5. Vecchi segreti

Soundtrack — Gorgeous,
Taylor Swift

🏙️

Caleb non scherzava quando, nel messaggio, avanzava l'ipotesi di una festa. Tornando a casa, infatti, sono stata accolta dalle urla di Sophie e dagli abbracci di Alex. Il nostro piccolo appartamento ora è pieno di lucine colorate e candele e un buonissimo profumo di cioccolato aleggia nell'aria.

«Non avevo dubbi» si avvicina mio fratello portandomi un bicchiere pieno di spumante.

Gli sorrido, poi sento la presenza di Caleb alle spalle. «Comunque sarebbe andata, ci avresti trovati tutti qui per te» i suoi occhi, calmi e verdi, si posizionano su di me.

«Qualcuno doveva pur mangiare tutti i muffin che ha preparato Sophie» scherza Alex.

La mia amica, da sempre appassionata di cucina, ha per l'appunto preparato una montagna di delizie, tutti i nostri dolci preferiti: muffin alla vaniglia con gocce di cioccolato per me, una crostata alle albicocche per Alex e dei brownies per Caleb.

Lei si avvicina, lentamente e con la spatola ancora in mano. «L'ho fatto per Lily». Indossa un buffissimo grembiule di Alex stretto attorno alla vita e ha la guancia sporca di farina. «Ho solo sbagliato le quantità».

«Grazie, Sophie» le dico, scostandole i ciuffi rossi che le ricadono sul viso e abbracciandola.

Lei c'è sempre stata. Nel bene e nel male.

Non mi ha mai lasciata da sola.

Spero soltanto di essere stata anch'io una buona amica per lei quando aveva bisogno di me.

Trascorriamo una serata bellissima. Mi sento fortunata ad avere amici come loro, che riescono a capirmi e a supportarmi.

Quando Alex costringe Caleb a provare un nuovo videogioco in camera sua, io e Sophie restiamo appollaiate sul divano a mangiare patatine, le luci della città che infiammano il cielo e in sottofondo alla televisione l'inizio di 'Casablanca'.

È il momento perfetto per raccontarle tutto quello che è successo in questi giorni: degli incontri con Nick Montgomery, del fatto che non mi ha detto subito chi fosse, lasciando che lo scoprissi in questo modo. Lei mi ascolta con la bocca aperta, come se le stessi raccontando la trama di qualche film avvincente.

«A me è sembrato soltanto gentile. Insomma, non ti ha detto subito chi era perché tu sei partita in quarta e non voleva rovinare tutto» questa è la sua sentenza. Ma, d'altronde, dovevo aspettarmi un commento simile. Sophie è convinta che gli uomini siano sempre tutti dolci e disponibili, che il loro modo di essere è semplicemente frutto degli stereotipi della società.

Basterebbe guardare a tutti i casi umani con cui è uscita per stroncare sul nascere questa tesi, ma non glielo faccio notare, non mi sento di prenderla in giro dopo tutto il lavoro che ha fatto per preparare i dolci e per essere venuta qui e stare insieme a me. In fondo Nick ora è il mio capo, meno problemi avrò con lui, più possibilità avrò di mantenere il mio posto di lavoro, oltre che, probabilmente, anche la dignità.

«Te l'ho detto, Alex: non mi piacciono questi giochi da cervelloni. Sono noiosi» commenta Caleb, entrando in soggiorno, seguito a ruota da mio fratello.

«Solo perché perdi sempre» ribadisce lui. A volte non riesco a credere che Alex sia davvero più grande di me: ha ventiquattro anni, ma è come se ne avesse appena dodici.

Caleb si siede sul divano accanto a Sophie, completamente esausto.

«Vediamo un film? 'Casablanca' è appena iniziato» propone lei.

Io e Sophie amiamo i film in bianco e nero, danno tutta un'altra prospettiva della realtà e questo è in assoluto uno dei nostri preferiti. La suspense, l'avventura, il patriottismo e, ovviamente, l'amore.

Caleb acconsente con un cenno del capo, mentre Alex si accomoda alla poltrona, stendendo le sue lunghe gambe sul tavolino davanti al divano.

