⋆⁺₊⋆ 6 dicembre ⋆⁺₊⋆
Venerdì. Il giorno che più odio di tutta la settimana, perché sempre grigio e noioso, ad un solo passo dal weekend. Più di tutto, però, lo odio perché è un giorno infernale allo Stardust.
Questa mattina é letteralmente volata tra cappuccini e muffin al caramello, la specialità di oggi. I clienti andavano e venivano continuamente senza lasciare né a me né a Laurie neanche un minuto per respirare.
Come se non bastasse, alle 11 in punto — puntuale come l'orologio svizzero che si vanta di avere al polso e acquistato a Ginevra — Carl si è presentato nel suo locale con bruttissime intenzioni: due casse piene di addobbi natalizi.
Normalmente, sono grande fan delle decorazioni e sono dell'idea che non sono mai abbastanza, ma é venuto il giorno sbagliato e nel momento sbagliato. E poi, ne ho sinceramente la testa fumante di decorazioni. Il bar era infatti tanto pieno da straripare e abbiamo dovuto rimandare gli addobbi alla pausa pranzo.
Anche quell'unica ora in cui avrei potuto sedermi e godermi la mia pasta al pesto cucinata con tanta fretta ma anche tanto amore, ho dovuto lavorare. Come ogni anno, Carl non ha mosso nemmeno un muscolo, limitandosi a dare ordini.
'Ragazze, quelle ghirlande mettetele qui' o 'No, Sophie, non così. Meglio sul bancone' oppure ancora 'Le luci sono tutte storte, cominciate da capo'.
Avevo la testa piena delle sue frottole che, non appena ho messo piede in casa mia, mi sono buttata sul letto con gli occhi chiusi e le dita premute sulle tempie.
Sono ancora qui, a rilassarmi tra le lenzuola fresche di bucato e senza la minima voglia di fare nulla. Ma sono solo le cinque del pomeriggio e, tra gli impegni da spuntare, manca ancora preparare i biscotti con Alex.
Sono sicura che sarà qui a momenti, per cui mi obbligo ad alzarmi, sistemare le coperte e passare l'aspirapolvere in tutta casa. Mi do anche una sistemata: mi tolgo i vestiti sporchi di lavoro — macchiati di caffè e cannella — e indosso una felpa con i miei amati pantaloni del pigiama natalizio. Ci abbino anche i calzini: piccoli pupazzi di neve su uno sfondo rosso fuoco.
Non sono esattamente sobri, ma sono comunque una delle cose meno stravaganti che possiedo. In ogni caso, non faccio in tempo a cambiarli. Il campanello di casa fischia contro la porta.
Faccio un respiro profondo e mi tiro indietro i capelli prima di aprire. Alex mi accoglie con un sorriso smagliante, la barbetta di qualche giorno gli dà un'aria da campagnolo che, ahimè, non disprezzo affatto. Indossa le sue solite felpe da quattordicenne, con un supereroe che fatico a riconoscere. Sarà forse Iron Man? No, credo che quello biondo sia Thor.
Ci sto ancora pensando quando lui varca incurante la soglia e inizia a guardarsi intorno. Questa mattina Carl mi ha regalato qualche set di lucine in più e mi sono sbizzarrita a riempire il salotto.
«Non vorrei dire, ma così sembra un cimitero» commenta Alex.
«Però lo hai detto».
«Mi sono permesso solo perché siamo amici e pensavo dovessi saperlo».
Amici.
La parola che mi fa più paura di tutte. La parola che mi ha perseguitata da sempre, fin dai miei dodici anni. La parola che pesa sul mio petto come un macigno e che fa lacrimare di sangue il mio cuore. Un dolore fitto e costante che non mi abbandona mai. Anzi, che mi ricorda quanto i miei sogni sono destinati a restare soltanto mere illusioni. Niente di più.
Ricaccio indietro le lacrime. Alex intanto si è tolto il cappotto. «Com'era il lavoro?» chiede lui, guardando il mio viso stanco e afflitto.
Se potessi parlargli sinceramente, gli direi che non è colpa del lavoro e che, per quanto stancante e faticoso, non è lo Stardust a prosciugare il mio cuore.
«Se sei stanca possiamo rimandare» concede Alex. Ha uno sguardo preoccupato in viso e questo non fa altro che aumentare il mio senso di colpa. So di non dovermi sentire così, ma so anche che Alex non centra nulla e che non può farci niente se i suoi sentimenti per me non vanno oltre l'amicizia.
«No, voglio farlo. Cucinare mi aiuta un po' a staccare» cerco di sorridergli, sparendo dietro il mobile della dispensa a prendere la farina.
Recupero anche il burro e lo zucchero. Alex si rigira le maniche della felpa. «Cosa devo fare?»
«Inizia a misurare gli ingredienti» gli ordino, prendendo il mio amato quadernino delle ricette: una copertina rosa ricoperta di muffin e biscotti adesivi dentro cui sono custodite gelosamente tutte le mie ricette. Alcune tramandate e ricopiate direttamente dal vecchio taccuino della nonna, le altre sperimentate e perfezionate da me.
