capitolo 8

⋆⁺₊⋆ 8 dicembre ⋆⁺₊⋆

L'ora di pranzo arriva troppo presto.

Fuori, il cielo è coperto da uno spesso strato di neve, che non è ancora caduta, come se volesse riservare la sua venuta per un momento più magico.

É da mezz'ora che guardo continuamente e ossessivamente la porta dello Stardust: Alex arriverà prima o poi e voglio essere pronta, non voglio rischiare che mi lasci senza parole o che mi perda nella luminosità dei suoi occhi.

No, devo mettere dei paletti. Se per Alex siamo soltanto amici, persino fratelli, allora é quello che saremo. Mi fa male il cuore a ricacciare indietro tutto questo amore, ma so di meritare qualcuno che mi ami a mia volta, non il ragazzo perfetto e irraggiungibile di cui sono innamorata da anni.

É un cliché che non funziona più. E io devo mettermi l'anima in pace. Devo dimenticarlo. Sarà difficile, ma sarà soltanto l'inizio e con il passare del tempo imparerò a guardarlo senza vedere il ragazzo che, al ballo di fine anno, é tornato fino a casa per prendermi delle scarpe da ginnastica perché i tacchi mi stavano facendo sanguinare i piedi.

O il ragazzo che assaggia sempre i dolci che preparo anche quando è troppo sazio. Oppure ancora il ragazzo che il giorno di San Valentino ha nascosto nel mio armadietto e in quello di Lily una rosa rossa perché eravamo al primo anno e nessun ragazzo più grande osava neanche guardarci.

Col tempo imparerò a vedere soltanto Alex, un amico.

Laurie mi dà una gomitata nelle costole, risvegliandomi dai miei pensieri. «Quello è l'ultimo cliente, ci pensi tu?»

Non ne ho voglia, ma penso che sia un buon modo per distrarmi, quindi prendo il taccuino delle prenotazioni e mi avvicino al tavolo. Il signore prende un cappuccino con panna e cannella e una fetta di torta alla zucca: non esattamente sapori invernali e natalizi, ma sono troppo stanca per consigliargli i biscotti al pan di zenzero e la cioccolata calda.

Mi dirigo al bancone e inizio a preparare il caffè. Con la coda dell'occhio scorgo Laurie intenta ad azzannare il suo pane integrale con pomodorini, insalata fresca e formaggio spalmabile.

Ho quasi finito il cappuccino, quando un rullo di mani sul bancone me lo fa quasi versare addosso. Mi giro, a metà tra arrabbiata e curiosa, e vedo Alex. «Hai finito?» mi domanda.

«Ultimo cliente» gli faccio sapere, sistemando sul vassoio il cappuccino e il piattino con la fetta di torta.

«Bene, ti aspetto qui».

Porto l'ordinazione al signore e gli comunico che, quando avrà finito, può pagare alla mia collega. Sento lo sguardo di Alex addosso in ogni movimento, in ogni respiro. Lo conosco abbastanza bene da sapere che è impaziente, quindi inizio a slacciarmi il grembiule già a metà strada verso il retro bottega.

Saluto al volo anche Laurie e mi infilo la giacca.

«Hai già mangiato?» mi domanda Alex, un'abitudine che si è presa da quando ha scoperto del mio problema con il cibo. Mi si stringe il cuore: lui è sempre così dolce, così premuroso. E io scambio sempre il suo atteggiamento (che è parte imprescindibile del suo carattere) con un interessamento che va oltre quello che è davvero.

«Non ancora».

«Allora andiamo a mangiare ramen in quel chiosco vicino a Central Park» propone Alex.

«D'accordo, ci sto».

⋆⁺₊⋆ ❄︎ ⋆⁺₊⋆

L'aria del pomeriggio è tagliente e pungente come aghi di ghiaccio, per cui decidiamo di prenderci un caffè caldo da sorseggiare durante la passeggiata.

Alex si sta dirigendo verso i negozi più costosi. Prada, Hermès, Gucci. Il che ha senso, visto che Irina è la principessa dell'Upper East Side e, probabilmente, non indossa niente che non sia costato una cifra di almeno tre zeri.

Solo, mi sembra un po' eccessivo per Alex.

«Quindi» dico, allungando le 'i'. «Siete tornati insieme?» non so perché gli faccio questa domanda, dal momento che la risposta mi sembra abbastanza ovvia o, in ogni caso, non farà bene al mio cuore. Ma ho comunque bisogno di sapere.

«Non proprio. Direi più che altro che ci stiamo riavvicinando» borbotta lui.

Una spina trapassa da parte a parte il mio cuore. Mi costringo a distogliere lo sguardo e ammirare le vetrine natalizie.

