12. Due metà

Soundtrack — A place in this world,
Taylor Swift

🏙️

Questa notte non ho chiuso occhio, spendendo le preziose ore di dominio della luna a rigirarmi nel letto con un forte dolore dietro le palpebre. Le parole di Alex si sono ripetute nella mia testa come la peggiore delle filastrocche, facendo nascere in me, ora più che mai, il desiderio di riappacificarmi con Caleb. In fondo conosco Nick da appena qualche settimana, i miei amici invece mi sono stati accanto sempre.

È stato Caleb a tenermi la mano durante il funerale di papà, è stata Sophie ad asciugarmi le lacrime e sussurrarmi che sarebbe andato tutto bene. Non faccio una colpa a Nick per non esserci stato, perché non avrebbe mai potuto stare lì, ma non posso neanche negare che sono stati i miei amici a prendersi sempre cura di me ed è a loro che devo ogni cosa.

E non voglio rovinare tutto solo per un uomo che conosco da così poco tempo e che, nella mia famiglia, ha già causato sofferenza.

Non credo che Nick sia la persona, egoista e a tratti meschina, che ha dipinto mio fratello, ma è anche vero che per me la sua opinione conta più di quella di molti altri e gli ho fatto una promessa che sono intenzionata a mantenere, per quanto mi sarà possibile. 'Stare lontana da Nick Montgomery'.

Quello che è successo è stato un errore, su molti fronti. E non ripercorrerò le mie vecchie orme.

È il campanello di casa a destarmi dai miei pensieri, la chioma rossa di Sophie che mi guarda appoggiata alla porta con un'espressione severa in viso.

«Alzati subito» dice, appoggiando entrambe le mani sui fianchi. La penombra della stanza non mi permette di distinguere i suoi movimenti, ma non serve la luce per capire che i suoi occhi lanciano scintille.

Per tutta riposta mi giro dall'altra parte.

«Non fare la bambina, Lily. È mezzogiorno passato e tu sei in ritardo» il suo viso si intromette nella mia visuale, non lasciandomi altro scampo se non quello di guardarla senza capire di cosa sta parlando.

«In ritardo per cosa?»

«'Il lago dei cigni', ti sei dimenticata? Mi hai pregata di accompagnarti per aiutarti con il tuo articolo».

Si, l'ho del tutto dimenticato, così come quei cinque minuti pieni di entusiasmo in cui mi sono ritrovata a telefonarle per chiederle di venire con me. Ma non voglio farglielo notare.

«Lo spettacolo inizia tra almeno sette ore» cerco di giustificarmi. «E comunque non mi sento tanto bene, credo che salterò».

«Tu non salterai proprio niente» Sophie continua a guardarmi con quel suo sguardo deciso, gli occhi azzurri che le brillano di determinazione. «Ora ti dirò esattamente quello che faremo io e te: andremo prima a compare un vestito adatto per l'occasione, passeremo un po' di sano tempo insieme e poi andremo a teatro dove ti aiuterò a scrivere il miglior articolo di sempre».

Il suo ragionamento è perfetto, tranne per il fatto che non proprio voglia di alzarmi da questo letto o, in generale, di vedere la luce del sole.

«Ah, dimenticavo» riprende Sophie, come se stesse per rivelarmi la cosa più importante di tutte. «Saremo solo io e te. Quindi niente Nick, niente Caleb e niente Alex».

«E io che centro?» una terza voce si unisce alla nostra conversazione comparendo sul bordo della porta con una tazza azzurra in mano ed io non riesco a trattenere una risata.

«Niente» anche al buio riesco a percepire il rossore sulle guance di Sophie. «Ma sei un uomo e oggi non si parla di uomini».

«Neanche se incontraste Brad Pitt?» la stuzzica Alex. Vorrei ricordare ad entrambi che sono qui, ma la verità è che amo vedere il loro strambo modo di andare d'accordo.

«C'è sempre un'eccezione alla regola» ribatte Sophie.

«Ah si?»

«Sei tu il matematico, dovresti saperlo».

«Al dire il vero io ho studiato ingegneria».

«Che differenza fa? Si tratta comunque di una noiosa materia scientifica» Sophie ancora non si arrende, ma non mi serve guardare mio fratello per capire che è stata lei a vincere questo loro battibecco.

«Lily, alzati» riprende la mia amica, consapevole di aver lasciato Alex senza parole.

«D'accordo, ma solo se la smettete con questo blaterare» rispondo tra le risate.

🏙️

Un'ora dopo, trascorsa a fare la doccia e riordinare la mia stanza, io e Sophie siamo già dentro al ristorante cinese sotto casa, pronte ad ordinare le nostre porzioni di noodles. Lei mi sta già raccontando che tipo di abito ha intenzione di comprare per questa sera, ma io mi limito ad annuire, con la testa altrove.

«Quindi pensavo di rubare il cartone della pizza a qualche povero senzatetto e usarlo per farci un grazioso cappello alla diavola. Che ne dici?» gli occhi di Sophie mi fissano.