Alex inizia a tirare fuori ciotole di plastica e di vetro di tutte le dimensioni, tornando continuamente a leggere le dosi. Ci mette una vita ad unire farina, burro, zucchero e un uovo, ma lo lascio fare, gustandomi la sua adorabile goffaggine.
«Sei troppo aggressivo» mi intrometto ad un certo punto. Più che mescolare insieme gli ingredienti li sta scomponendo con forza.
Prendo in mano la ciotola e la spatola e, nel gesto, sfioro le sue dita. Un brivido che si irradia dal braccio mi percorre tutto il corpo, ma faccio uno sforzo enorme nell'ignorarlo.
«Il segreto è accompagnare l'impasto, dal basso verso l'alto e con amore» rimarco l'ultima parola con tono ironico. Ho bisogno di sbollentare i pensieri nella mia testa e se per Alex siamo soltanto amici, dovrò imparare a comportarmi come tale.
La verità, però, è che spero ancora che lui abbia letto tra le righe delle mie parole e che l'amore non serve solo a fare i dolci.
«Pensavo fosse più difficile» commenta lui.
«La cucina non è mai impegnativa» dico, ricordando le parole di mia nonna. «Ci vuole soltanto pazienza».
La maggior parte delle persone che conosco, tra cui mia mamma, non si sono mai dedicate a cucinare torte o sfornare dolci perché trovano sempre mille scuse su quanto sia complicato. Ma non è vero, ci sono ricette semplici e veloci da fare, basta solo prendersi qualche momento per sé e mettere le mani in pasta.
A proposito di mani in pasta, spolvero una manciata di farina sul tavolo e rivolto l'impasto. Alex segue con minuziosa attenzione ogni mio movimento. «Adesso viene la parte divertente» lo rassicuro.
Riprendo a modellare l'impasto, ricoprendomi le dita burro. Lo richiudo cercando di formare una sfera; lo divido dolcemente in due, in modo da potervi mescolare il colorante rosso su una metà; lancio uno sguardo ad Alex, per capire se vuole continuare, ma si affretta a scuotere energicamente la testa.
Rido, ripiegandomi quasi in avanti e, nel movimento, una ciocca di capelli mi ricade sugli occhi. Cerco di sbarazzarmene senza toccarmi con le mani scivolose di burro, ma il risultato che ottengo sono soltanto altri capelli che mi volano sul viso.
Cerco di soffiarmeli via, senza alcun successo. Sto quasi per andare a lavarmi le mani, quando le dita di Alex raggiungono le mie guance. «Aspetta» dice con la voce roca, che mi manda dritta in paradiso.
É un tocco talmente dolce e delicato che faccio quasi fatica a sentirlo, ma i brividi che corrono all'impazzata nel mio sangue sono difficili da ignorare.
Con tutta la lentezza del mondo, Alex mi scosta i capelli dietro l'orecchio. Le sue dita ardono sulla mia pelle e cerco di calmare il respiro. Ma, ormai, avrà notato il rossore su tutto il mio viso.
«Grazie» riesco soltanto a dire, la voce spezzata e il corpo scosso da un'energia che mi inonda solo quando c'è Alex accanto a me.
É come se ogni cosa si incastrasse perfettamente, come se non ci fossero più angoli o spigoli, ma tutto procede in un'unica retta infinita.
«E adesso?» domanda lui, ignaro dell'effetto che mi fa.
«Li lasciamo riposare in frigo e poi passiamo alle formine».
Alex mi rivolge uno sguardo che mi intenerisce, come a voler dire 'Ancora non sono pronti?'
«Te l'ho detto che in cucina ci vuole molta pazienza, soprattutto con i dolci» aggiungo.
«Non l'avrei mai detto che sai essere una persona paziente. Di solito scorrazzi di qua e di là alla velocità della luce».
«Forse sono un supereroe e ho una doppia vita» dico facendo spallucce e alimentando un mistero che lo fa sorridere. Sono felice che abbia notato questo aspetto di me. So che, a volte, posso sembrare stravagante e frenetica, ma è soltanto una corazza che mi sono costruita attorno alle mie fragilità. Alle mie debolezze. Debolezze che, come chiunque al mondo, voglio nascondere.
«E me lo diresti se fosse così?» continua Alex raddrizzandosi gli occhiali. «Non sono l'amico affidabile e onesto a cui rivelare un simile segreto?»
Faccio finta di pensarci su. «Be' prima lo direi a Lily».
«Già, Lily è perfetta» conferma Alex annuendo con la testa.
«Però si, penso che te lo direi» continuo. Non riesco a trattenere una risata, ma in fondo è sempre così quando sto con Alex. Lui ha il potere di farmi dimenticare i miei problemi; é sempre stato così. «E tu, me lo diresti?» domando, chinandomi con i gomiti sul tavolo e le mani sotto al mento.
«Si, saresti la persona ideale. Insomma, anche se non fossi capace di mantenere un simile segreto, cosa che effettivamente non riusciresti a fare, nessuno ti crederebbe».