Durante la scena finale, quella maggiormente ricca di pathos in cui lui lascia andare lei nonostante l'amore che li lega, vedo Sophie addormentarsi, la mano sotto la guancia e il respiro regolare, i capelli che le incorniciano il volto come un'aureola infuocata.

Anche Caleb si alza.

«Aspetta, ti accompagno» dico, facendo attenzione a non svegliare Sophie. Anche Alex sembra particolarmente stanco.

«Grazie per esserci stato, Caleb. È importante per me» siamo ormai sul pianerottolo, lui ha recuperato la sua giacca di pelle e mi sta guardando. I suoi occhi brillano ed io mi ritrovo involontariamente a fissarli.

«Lo so. Buonanotte, piccola Lily».

Di nuovo quel soprannome. Credevo che se ne fosse dimenticato, invece lo ha usato ancora una volta. Non so come reagire, mi ha completamente spiazzata. Ma lui non sembra in imbarazzo, anzi. Si sporge leggermente, posandomi un bacio delicato sulla fronte.

Quello che avviene nei secondi successivi è completamente annebbiato nella mia testa: lui che se ne va, io che chiudo la porta e poi spengo la televisione. Sophie che dice frasi che non riesco a decifrare, Alex che se ne va a dormire.

Tutto quello a cui la mia testa riesce a pensare è Caleb, il modo in cui mi ha guardata, i suoi occhi.

🏙️

È lunedì. Apro lentamente gli occhi, ma poi mi ricordo che questo è il mio primo giorno di lavoro alla Summit, per cui mi impongo di alzarmi immediatamente. So comunque che sarò in ritardo, ma almeno mi riservo l'illusione di fare le cose con calma.

La doccia calda rilassa in parte i nervi, ma sono comunque tesa. Esco di casa mentre Alex sta ancora dormendo e mi avvio alla fermata della metro. Controllo velocemente i messaggi, ma a parte un 'stendili tutti, sono fiera di te' da parte di Sophie, non c'è nulla.

Caleb sembra essere sparito in questi giorni. Dopo la piccola festa che mi hanno preparato per la mia assunzione, dopo che ci siamo salutati in quel modo, lui non si è fatto più sentire.

Forse sono io che mi sto costruendo castelli in aria, facendo troppo rumore per nulla, ma sento comunque che dobbiamo parlare.

Trascorro questa mezz'ora di viaggio continuando a leggere il mio libro. In parte riesce a calmarmi, calando la mia mente nella storia, ma quando viene annunciata la mia fermata, sono di nuovo preda dell'ansia. So che è normale, è una paura buona. Sento che sto facendo veramente qualcosa di buono per me stessa, qualcosa che possa spianarmi la strada verso il futuro che desidero.

Entrare alla Summit NY magazine come giornalista, esibendo il mio cartellino personale, è un tipo di sensazione che non pensavo di poter provare. Gli uffici sono tutti al quinto piano, per cui mi dirigo all'ascensore: come avevo già previsto, sono in ritardo e, in più, ho anche i tacchi. Passo dalla reception e, questa volta, c'è Abby. Mi saluta con un sorriso raggiante ed io non posso far altro che ricambiare. «Benvenuta! Me lo sentivo che ce l'avresti fatta» mi dice.

Il piano è completamente affollato; cerco la mia scrivania, dev'essere una delle ultime dal momento che la maggior parte è già occupata. Sono tutte posizionate una accanto all'altra su due file, con un enorme corridoio nel mezzo che crea la giusta privacy per lavorare comodamente e, se serve, chiedere facilmente consiglio a chi ti sta accanto. In fondo, un bancone di legno con varie macchinette per il caffè e bollitori per preparare il tè. Non c'è il profumo di carta vecchia e ingiallita che sognavo, ma posso accontentarmi di quello del caffè.

Finalmente trovo la mia postazione, si affaccia su un enorme lastrone che si apre su tutta Manhattan; le mie vertigini mi vietano di avvicinarmi troppo, ma c'è la giusta distanza perché possa camminare e guardare Central Park senza la costante paura di cadere.

Forse non sarà poi così male lavorare alla Summit.

Mentre cerco ancora di posizionare tutte le mie cose senza far cadere nulla, sento gli altri ammutolire all'istante e, per reazione, mi volto.