«Cosa?»

Lei sospira. «Lily, eravamo d'accordo: un pomeriggio solo per noi».

«Hai ragione, scusa» mi sento tremendamente in colpa. Sophie sta soltanto cercando di tirarmi su, ma non le sto rendendo l'impresa facile.

«Ascolta» si avvicina, appoggiando i gomiti sul tavolo. «Sono tremendamente curiosa di sapere cos'è successo e non vedo l'ora che me lo racconti. Ma non succederà oggi. Oggi passerai soltanto un normalissimo pomeriggio insieme alla tua migliore amica».

Mi soffermo a pensare quanto possa essere, effettivamente, normalissimo. Fare shopping con Sophie non è esattamente l'attività più rilassante del mondo. Si ferma in ogni negozio, perché secondo lei ovunque può nascondersi il vestito perfetto, anche nelle piccole botteghe. Passa a rassegna ogni capo, immaginandosi nella sua incredibile mente come sarebbe con i giusti accessori e le scarpe adatte. No, non è decisamente normalissimo.

«Va bene» mi ritrovo ad ammettere perché, nonostante il suo stravagante modo di fare acquisti, mi mancano i momenti in cui siamo soltanto io e lei e, ultimamente, non ce ne sono stati molti.

«Pensavo che potremmo andare al cinema dopo» dico mentre paghiamo alla cassa.

«Devi lavorare» mi ricorda la mia amica.

La verità è che voglio stare lontana da ogni cosa che possa richiamare Nick; gli ho soltanto accennato dello spettacolo prima che notassi l'invito dei Sullivan per la loro mostra d'arte, ma so già che se mettessi piedi a teatro e prendessi appunti per l'articolo, la mia testa tornerebbe al museo, quando Nick mi ha chiesto di aiutarlo con la nuova rubrica della Summit, e alla festa di ieri, quando ho commesso l'errore che mi è costato il mio migliore amico.

«Non puoi lasciare che un uomo si metta tra te e la tua carriera, Lily. Questo me lo hai insegnato tu» continua Sophie.

E mi ritrovo a sorriderle, perché ricordo esattamente il giorno in cui glielo dissi. Aveva appena presentato domanda per entrare alla Parsons, inviando in allegato il suo portfolio. Quando le hanno risposto, nella lettera – firmata da un professore cinico e senza tatto – c'era anche scritto che i suoi disegni erano troppo comuni e già visti, che i suoi vestiti non si sarebbero mai distinti all'interno del panorama della moda.

All'inizio Sophie pensava di dover mollare tutto e dedicarsi ad altro, ma sapevo anche che quello era il suo sogno e nessuno avrebbe fatto in modo che smettesse di crederci.

Attraversiamo le trafficate strade di Manhattan con il sole del pomeriggio che ci punta addosso i suoi raggi infuocati e il vento che trascina con energia le foglie secche sul marciapiede. Sophie mi trascina in un negozio dopo l'altro, non ho idea di quel che sta cercando, ma ogni volta che le faccio vedere un vestito che mi piace lei si limita a corrugare la fronte e scuotere la testa.

«Serve qualcosa di diverso» mi suggerisce all'ennesimo capo bocciato. «Guarda qui» dice un minuto dopo, sicura di aver trovato la perla di questa boutique.

Quando mi avvicino, osservando meglio l'abito che ha tra le mani, resto un attimo in silenzio. «Non è esattamente il mio genere».

«Lo so, per questo è perfetto. Amo i tuoi tailleur color biscotto, non fraintendermi, ma non puoi andare così a teatro. Questo vestito, invece, si sposa con la scenografia del balletto» dice tutta estasiata, lanciandomi la gruccia addosso e facendomi capire di andare a provarlo.

Non tento neanche di contraddirla, perché so già in partenza che non mi lascerà vincere. Quindi mi dirigo in camerino e inizio a togliermi la maglietta. Vorrei farle notare che oggi i miei vestiti sono molto più semplici, anche se non sono riuscita a rinunciare ai miei pantaloni preferiti, un modello a sigaretta color crema che amo abbinare con le mie Converse marroncine.

Il tessuto del vestito scelto da Sophie non è esattamente come me lo aspettavo: è pesante e rigido e mi viene subito in mente che ha la stessa texture del tappeto di casa di mia nonna a Montauk, oltre che la medesima fantasia a fiori. Ma cerco comunque di non pensarci mentre lo tiro su, sistemando le cuciture e legando il nastro verde che sbuca dai piccoli forellini sulla parte alta e che si chiude sul decolté.

Anche se ora faccio fatica ad ammetterlo, è davvero bello e, contrariamente a quel che pensavo, segna la figura nei punti giusti, stringendosi in vita e restando più morbido lungo i fianchi. Il verdone del tessuto si abbina a miei capelli, o almeno è quello che vedo io. Quando esco dal camerino, Sophie mi aspetta incollata alla vetrinetta degli accessori con un grande sorriso sulle labbra.

«Ti sta benissimo, Lily» commenta semplicemente.