Potrei prendermela, ma la verità è che ha ragione. Annuisco come se mi stesse rivelando davvero un segreto e finiamo entrambi per ridere.
«E quale sarebbe il tuo superpotere?» avanzo. Lui si ferma a rifletterci, serio. Ma lo anticipo. «Ti chiamerebbero mago dei computer» gli agito le mani sotto agli occhi, mimando una scritta.
Alex continua a ridere e le fossette gli spuntano ai lati delle labbra. «Guarda che non è così semplice. Serve una buona conoscenza dei linguaggi di programmazione informatica, capacità gestionali e organizzative e non per ultimo bisogna imparare i meccanismi degli algoritmi» continuerebbe fino all'esaurimento se non lo bloccassi.
«Era tanto per fare conversazione, Alex. Mi fanno venire il mal di testa tutte queste parole in ostrogoto».
«Concedimi un'ora e ti ricrederesti».
Ancora una volta, la sua proposta mi spiazza. Ma, soprattutto, é la semplicità e naturalezza della richiesta a lasciarmi senza parole. Vuol dire che vuole passare ancora del tempo con me? Quindi, vuol dire che insieme ci divertiamo.
Prego che il tempo rallenti, per poter restare qui con Alex a non fare assolutamente niente se non parlare delle piccole cose, ma la mezz'ora di attesa passa in fretta e l'impasto dei biscotti è già pronto.
Con ancora le sue parole che mi ronzano nella testa come dolce miele, stendo l'impasto e comincio a ricavarci piccole strisce. Alex fa esattamente quello che faccio io, ma con l'impasto rosso.
«Adesso guarda, mago dei computer» inizio ad attorcigliare insieme una striscia bianca e una rossa, facendo lievemente pressione alle estremità e continuando a girarle insieme fino ad ottenere la forma allungata tipica dei candy canes.
Ripongo il mio bastoncino sulla carta forno, pronto per essere infornato. «Adesso tocca a te».
Alex mi guarda di sottecchi, come se l'avessi appena condannato ad una punizione atroce, ma si cimenta nell'ardua arte di rivoltare la pasta dell'impasto.
Sembra un bambino che impara per la prima volta a preparare dei dolcetti. La forma gli viene tutta sbilenca ma non ho il coraggio di farglielo notare: Alex ha il suo classico sguardo da nerd — preciso e attento, le labbra arricciate e gli occhiali calati sulla punta del naso — e non me la sento di minare il suo orgoglio.
Continuiamo a incurvare i biscotti fino alla fine, quando sono tutti riposti sulla carta forno. «Ora se ne vanno tutti a dormire» dico, impostando il forno alla temperatura stabilita e citando mia nonna.
«Quanto ci vorrà?» chiede Alex, insistente.
«Circa venti minuti».
Si volta verso di me, lo sguardo serio. «Bene, perché sto morendo di fame» fa una pausa, scrutandomi attentamente. «Cos'hai lì?»
Il panico mi attanaglia: sono sporca? Un animale mi cammina tra i capelli? Ho un fantasma alle spalle?
Alex fa per avvicinarsi e, quando occupa completamente la mia visuale, mi soffia addosso una grossa manciata di farina. Si mette a ridere come un bimbo, mentre io tossicchio per la sorpresa.
«Volevo farlo da troppo tempo» é la sua giustificazione.
«Non ti conviene metterti contro di me, mago dei computer» gli rubo la busta della farina da sotto le mani e comincio a lanciargliela addosso; finisce ovunque, sui suoi capelli, sulla felpa e anche per terra.
Alex comincia a correre per il salotto, per sottrarsi alla mia mira, ma se credeva che avrei lasciato perdere una battaglia che lui stesso ha iniziato, allora si sbaglia di grosso.
Lo inseguo con le mani piene di farina, pronta a ricoprirlo da capo a piedi. Sembriamo dei bambini, ma non mi importa. In questo momento non esiste altro, solo le lucine natalizie e le nostre risate.
Alex ruota attorno al tavolino e cerca di nascondersi dietro al divano, ma lo raggiungo in qualche falcata. Solo che mi sta tendendo un'imboscata: non appena alzo il braccio per buttagli addosso la farina, lui mi afferra i fianchi e cadiamo insieme sui cuscini.
Le sue braccia si annodano al mio corpo e senza il tessuto del maglione a creare una barriera, é tutto più amplificato: il calore delle sue mani sulla mia pelle, i brividi lungo la schiena, la sua risata nelle orecchie. Chiudo per un attimo gli occhi: forse è un sogno e quando mi sveglierò lui non ci sarà.
Ma Alex è qui, ad un passo da me, con i nostri corpi che si incastrano su un letto di cuscini e le dita premute contro la pelle, le luci dell'albero di Natale che si riflettono sulle lenti degli occhiali. Faccio fatica a respirare.
Anche lui ansima, chinato su di me come nell'ultimo atto di una fiaba, come se stesse per darmi il bacio del vero amore. Sarebbe il finale perfetto, agognato e desiderato. Il principe che salva la principessa. La magia del Natale e la neve che vortica fuori dalle finestre.
E poi vissero tutti felici e contenti...
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