Nick Montgomery è appena entrato, l'espressione professionale stampata sul viso. Si muove lentamente tra le scrivanie, raggiungendo il centro della sala. È alto, indossa un semplice maglione bianco a collo alto e un paio di pantaloni sartoriali, i capelli sempre perfetti e gli occhi vispi.

«Benvenuti alla Summit» esordisce, con voce suadente. «Sono molto felice di iniziare insieme a voi questa nuova era della Summit NY magazine. Mio padre mi ha lasciato in eredità l'azienda e, con essa, i valori fondanti della rivista. Ma io non sono lui. Ci saranno presto delle novità e molte modifiche che non vedo l'ora di condividere con tutti. Per il momento, sappiate che ho scelto personalmente ognuno di voi e che, quindi, su tantissimi candidati ho deciso di puntare su di voi» fa una pausa e i suoi occhi attraversano tutta la sala.

Ho l'impressione che si focalizzano su di me troppo a lungo, ma nessuno sembra farci caso.

«Su ciascuna scrivania troverete una notizia estratta casualmente tra quelle che ci hanno fornito le nostre fonti. Forse molti di voi non saranno ferrati sull'argomento che vi è capitato, ma siate professionali. È una specie di test, una prova per testare le vostre abilità e capire quali sono i vostri punti di forza e quelli di debolezza» continua.

Sento di nuovo l'ansia e la pausa farsi strada dentro di me. Vorrei subito scoprire il foglio sulla scrivania e vedere quale argomento mi è capitato, ma sono tutti fermi e immobili ad ascoltare Nick, per cui mi impongo di non fare sciocchezze.

«Ci tengo anche a precisare che non tutti i vostri articoli saranno pubblicati nel nuovo numero, ma questo sarà un modo che mi permetterà di capire per cosa siete maggiormente portati» spiega alla fine.

Credo che la sua sia una tecnica giusta, persino meritocratica. Eppure non riesco a placare il martellare impetuoso del mio cuore.

«Detto questo, grazie per l'ascolto. Buon lavoro a tutti» non ho mai visto quest'espressione sul volto di Nick: è serio, professionale. Non c'è nemmeno un accenno di quel suo bel sorriso.

Quando se ne va, vedo tutti fiondarsi alle loro scrivanie. Mi siedo anch'io cercando di controllare il respiro e apro la piccola busta.

Si tratta di un'asta di beneficienza alla quale sono state invitate le famiglie più importanti di New York e che si terrà questo venerdì nella hall del Palace Hotel.

L'evento è stato organizzato da un certo Steve Roberts, ma il nome non mi suona estraneo: Sophie deve avermi per forza già parlato di qualcosa di simile. Verranno venduti oggetti vintage di alta moda, donati per l'occasione dagli stessi marchi. Il pezzo più importante sarà una borsa di Chanel in pelle bianca e nera, stimata almeno diecimila dollari e donata direttamente dalla boutique di Parigi.

C'è in allegato anche la foto della borsa in questione: mi sembra assurdo che si possano spendere così tanti soldi. Ma, almeno, il ricavato sarà devoluto ad una associazione che si occupa di dare riparo ai senzatetto delle strade di New York.

Non è assolutamente un articolo nelle mie corde, ma sono stata fortunata. Poteva capitarmi qualcosa di peggio: per lo meno i ricchi beniamini dell'Upper East Side daranno il loro contributo alla comunità.

Mi metto subito a lavoro e, come prima cosa, controllo la mia fonte. Steve Roberts è uno degli organizzatori di eventi esclusivi più importanti di tutta Manhattan, ha già organizzato tantissime aste di beneficienza, oltre che sfilate e rinfreschi, anche se non ci sono molte informazioni al riguardo.
Tranne per le apparizioni pubbliche legate al suo lavoro e le interviste rubate e pubblicate sulla pagina dedicata della Summit, sembra un fantasma.

Il che non mi stupirebbe nemmeno, ma questa è l'Upper East Side, un circolo abbastanza ristretto ed elitario, dove tutti sono sempre sotto ai riflettori. Tra gli invitati, infatti, noto il nome di Irina Strauss, oltre a quello della famiglia Montgomery.

