4. Il colloquio
Soundtrack — Wildest dreams,
Taylor Swift
🏙️
La metropolitana è in assoluto il mio emblema preferito di New York. Frettolosa, enigmatica e senza alcuna regola.
Mentre anch'io cammino velocemente per assecondare l'andatura di tutti gli altri, tengo stretto tra le mani il mio caffè e il libro che stavo leggendo fino ad un attimo prima. 'Uomini e topi' di Steinbeck.
Mi fermo per un istante ad osservare gli altri: gente di ogni tipo che cammina dritta per la sua strada senza curarsi di nessuno, ma per lo più studenti con grossi zaini e le cuffie nelle orecchie. Per un momento mi sembra di essere investita da tutta questa frenesia, inglobata completamente all'interno della sua morsa, ma poi mi rendo conto che si tratta di musica.
Una delicata armonia di archi si contrappone allo stridio delle porte dei vagoni della metro che si aprono e chiudono in continuazione. Vicino all'uscita della stazione di Court Square si è radunata una piccola folla.
La gente è immobile, come se si trovasse in una bolla lontana dal caos della città, ad osservare un ragazzo con il violino. Il suo tocco con l'archetto è delicato e suona una musica meravigliosa e dolce. Ha gli occhi socchiusi sulle corde del violino, i capelli che gli ricadono sulla fronte e le braccia che oscillano ad ogni più minimo movimento dello strumento. Sembra cullato da un'onda invisibile. Noto subito la custodia rivestita in velluto rosso ai suoi piedi. È piena di volantini blu, con inciso qualcosa di dorato che splende sotto le luci artificiali della metropolitana.
Accanto a lui, una ragazza si muove seguendo il ritmo delicato della musica, le scarpette da ballo finemente allacciate alle caviglie sottili. Danza con la grazia di una nuvola, compiendo ampi giri e arcuando la schiena in splendidi archi.
Quando la musica si interrompe e il balletto finisce, i due ragazzi fanno un inchino e iniziano a distribuire i volantini.
Mentre salgo le scale, ritrovandomi esposta al vento autunnale che soffia impetuoso, ne leggo il contenuto: è uno spettacolo, 'Il lago dei cigni', che gli studenti dell'Academy of Arts di New York metteranno in scena tra una settimana. La performance di quei ragazzi è stata impeccabile, e sono quasi sicura che a lei è stato affidato il ruolo di Odette.
Non che io ne capisca qualcosa di balletto, ma ho sempre subito il fascino del teatro, un luogo incantato in cui ogni magia può diventare reale, ogni sogno può avverarsi. Magari riuscirò a costringere Sophie a venire con me. Quando era piccola anche lei faceva danza, abbandonare gli studi è stato doloroso soprattutto perché aveva un talento raro e unico, ma sono sicura che le farebbe piacere vedere questo balletto.
Mi stringo nel cappotto e cammino fino all'Università; ormai New York è entrata completamente nella stagione autunnale. Le strade sono piene di foglie secche, che contribuiscono a dare un alone di mistero alla città. La biblioteca è enorme, e quasi tutta piena. Tra un mese iniziano gli esami, mi sembra giusto che tutti si diano da fare per studiare, d'altronde è quello che sto facendo anch'io.
Trovo un posto libero ad uno dei lunghi tavoli circondati da scaffali alti e pesanti di libri. Dovrei finire il mio tema per Filosofia Politica e sono incredibilmente in ritardo con la mia tabella di marcia.
Leggo e rileggo più volte quello che già ho scritto, correggendo o eliminando parti. Mi appunto al margine del foglio tutti gli approfondimenti che mi sono venuti in mente, come la digressione su Hannah Arendt e 'Le origini del totalitarismo' oppure il celebre discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925. Dopo appena un'ora, ho già scritto la maggior parte delle cose su cui voglio concentrarmi, ma la vibrazione del telefono mi fa perdere del tutto il filo del discorso.
Probabilmente è Alex che si diverte ad importunarmi mentre studio. Vuole farmela pagare perché questa mattina sono andata via presto, lasciando la montagna di piatti da lavare in cucina.
Ma non è Alex.
È una notifica da parte della Summit.
Resto immobile per un momento, incapace di far arrivare l'aria nei polmoni, dimenticando persino come si fa a respirare. Quasi mi tremano le dita quando apro l'email che mi hanno inviato.
È incredibile.
Mi hanno contattata per sostenere il colloquio finale.
Oggi pomeriggio.
🏙️
Non sono nervosa. Non c'è motivo di esserlo. O, per lo meno, è questo quello che mi ripeto da più di un'ora.
Ricordo mentalmente quello che ha detto Abby: se mi hanno richiamata così velocemente, vuol dire che la mia lettera di presentazione è piaciuta. Vuol dire che ho davvero una possibilità di entrare alla Summit NY magazine come giornalista.