«Lo so che a nessuno di voi piace Irina» riprende Alex. «Insomma, Caleb non la sopporta, Lily nemmeno e so che neanche tu sei una sua grande fan. E per non parlare di mia madre...»

«Non si è presentata al funerale di tuo padre, Alex» rimarco io. Mi ricordo quel giorno, eravamo tutti lì tranne lei: Lily era distrutta, Amber — la loro mamma — non riusciva in nessun modo a trattenere le lacrime e Alex cercava continuamente tra la folla il viso di Irina, per avere un po' di conforto. Ma lei non é mai venuta.

Ad essere sincera, non mi é mai piaciuta. Non soltanto perché è stata la fidanzata di Alex per la maggior parte del college, ma perché mi è sempre parsa una persona fredda. Una principessa di ghiaccio.

«Lo so, ma nessuno di voi la conosce davvero» risponde Alex, difendendola. «Non è così tremenda come tutti pensano, ha molte responsabilità, molte persone che dipendono da lei e ha avuto un passato difficile».

Anch'io ho avuto un passato difficile, penso. Ma non avrei mai abbandonato il mio fidanzato in un momento tanto doloroso come la morte del padre. Invece, avrei messo da parte i miei problemi per fargli pesare meno i suoi.

Ho sempre avuto la sensazione che Irina si divertisse a giocare con Alex, che non fosse presa da lui o che, per lo meno, non quanto lui da lei. Ma, in fondo, Alex ha ragione e io non la conosco affatto.

«D'accordo non voglio giudicare» ammetto alzando le mani, sperando che questo liquidi in fretta il discorso perché, francamente, non ho alcuna voglia di parlare di Irina Strauss.

«Ti ringrazio» dice Alex soddisfatto. «Tornando al regalo, vorrei che fosse qualcosa di speciale, qualcosa che mi rappresenti e che le faccia ricordare di me in ogni momento».

Sarebbe difficile dimenticarti in ogni caso, vorrei dirgli. Ma faccio un sospiro. «Hai mai pensato ad una collana con le vostre iniziali?»

«Certo. È stato il regalo del primo anniversario, ma l'ha gettata nell'Hudson l'ultima volta che abbiamo litigato e quindi, adesso, vorrei evitare gli errori del passato».

Che stupido gesto plateale, proprio da persona ricca e viziata, penso. Forse però dovrei tenere a freno il mio cervello. Per fortuna non esce nessun commento dalla mia bocca e sorseggio un po' del mio caffè, cercando di pensare a qualcosa di utile.

«Forse ho in mente il regalo perfetto» una lampadina mi si accende all'improvviso. «Il negozio è qui sulla Quinta» dico, cercando di orientarmi tra gli incroci di Manhattan.

Ma trovare la strada più famosa di New York non è per nulla difficile e, in un paio di minuti, raggiungiamo la destinazione. Il tendone con la scritta Colorland e tante figure di nuvole rosa, arcobaleni, zucchero filato e unicorni fa quasi tremare Alex. Per non parlare degli interni del negozio alla Fabbrica di Cioccolato con tanto di cascata di cioccolato al latte.

Prima che Alex faccia dietrofront, mi affretto a spiegarli il mio piano. «So che può sembrare un po' infantile, ma non giudicare un libro dalla copertina».

Mi sarei aspettata una faccia al limite del disgusto, ma in realtà Alex si guarda attorno incuriosito. «Va bene, mi fido di te Soph».

Il suo sorriso mi riempie il petto di orgoglio. «Proveremo quel servizio laggiù» dico, indicando il cartellone appeso al bancone del negozio, accanto ad un enorme distributore di caramelle gommose.

«Il trucco per bambini?» domanda Alex allarmato e con gli occhi sgranati. In effetti, in fondo alla sala c'è una graziosa fila indiana di bambini che aspetta il suo turno per farsi truccare il viso come una renna, una fata, un orsetto e altri animaletti che non sono in grado di identificare.

«Se proprio ci tieni...» non sono in grado di trattenere una risata e Alex mi guarda ancora più spaventato. «No, voglio dire che noi decoriamo le tazze».

Un sospiro di sollievo gli abbassa notevolmente le spalle.

Da quando ho visto questo servizio, esattamente come nei video di Tiktok che mando a Lily, ho sempre voluto provarlo. E mi sembra davvero perfetto come regalo per Irina: non c'è nulla di meglio di qualcosa fatto con le proprie mani e credo che anche Alex la pensi allo stesso modo.