Tuttavia, il non aver informazioni su Steve Roberts mi rende le cose molto più difficili e per questo, durante la pausa pranzo, decido di chiamare Sophie: lei saprà sicuramente dirmi ciò che mi serve.

Come sospettavo, si rivela ben disposta a darmi una mano e mi basta fare il nome del Palace per sentirla strillare dall'altro capo del telefono. Le mando tutto quello che ho, compresa la foto della borsa di Chanel.

«Lily, sei sicura?» mi chiede ad un certo punto.

«Certo, qual è il problema?»

«Questa non è una vera Chanel» dice lei, la voce ridotta ad un sussurro. «Conosco questo modello, è stato lanciato durante la sfilata direttamente a Parigi. Il logo è troppo grande e la trama trapuntata ha le cuciture tutte sbagliate. Hai la foto dell'interno della borsa? Sono sicura che non c'è nemmeno la sigla sulla patta».

«No, Sophie. Le foto sono soltanto per la descrizione, e sono tutte dell'esterno» dico, dopo aver controllato.

«Allora non ci sono altre spiegazioni, Lily. Questa borsa è un falso».

Riattacco dopo averla salutata. La mia mente comincia a ragionare in modo frenetico: si è trattato di un errore? Oppure qualcuno ha voluto mandare questa borsa di proposito?

È ormai pomeriggio, molti hanno già terminato il loro articolo e lo hanno fatto avere a Nick persino prima di pranzo. Mentre io sono ancora qui, a cercare di risolvere un problema che non è assolutamente di mia competenza.

Ho trascorso la maggior parte del tempo a mandare messaggi ed email a chiunque potesse mettermi direttamente in contatto con Steve Roberts, ma è una persona quasi impossibile da rintracciare.

E infatti non sono riuscita ad ottenere nulla. Ho mandato persino un'email alla boutique di Parigi, per chiedere chiarimenti circa lo stato di spedizione della borsa, ma dubito che mi rispondano nelle prossime ore.

Potrei sempre chiedere a Nick: è stato invitato all'asta, per cui mi sembra probabile che lui e Steve si conoscano, ma non voglio subito rinunciare alla mia sfida. Fa parte anche questo del mio lavoro e spetta a me scoprire la verità.

Per fortuna i dipendenti del Palace Hotel si sono rivelati disponibili: Steve Roberts sarà lì già da questa sera, in modo da occuparsi personalmente dell'allestimento dell'asta. Ci farò un salto dopo, sperando che lui sia disposto a parlare.

L'ufficio si sta svuotando man mano, sono già le sei passate e le luci della città si riflettono contro il vetro della finestra. Ho continuato ad analizzare tutti i lavori precedenti di Steve Roberts: le esposizioni d'arte, le sfilate e tantissime feste esclusive, giusto per vedere se fossero già spuntati in passato problemi simili. Ma gli articoli che ho trovato sono tutti dei copia e incolla, sottolineano la serietà e il clima mondano di questi eventi. Non si dice nulla sugli oggetti delle varie aste o sui vestiti.

Sto per abbandonare la mia ricerca e andare direttamente al Palace, quando trovo un file criptato sul software dell'azienda. Per fortuna bastano le mie credenziali a sbloccarlo.

È datato 1998. Si tratta di una denuncia lanciata dallo staff di Michael Kors contro Steve Roberts: lo stilista lo ha accusato di aver venduto proprio ad un'asta una borsa falsa ad un valore maggiore di cinquemila dollari, infangando il nome del marchio e perdendo credibilità agli occhi di tutti gli esponenti dell'alta moda. Si è evitato il processo solo perché si è riuscito a trovare un accordo tra le parti. Lo scandalo ha comunque fatto scalpore per un po', ma poi tutti i giornali hanno eliminato gli articoli al riguardo perché Steve Roberts ne ha pagato la cancellazione, facendo cadere nel dimenticatoio la notizia.

Mi chiedo perché anche la Summit abbia provveduto a criptare questo tipo di informazione, ma poi, facendo qualche calcolo, mi rendo conto che la rivista del signor Montgomery ha aperto proprio nel 1998; all'inizio dev'essere stato difficile farsi strada nel gigantesco mondo editoriale di New York e sono sicura che Steve Roberts ha pagato per questo silenzio.