«Si, non è male».

«Perfetto, perché a casa ho la giusta borsa da abbinarci».

Le faccio un sorriso e torno in camerino per indossare i miei vestiti. «E tu, hai scelto qualcosa?»

«Ovviamente» mi risponde lei dall'altro capo della porta di legno.

«E non lo provi?»

«Non serve, lo avevo già visto la settimana scorsa».

«Quindi il tuo era solo un pretesto per comprarlo?» chiedo ridendo mentre allaccio l'ultimo fiocco delle scarpe. Il suo silenzio è più loquace di mille parole.

🏙️

L'appartamento di Sophie è l'apoteosi di fiori e piante, tazze colorate nel lavandino, album da disegno accalcati vicino all'ampia finestra e odore di biscotti. Di solito l'aria profuma sempre di qualcosa e oggi tocca ai biscotti al cocco.

Come se lei mi avesse letto nella mente, tira fuori dal forno un piattino azzurrino su cui riposa una montagnetta di biscotti grandi quanto il mio pugno.

«Li ho fatti ieri sera, dimmi se ti piacciono» dice lei, sparendo nella sua camera, probabilmente a cercare la borsa di cui mi parlava.

Anche se sono enormi, muoio comunque dalla voglia di assaggiarli; preferisco la vaniglia, ma il cocco è decisamente al secondo posto tra i miei gusti preferiti. E, ovviamente, sono buonissimi.

A volte penso che, se Sophie non volesse diventare una stilista, potrebbe tranquillamente aprirsi una pasticceria. O una scuola di danza. La verità è che le cose in cui è brava sono talmente tante che potrebbe scegliere ogni giorno chi essere.

Quando eravamo piccole, infatti, sognavamo di aprire una piccola pasticceria in cui poter mangiare i dolci più buoni del mondo mentre ci si gustava anche un buon libro. O inaugurare dei corsi di danza classica per bambini mentre le madri avrebbero potuto guardarli leggendo qualcosa. O, ancora, un negozio a metà tra una boutique di alta moda e una libreria. Lei trovava sempre qualcosa di nuovo da voler fare, mentre il mio contributo rimaneva sempre lo stesso.

Il fatto è che Sophie è la persona più creativa che conosca, un vero e proprio vulcano di idee. Da piccola cambiava ogni giorno dicendo di voler diventare una pasticcera o una stilista; io, invece, non ho mai avuto un piano b oltre al giornalismo. Perché, col tempo, ho capito di essere brava soltanto in quello.

«Allora... come sono?» mi urla Sophie dalla sua stanza.

«Deliziosi, si sentono i pezzetti di cocco» le rispondo affacciandomi nel caos che chiama stanza. La mia amica è accovacciata sull'armadio, con entrambe le ante aperte, mentre cerca disperatamente la borsa.

«Guarda che non fa niente se non la trovi» dico appoggiandomi alla sua scrivania. Anche questa, come il resto della casa, è tutta una confusione con vasi di tulipani e rose, le medaglie che Sophie ha vinto con la danza e tutte le cornici con le nostre foto. Ma è la polaroid appesa allo specchio che mi ritrovo a fissare.

Siamo noi due, in una calda estate di tanti anni fa. I miei capelli sono molto più biondi e le lentiggini di Sophie ancora più evidenti. Avevamo circa quattordici anni. Ricordo quell'estate, la peggiore in assoluto per la mia migliore amica e, come per effetto domino, anche per me.

Ricordo con dolore che Sophie non è sempre stata la ragazza solare che è adesso, ma che ha combattuto una serie di battaglie dalle quali, alla fine, è uscita vincitrice. Anche se non è mai riuscita a scrollarsele di dosso, e ora le restano appiccicate come cicatrici profonde.

Sono i momenti come questi che mi fanno riflettere sul fatto che Sophie ami cucinare e preparare dolci, ma che non è quasi mai lei a mangiarli. La maggior parte delle volte li porta a casa mia o li regala a Caleb. Per lei non è mai stato facile, ma le ho fatto promettere che, se mai ne avesse bisogno, può parlare con me, perché io ci sono e la ascolterò sempre.

«Eccola» la sua voce mi riporta alla realtà.

«Ma è minuscola!»

«Ci entrano giusti il telefono, un portafoglio piccolo e il rossetto: l'essenziale» dice lei con ovvietà.

«E il mio quadernetto?» le ricordo, ed è in questo momento che anche lei si rende conto che amo scrivere sulla carta. Comunque, impassibile, sospira come a dire che questo è soltanto un mio problema.

«Questa volta userai le note dell'Iphone, come tutti i giornalisti del ventunesimo secolo» dice lei, avvicinandosi e costringendomi a sedermi sulla sedia girevole.

«Ma che fai?» chiedo, presa alla sprovvista.

«Mancano solo due ore: ti faccio il trucco».

La vedo tirare fuori dai cassetti una miriade di prodotti, mentre con un sorriso mi rendo conto che trascorrere un pomeriggio con lei non è decisamente normale.

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