlo, ma se Caleb ti rende felice hai già la tua risposta...» Sophie fa una pausa, cominciando ad intrecciarsi i capelli. «Se invece non provi lo stesso, non farlo soffrire».
Mi rende felice? Certo, che lo fa. Ma è mio amico, gli voglio bene almeno quanto voglio bene a Sophie. Non ho mai pensato alla possibilità che la nostra amicizia si trasformasse in tutto questo.
«Io... non lo so» confesso, ma lo sguardo della mia amica è comprensivo e so già che sta per darmi il suo consiglio migliore.
«Non devi decidere per forza adesso, e questo non vuol dire che ora le cose tra voi saranno diverse. Vedi semplicemente come va, e cerca di capire se è lui l'amore della tua vita».
L'amore della mia vita, non ci ho mai pensato. Conoscevo soltanto un tipo di amore, ed era quello per mio padre. Ma Sophie ha ragione, non farò nessuna scelta affrettata perché non voglio rischiare né di ferire Caleb né, inevitabilmente, anche me stessa.
Lascerò che il tempo scorra, sperando che il mio cuore riuscirà a trovare la sua risposta a questa domanda immane.
🏙️
Il giorno dopo, in ufficio e con il calore del sole che entra dalle grosse vetrate dell'edificio, stilo una lista lunga e dettagliata di tutte le informazioni circa il nuovo articolo: si tratta di un servizio fotografico, il primo dopo la convalescenza di una famosa modella.
Ovviamente io non la conosco, ma facendo le mie ricerche ho scoperto che i giornali di tutta New York hanno parlato della sua rovinosa caduta da cavallo in un circolo di polo mentre era in vacanza negli Hamptons e questo, inevitabilmente, l'ha costretta a restare fuori dalle varie sfilate per un po' di tempo.
Speravo almeno di poter avere un'intervista da farle, ma mi devo limitare a raccontare del suo ritorno in scena e, giusto per l'occasione, del servizio fotografico in suo onore.
Sto ancora scrivendo la mia lista quando vedo con la coda dell'occhio un'ombra dominare sulla mia postazione. Alzo istintivamente lo sguardo e vedo Nick, in piedi dall'altra parte della scrivania. È la prima volta che lo incontro dopo il Palace e, non so perché, ma provo un certo imbarazzo in questo momento.
Parlare col senno di poi è sempre molto più semplice, ma ora che guardo le cose e tutto quello che è successo quella sera con un certo distacco, mi rendo conto che non sarei dovuta andare via così. Ma l'espressione sul suo viso abbronzato non è di rimprovero. Mi guarda con una certa curiosità negli occhi.
«Hai un secondo?» chiede, sistemandosi la giacca nera sulle spalle. Il colletto della camicia è perfettamente stirato e, inconsciamente, mi chiedo come faccia ad essere sempre così imperturbabile e impeccabile.
«Certo» mi alzo e liscio con le mani le pieghe della gonna.
Può sembrare banale, ma uno dei motivi per cui amo fare la giornalista sono gli abiti che indosso in ufficio: tubini, camicette e blazer, pantaloni eleganti e tacchi. Mi danno la giusta carica e anche una buona dose di fiducia in me stessa. Soprattutto dopo che Sophie mi ha assicurato che i colori chiari e neutri mi stanno cromaticamente bene e si abbinano ai miei capelli biondi.
Seguo Nick direttamente nel suo ufficio.
«Chiudi la porta, per favore»
Un po' controvoglia faccio quello che mi ha chiesto. Mentre camminavamo nel corridoio molti colleghi mi hanno guardata in modo strano, non vorrei che pensassero che il nostro capo facesse dei favoritismi. Anche perché, se sapessero quello che è successo con Steve Roberts, sarebbero sicuri che Nick non è così.
«Siediti, prego».
«Sto bene così» incrocio le braccia sotto al seno.
Nick si porta una mano tra i capelli, agitandoli, come se fosse nervoso. È estremamente più bello quando sono spettinati, ma obbligo il mio cervello a cancellare questo dettaglio.
«Io... volevo solo chiederti scusa, Lily»
I suoi occhi incontrano i miei e sono sicura che è sincero. Vorrei dirgli che, in fondo, ho capito il suo gesto e c'è una parte di me che rispetta la sua tenacia a proteggere il padre perché forse anch'io avrei fatto lo stesso, ma lui è più veloce di me a parlare e si alza in piedi con uno scatto.
«Vieni con me, vorrei parlarti di una cosa».
Mossa dalla curiosità mi ritrovo a seguirlo come una calamita lungo i corridoi finestrati della Summit. Questa volta prendiamo l'ascensore e in un secondo siamo al primo piano.
«Abby, mi assento solo per un momento» lo sento dire mentre attraversiamo l'ingresso. Istintivamente, mi ritrovo a sorridere mentre svoltiamo l'angolo, quello che ci ha fatto scontrare le prime volte.
«Certo, signor Montgomery» gli risponde lei, forse sorpresa di vedere anche me.
«Dove stiamo andando?» chiedo quando vedo la sua auto parcheggiata fuori dall'edificio.
«Ti piacerà» la sua voce non fa trapelare altro, ma la mia curiosità cresce.
Ci sediamo entrambi sui morbidi sedili della limousine, lui di fronte a me. La sensazione che avevo avuto la prima volta di disagio torna a farsi protagonista in me, perciò volto lo sguardo sul finestrino oscurato solo per non dover incrociare il suo.
Dopo una manciata di minuti l'auto si ferma, Nick mi aiuta a scendere e rimango per un secondo stupita di essere di fronte al Met. Ma Nick non si sbilancia e mi conduce attraverso la scalinata del museo.