Questa volta inserisco nella barra di ricerca altre parole chiave, ed ecco che mi esce subito quel che sto cercando: l'assegno di Steve Roberts alla Summit NY magazine. Sul contratto c'è scritto che la Summit ha ceduto alcune delle sue azioni, ma sono più che sicura che si tratti di una copertura. I tempi combaciano e le esigenze di Steve Roberts pure: se la notizia avesse continuato a circolare, nessuna casa di moda avrebbe più voluto collaborare con lui.

Il signor Montgomery è stato costretto a cancellare l'articolo per non dover chiudere l'intera azienda.

Quindi non si tratta di un caso, Sophie ha ragione sulla borsa. E Steve Roberts sta provando nuovamente a truffare tutta New York: chissà dove andranno a fine tutti i soldi che saranno raccolti durante l'asta, sicuramente non ai senzatetto della città.

Neanche mi rendo conto dell'orario, quando vedo Nick avvicinarsi alla mia scrivania. L'ufficio è completamente vuoto.

«Ti sei messa d'impegno vedo» ha già il cappotto addosso. Sembra molto più rilassato rispetto a questa mattina, ed è anche incredibilmente più bello ora che ha i capelli spettinati. «Vuoi restare in ufficio fino a domani?»

«No, in realtà sto per andare. Devo controllare una cosa per il mio articolo» dico, senza lasciargli intendere nulla, ma lui sembra piuttosto incuriosito.

«Cos'hai trovato?» chiede, appoggiandosi alla scrivania.

Vorrei non doverglielo dire, ma tanto lo scoprirà comunque, quindi alla fine cedo. «L'asta non si può fare» comincio a dire ma lui mi interrompe subito, divertito.

«Tutta l'Upper East Side non vede l'ora di contendersi quella borsa».

«Ed è proprio questo il problema: la borsa è un falso. Ho chiesto alla mia... esperta di moda e lei mi ha giurato che non è una vera Chanel» mi blocco un attimo, attenta a non fare il nome di Sophie, non si rivela mai l'identità di una propria fonte.

Nick rimane in silenzio, sembra stupito, ma anche incredulo. «Mi è sembrato assurdo, quindi ho fatto le mie ricerche. Credevo che fosse un errore, ma non è la prima vota che Steve Roberts prova a truffare la gente» continuo.

«Cosa?» Nick è del tutto spiazzato. Si avvicina per controllare anche lui il file sul computer e il suo profumo mi investe completamente.

«Ho trovato questo documento» dico, mentre lui lo legge con attenzione.

«È stato denunciato da Michael Kors» la sua voce è più bassa, come se non riuscisse a crederci.

«Ha provato a vendere un falso. Si è vietato il processo per un pelo solo perché ha pagato per il silenzio di tutti quanti» aggiungo. «Incluso per quello della Summit» resto per un momento in silenzio, mentre Nick analizza il resto dei file che ho trovato.

«È assurdo, ha ricattato mio padre per anni. Prima lo ha costretto a non pubblicare quell'articolo e poi lo ha usato per avere sempre delle esclusive sulla rivista».

«Mi dispiace» dico, e sono sincera. Non dev'essere facile per lui scoprire una cosa del genere.

«Andrai a parlare con lui?» chiede, dopo un silenzio infinito.

Annuisco. «In questo momento è al Palace a sistemare tutto per l'asta. Gli chiederò di rilasciare una dichiarazione in merito».

«Bene, vengo con te».

Adesso sono io quella incredula. «Questo è il mio articolo».

«Ma questa è la mia azienda. Voglio sapere se qualcuno prova a truffarmi» dice, e il suo tono, seppur dolce, non ammette repliche.

Così lo guardo mentre aspetta che mi infili il cappotto e prenda tutte le mie cose. So che adesso dovrei pensare a tutt'altro, ma invece mi soffermo su di lui.

È così vicino che lo sento quasi respirare. È molto più alto di quanto mi aspettassi e da vicino si notano delle pagliuzze dorate negli occhi. Vorrei distogliere lo sguardo, ma non ci riesco perché, inaspettatamente, anche lui sta guardando me.

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