Sono qui, di fronte all'enorme edificio nel pieno centro di Manhattan, ma non ho ancora trovato il coraggio di varcarne la soglia. Valuto l'opzione di fare un giro a Central Park, solo perché è vicino e perché sono sicura che riuscirà a tranquillizzarmi. Ma non credo di averne il tempo.
Ho indugiato fin troppo e se non entro adesso non lo farò più. Così, faccio un bel respiro, mi sistemo le ciocche bionde dietro le orecchie ed entro.
Come sempre, un dolce aroma di vaniglia mi investe completamente. Questa volta, però, non c'è Abby al tavolo della reception. Speravo di trovare almeno un viso amico, ma è un ragazzo ad indicarmi l'ufficio del signor Montgomery, dove si terranno i colloqui.
Nonostante mi sia ripetuta continuamente di restare calma, l'ansia e la paura si impossessano del mio corpo. E quando raggiungo il quinto piano di questo enorme edificio, la situazione non migliora: il piano è interamente pieno di persone, ragazzi che come me devono sostenere il colloquio. Persone che sperano con tutte se stesse di lavorare alla Summit.
La voglia di girare i tacchi e andarmene è molto alta. Non so nemmeno perché sto facendo questo colloquio se non desidero davvero lavorare qui. Sophie ha ragione, a me non interessano la moda o i pettegolezzi, non mi interessa conoscere l'ultima collezione di Vivienne Westwood né le tendenze sui social. Questo posto non coincide assolutamente con il mio modo di pensare e, certamente, non si allinea con il contributo che vorrei dare al mondo.
Ma poi mi ricordo della promessa che ho fatto a mio padre quando ero troppo piccola per capire il peso di un giuramento. Avevo promesso a papà che avrei sempre lottato per i miei sogni, che avrei sempre fatto il possibile. E, soprattutto, che non avrei mai smesso di scrivere.
Lo so che ormai non può più essere qui con me, ma ho comunque l'impressione che se ora vado via, in qualche modo questo deluderebbe mio padre. E forse, tra un milione di anni, quando sarò abbastanza vecchia da pensare a questo giorno come ad un lontano ricordo della gioventù, deluderebbe anche me.
La concorrenza è alta, ci sono davvero tantissime persone, ma non posso rinunciare. Per cui mi trovo un posto libero e mi siedo, aspettando il mio turno.
Pensavo che il tempo sarebbe trascorso più in fretta, ma non è così. Nonostante la fila davanti a me sia veloce, comunque sono seduta qui da più di un'ora. I miei amici continuano a mandarmi messaggi per sapere le ultime novità, se mi hanno presa o se dovrò tornare allo Stardust già questa sera.
L'ultimo messaggio è da parte di Caleb:
'In bocca al lupo, piccola Lily. Sappi solo che comunque andrà, tu sarai sempre tu, questa non è l'unica possibilità e questa giornata non definirà né te né il tuo amore per il giornalismo. E ricorda che, se alla Summit rinunciano a te, saranno loro a perderci. Se invece lavorerai in quel covo di snob altolocati, io e Sophie abbiamo già provveduto ad organizzare una grande festa'.
Sono passati anni dall'ultima volta che mi ha chiamata così.
Piccola Lily.
Lui e Alex erano andati ad una festa senza dire nulla ai nostri genitori. Io volevo seguirli, ma papà mi aveva incastrata a restare con lui e guardare un documentario. Nel bel mezzo della notte, il mio telefono aveva squillato e aveva risposto un Alex completamente ubriaco che mi pregava di andare a prenderlo. Quando arrivai, trovai Alex e Caleb addossati ad un muretto, che ridevano tra loro e fumavano passandosi la stessa sigaretta.
Ero fuori di me, volevo urlare contro mio fratello perché mi aveva fatto prendere un colpo in piena notte. Avevo guidato con l'ansia addosso e con le dita che mi tremavano, temendo che potesse essere accaduto qualcosa di brutto. E invece lui era lì, che se la spassava insieme al suo migliore amico. Ero furiosa anche con Caleb, che intanto mi guardava sorpreso con i suoi occhi verdi, la nuvoletta di fumo che si alzava sulla testa.
«Ma siete impazziti?» gridai, tentando di nascondere i brividi che mi attraversavano ancora il corpo.
«Va tutto bene, era solo uno scherzo» confessò Alex, ridendo.
«Te lo avevo detto che si sarebbe preoccupata» Caleb sembrava in condizioni migliori rispetto a quelle di mio fratello, ma lui aveva sempre saputo reggere bene l'alcool.
Costrinsi mio fratello a salire in macchina e si sdraiò sui sedili posteriori, lasciando a Caleb il posto del passeggero.
«Si è addormentato» disse Caleb dopo minuti di silenzio, voltandosi e controllando Alex. Puzzavano entrambi terribilmente, di alcool e fumo, probabilmente anche di qualcos'altro che non seppi riconoscere. «Sei arrabbiata?» chiese dopo un po'.