Attraversiamo la sezione dedicata all'arte greca e romana con le statue bianche e magnifiche e poi Nick cammina fino alla collezione degli artisti europei. Succede tutto così in fretta che solo quando si ferma riconosco uno dei quadri più belli di Monet, 'Lo stagno delle ninfee'.
Vorrei chiedergli perché siamo qui, ma non oso fiatare e danneggiare quest'atmosfera di calma placida e stoica. Ho visto questo dipinto molte volte nei libri di arte, ma averlo ad un solo respiro di distanza è un'emozione troppo bella per rovinare questo momento. La sala è deserta, visto la giornata feriale e soprattutto l'orario di metà mattina.
È Nick, con una voce quasi incantata, a spezzare questo idillio. «Mio padre mi portava al museo tutte le domeniche ed io restavo ore a fissare questi quadri».
«Quindi sei un artista?» chiedo d'impulso, spingendolo a parlare della sua infanzia. E, incredibilmente, mi rendo conto che mi piacerebbe davvero sentirlo rivivere i ricordi di quando era piccolo.
Per la prima volta da quando siamo entrati, Nick si volta verso di me, incrociando il suo sguardo con il mio. C'è una luce nei suoi occhi, una luce meravigliosa che li fa brillare come stelle del firmamento.
«Mi piace apprezzare la bellezza dell'arte, in tutte le sue forme».
Per un attimo, sento che il modo in cui mi sta guardando è troppo da sostenere e vorrei solo avere aria fresca da respirare, ma non ho il coraggio che serve per distogliere lo sguardo. Non ho il coraggio di smettere di pensare che, in questa sala, riesco quasi a vederlo bambino mentre ammira i più grandi capolavori dell'arte. Non riesco a smettere di pensare che qui la sua anima è una pura continuazione di questi quadri.
Che questo è il suo posto, pieno di una bellezza immortale e irraggiungibile.
«All'inizio non volevo avere nulla a che fare con l'azienda di mio padre, volevo andare quanto più lontano possibile da New York e mettere distanza tra me e il mondo effimero dell'Upper East Side. Ma il destino mi ha chiamato ad assumermi le mie responsabilità e farmi carico della rivista» si blocca per un momento, ma i suoi occhi non smettono mai di guardarmi.
Ed io quasi mi cibo di quel suo sguardo, come se facesse scorrere nuova linfa vitale.
«Ma io non sono mio padre. Apprezzo e rispetto quello che ha fatto, ma non sono tagliato per parlare di sfilate di moda e feste, né desidero farlo. Io voglio dare una nuova impronta alla Summit, voglio che diventi un luogo dove si respiri la bellezza dell'arte, della musica e della poesia» e come se stesse cantando un vero sonetto, le pagliuzze dorate negli occhi di Nick si illuminano raggiungendo la più radiosa e pura gradazione dell'oro.
«Voglio aprire una nuova rubrica in cui si parla delle mostre d'arte più belle, da Manhattan a Brooklyn, di concerti improvvisati per le strade o nella metropolitana e, soprattutto, voglio che scrittori e poeti emergenti ci inviino le loro opere per poterle pubblicare a puntate, come i vecchi feuilleton».
«Come 'Madame Bovary' o 'Guerra e pace'» anche i miei occhi si illuminano e Nick annuisce sorridendo.
«E voglio che sia tu ad occupartene, Lily».
Il mio cuore perde un battito quando pronuncia il mio nome.
«Perché io?» mi metto sulla difensiva, perché ho paura. Quello che mi sta offrendo va oltre ogni mia plausibile immaginazione. Qui si parla di curare interamente una rubrica giornalistica, cercare gli spunti e scrivere gli articoli. Non posso negare a me stessa che sarebbe un sogno, ma non posso neanche mentire. E questa cosa mi fa tremendamente paura.
Nick mi guarda ancora sorridendo, poi si volta leggermente verso il quadro che abbiamo di fronte e che si staglia come una cornice quasi infinita.
«Chiudi gli occhi, Lily, e dimmi cosa vedi».
All'inizio non capisco cosa voglia dire, ma cullata dalla sua voce velluta, mi ritrovo ad osservare per un ultimo secondo il quadro di Monet e poi chiudo gli occhi. Riesco ancora ad immaginare la tela oltre il nero delle palpebre, ma presto qualcosa cambia.
«Vedo il verde luminoso degli alberi che si riversa come pioggia splendente sull'acqua cristallina e il ponte giapponese attraversato dalla luce del sole. Le piccole ninfee, fragili come ali di farfalle, si muovono appena seguendo l'increspatura dolce e sinuosa del lago. Sento il vento che, leggero come una melodia, soffia il suo alito caldo, donando nuova vita. Sento il sole infuocato di un pomeriggio d'estate, incontestato in un cielo limpido, che riscalda la pelle e fa scintillare l'acqua, come se nelle sue profondità ci fossero grossi diamanti, come l'esplosione di mille stelle».
Quando riapro gli occhi, Nick è molto più vicino e sta sorridendo. Sembra assurdo, ma sento i nostri cuori martellare allo stesso ritmo come se avessero trovato la loro frequenza preferita.
Nick mi sfiora le mani e una scia infuocata di brividi parte da questo contatto appena accennato. Il suo braccio risale lentamente parallelo alla mia pelle, fino a scostarmi sulle spalle una ciocca di capelli.
«Per questo voglio te, Lily» e non serve che dica altro, perché capisco quanto le nostre anime siano affini e i nostri cuori legati da un filo invisibile ma tenace. Capisco che percepiamo quest'arte allo stesso modo, perché anche lui ha tenuto gli occhi chiusi e ha visto esattamente quello che ho visto io.
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