La donna al bancone ci accompagna in una sala a parte, nettamente diversa da quella principale. Nessun unicorno o lecca-lecca colorato, nessun gioco per bambini: invece, è decorata per Natale, con alberi di tutte le dimensioni e una varietà impressionante di divanetti e poltrone per rendere il tutto più confortevole.

Decisamente meglio dei video che mando a Lily.

La luce entra dall'enorme vetrata sul lato e, non me n'ero accorta prima, ma ha iniziato a nevicare. Adesso si che è tutto più magico.

La signora ci spiega dove trovare pennelli e acrilici, stampe e adesivi e, dopo averci consegnato due tazze bianche e pronte per essere personalizzate, ci lascia da soli.

E siamo veramente da soli, perché la stanza è vuota.

«Allora, che ne dici?» chiedo ad Alex.

«Hai avuto un'idea fantastica, mi piace» si toglie il giaccone e prende posto su un cuscino, accanto ad un tavolino da lavoro. Maniacale com'è, inizia a impilare le tempere in ordine e si mette a disegnare su un pezzo di carta la sagoma della tazza, per capire in che modo vuole decorarla.

Mi siedo accanto a lui e, felice come una bambina, mi metto a versare l'acrilico rosa sul mio piattino.

«Come vi siete riavvicinati tu e Irina?» la mia domanda lo spiazza, almeno quanto ferisce me, ma devo saperlo.

«É complicato» si raddrizza gli occhiali, parlando velocemente. «Mi ha scritto lei, voleva invitarmi alla festa di Halloween il mese scorso, ma credevo volesse soltanto usarmi per fare scena con i suoi amici dell'Upper East Side e non ci sono andato».

Non me lo aveva detto. Non che pretendessi di saperlo, ma in genere Alex non é bravo a mantenere queste cose segrete.

«Pensavo che si fosse arrabbiata ed ero pronto a voltare pagina definitivamente» fa una pausa, ma nel suo tono c'è qualcosa di sospeso. Un 'ma' in sospeso. «Ma poi ha continuato a scrivermi. Cose abbastanza normali tipo 'come stai' o 'é bello risentirti' e, alla fine, le ho risposto».

Quindi si sentono da più di un mese? E io che, stupida stupida stupida, pensavo che tra noi le cose potessero cambiare. Invece sono sempre rimaste immutate.

«Ah» sospiro. «Buon per te, Alex».

«Lo so che non ti sta simpatica, che non sta simpatica a nessuno in verità. Però... però» cerca di trovare le parole. «Hai mai avuto un amore, il primo amore, che sognavi potesse durare in eterno?»

I suoi occhi di cioccolato si posano sui miei. Sento una fitta al cuore, un tarlo che si nutre di tutto ciò che incontra.

«Si, l'ho avuto» dico, ad un filo dalle lacrime. Abbasso lo sguardo, incapace di sostenere il suo. E faccio uno sforzo immane a non rivelargli che, il mio primo amore, è lui.

«É Pete delle medie, vero?» cerca di smorzare l'atmosfera con una battuta. «Quel tipo magrolino ti ronzava sempre intorno».

«In realtà, a Pete piaceva Lily. Ronzava intorno a lei».

«Oh» dice soltanto, tornando serio. «Però puoi capirmi. Per me Irina è così, forse una parte di me la amerà sempre».

Cerco di ignorare quanto questa conversazione mi stia lacerando. Mi sforzo di sorridergli e annuire e Alex prende il mio silenzio come assenso e torna alla sua tazza.

Non so perché sono così ostinata, né perché mi sono buttata in tutto questo sapendo che ne sarei uscita distrutta. Mia madre dice sempre che le illusioni e i castelli di carta che mi costruisco nella testa saranno la mia rovina. Ma non hanno mai mandato in frantumi il mio cuore con così tanta violenza.

«Allora, che dici?» domanda Alex, dopo un tempo inquantificabile. Ha finito la sua tazza: ha lasciato lo sfondo bianco, ma l'ha decorata con tanti piccoli disegni. «Ci ho messo il computer, un paio di occhiali, una spada laser, i miei calzini di Star Wars, le cuffie e il mio maglione preferito».

«È questo cosa dovrebbe essere?» chiedo, indicando una palla di pelo marrone.

«Un orsetto di peluche» dice lui con ovvietà. «Perché, non si capisce? Secondo me mi somiglia anche parecchio» scherza, mettendosi la tazza vicino al viso.

Gli sorrido, anche se dentro di me vorrei soltanto sparire. «Si, ti rispecchia molto».

«Grazie Soph, credo che a Irina piacerà».

Paghiamo e usciamo dal negozio. Fuori l'aria é gelida, ma quasi non la sento. Mi fa così tanto male il cuore che tutto il resto mi sembra superficiale.

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