Il mio intento era ignorarlo, avrebbe capito da solo quanto fossi furiosa dal mio silenzio. Lui, invece, continuava a blaterare di cose senza senso.
«Non ti si addice il broncio, piccola Lily» Caleb aveva lo sguardo fisso su di me. Era molto più vicino di quanto pensassi. Mi scostò una ciocca di capelli e, nel farlo, le sue dita sfiorarono la mia guancia. Lui ritrasse subito la mano, ma continuai a percepire il calore del suo tocco anche quando si allontanò completamente.
Credevo che l'alcool gli avesse fatto dimenticare quel momento, ma adesso non ne sono più sicura. Comunque, non ne abbiamo mai riparlato.
Istintivamente mi ritrovo a pensare a ieri, al suo piccolo concerto al Lotus. Mi ritrovo a pensare a lui, e questo riesce a calmarmi.
«Signorina Hamilton?» la voce dell'assistente mi fa tornare alla realtà e mi conduce nell'ufficio del signor Montgomery.
Bene, ci siamo. È il mio momento.
«Hamilton...» esordisce il signor Montgomery mentre mi invita a sedermi. «Mi ha fatto molto piacere sapere della tua candidatura, soprattutto per un posto da giornalista. Mi è dispiaciuto dover rinunciare a tuo fratello, ma capisco che questo non sia il suo ambito» continua, con un sorriso sulle labbra sottili.
Sembra molto più vecchio dall'ultima volta che l'ho visto, al funerale di papà. Probabilmente è solo stanco.
«Spero che entrerai a far parte del team» dice.
«Lo spero anch'io, signor Montgomery».
Lui mi rivolge un altro sorriso, ma resta in silenzio.
Non dovrebbe farmi delle domande?
In questo momento sento di nuovo l'ansia bussare alle porte della mia mente e impossessarsi del corpo. Forse avrei dovuto preparare una presentazione. Forse dovrei dire qualcosa.
Sto per aprire la bocca quando la porta dell'ufficio si apre.
«Ah, eccoti. Temevo che non arrivassi più» dice il signor Montgomery.
Mi volto di scatto e... non ci posso credere.
«Lily, lui è mio figlio, Nick. È il nuovo amministratore delegato della Summit, quindi mi sembra giusto che sia lui a sostenere i vari colloqui. Io sono qui solo per dargli una mano» il signor Montgomery parla ancora, ma io sento soltanto un lontano ronzio.
'Oh mio Dio', la frase iconica di Janice mi rimbomba nella testa.
È lui.
Nick Montgomery.
Il tipo con cui mi scontrata per ben due volte. Il tipo che ho scambiato per un possibile dipendente, è in realtà il proprietario della Summit NY magazine.
«Salve, è un vero piacere» dice Nick, allungando la mano. Ha sempre il solito accento leggermente inglese e la luce che entra dall'enorme finestra gli illumina il volto.
Mi costringo a reagire e a stringergli la mano. «Anche per me».
«Allora signorina Hamilton, nel suo curriculum c'è scritto che studia. Quale facoltà?» chiede Nick, mentre si siede accanto al padre. I suoi movimenti sono lenti, i suoi occhi attenti.
So di non dover pensare a questo, ma non riesco ad ignorare la sua voce, la leggera cadenza che ha usato quando ha pronunciato il mio cognome.
«Scienze Politiche, alla New York University» rispondo, con un filo di voce.
I suoi occhi si posizionano di nuovo su di me. «Perché vorresti lavorare qui?»
Concentrati, Lily.
Questa è la tua sola occasione.
«Ho sempre voluto fare la giornalista, è il mio sogno da quando ero piccola. Ammetto di non essere particolarmente ferrata negli argomenti di cronaca mondana, ma imparo subito. E sono sicura che questo potrebbe essere il terreno perfetto per mettermi in gioco» calibro con cura ogni parola, cercando di tenere a bada l'ansia. Avrei potuto mentire dicendo che sono una lettrice assidua della rivista, ma mi è sembrato giusto dire la verità. E spero che sia abbastanza.
Il signor Montgomery mi guarda con gli occhi sorridenti, ma è difficile decifrare l'espressione di Nick. Il sole lo illumina completamente, rendendo la sua pelle più scura. Una piccola fossetta si forma al lato delle labbra, quando queste si incurvano in un sorriso appena accennato.
«Quindi non le interessano le nostre rubriche» la sua non è una condanna, né un rimprovero, ma una semplice costatazione, eppure sento di aver appena sbagliato tutto. «Sei ambiziosa, e questo mi piace» dice. Il suo sguardo si posa per un momento sul padre, cercando nei suoi occhi la conferma che Nick sta cercando. Dopo secondi che mi sembrano durare un'infinità, parla ancora. «Benvenuta alla Summit NY magazine» i suoi occhi brillano come topazi sotto la luce infuocata del sole.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top