capitolo 3

⋆⁺₊⋆    3 dicembre   ⋆⁺₊⋆

La sveglia suona troppo presto oggi. Come uno zombie e con tutti i capelli in disordine mi trascino fino al bagno. Salto la mia sessione di stretching perché gli occhi mi si stanno letteralmente chiudendo e ho a malapena la forza per aprire l'acqua della doccia.

Sono rimasta tutta la notte a rimuginare sulla vera motivazione della presenza di Alex ieri e ho trascurato le mie consuete otto ore di sonno.

Come se non bastasse, oggi sono di turno allo Stardust, per cui mi obbligo a mangiare l'ultimo crumbl cookie avanzato da ieri e lavarmi i denti. Il cuore perde un battito e torno a sognare quando mi prendo soltanto un minuto per guardare il mio appartamento decorato per Natale. Così é molto meglio.

Esco di casa dopo aver indossato la prima cosa trovata nell'armadio: un maglioncino arancione e pantaloni verde salvia a vita bassa. Infilo il telefono nella tasca posteriore dei jeans e prendo la mia amata giacca di pelle marrone.

Il cielo è ancora scuro e soltanto dietro i grattacieli si intravedono i colori vibranti dell'alba. Il vento mi soffia gelide sferzate sul viso facendomi lacrimare gli occhi.

Per fortuna, lo Stardust é abbastanza vicino e mi infilo le mani in tasca mentre svolto l'ultima strada da percorrere.

A quest'ora del giorno, New York sembra quasi una città post-apocalittica: le saracinesche dei locali sono ancora chiuse, le strade deserte e le decorazioni in giro per le vie più famose sembrano fantasmi del Natale passato.

Più mi avvicino al café, però, più il profumo di brioche appena sfornate mi stuzzica il naso. La porta cigola piano mentre la apro.

Laurie, la mia collega, si gira immediatamente. «Buongiorno» esordisce pimpante. La saluto con la mano e mi dirigo nel retrobottega a indossare il grembiulino e la targhetta con il mio nome.

Laurie è stata assunta un paio di mesi fa, quando Lily ha lasciato il suo posto per iniziare a lavorare alla Summit. É una ragazza bassina con un caschetto nero affilato e un naso da bambolina. Ha l'abitudine di arrivare almeno mezz'ora prima dell'apertura (il che significa alle 6:30) per avere tutto il tempo di spazzare la sala e riordinare le vetrine prima dell'arrivo dei clienti.

Essere circondata da persone ordinate e sempre in orario é una bella seccatura perché Carl, il proprietario dello Stardust, non fa altro che esaltare la puntualità di Laurie e rimpiangere l'organizzazione di Lily ogni volta che mi consegna la busta paga.

Anche se, ne sono sicura, Laurie si prodiga tanto proprio perché le piace essere adulata. A volte la sento ridacchiare quando qualche cliente le lascia una mancia generosa solo perché ha aggiunto più panna nel caffè.

O, altre volte, ride mettendosi una mano davanti alla bocca quando qualche ragazzo le scrive il suo numero di telefono su un fazzolettino di carta.

Quando fa così a me sembra soltanto un'oca, ma non mi sono mai permessa di farglielo notare.

«Se può interessanti, da Bloomingdale's c'è il 25% di sconto» mi fa sapere non appena torno al bancone e mi lego i capelli in una treccia.

Inizio a mettere in fila per gusti le brioche: vuota, albicocca, lampone, pistacchio, cioccolato fondente, cioccolato al latte e bianco, vegana.

«So che cercavi dei regalini economici da fare per Natale» continua, con voce smielata.

Questa è un'altra cosa che non mi piace di lei: si sente sempre libera di dare consigli non richiesti. Non le ho mai detto che volevo fare regali economici, ma regali azzeccati per i miei amici. Ma lei ha travisato le mie parole e ipotizzato chissà cosa.

«Ci farò un salto» le rispondo cordiale. Se c'è una cosa che odio sul posto di lavoro, sono i battibecchi tra colleghi, per cui faccio sempre del mio meglio per evitarli anche se, a volte, Laurie mi porta veramente all'esaurimento.

Sta finendo di sistemare sul bancone una lavagnetta nera con su scritta la specialità del giorno: cappuccino aromatizzato alla vaniglia con doppia panna, gocce di cioccolato e topping al caramello salato per la bellezza di cinque dollari.

Si precipita anche ad aprire la porta e girare il cartellino open. La cosa che più amo di New York è che le ci vogliono una manciata di minuti per popolarsi di taxi che scorrazzano ovunque, limousine e persone che camminano spintonandosi sui marciapiedi. E, infatti, non attendiamo molto prima che il primo cliente della giornata faccia capolino nel locale.

É un uomo brizzolato con un completo di Turnbull & Asser ben stirato e lucido. Ha un forte accento inglese e ordina un caffè amaro che Laurie si affretta a preparare con un sorriso largo e finto sulle labbra.

I minuti che seguono sono un susseguirsi di studenti universitari stanchi e troppo in ritardo per fare colazione a casa, avvocati con i capelli scintillanti di gel ed eleganti donne con addosso pellicce sintetiche che portano a spasso i loro cagnolini.

La mattina é sempre il periodo più ingestibile della giornata perché, per lo più, bisogna servire clienti impazienti e prede della frenesia della città e le ordinazioni piovono come una fontana impetuosa.

In appena dieci minuti mi ritrovo a preparare sei caffè con almeno tre tipologie di latte differente (senza lattosio, di avena e di soia) e vari topping (caramello, cioccolato, vaniglia, bastoncini di cannella e scaglie di cocco).

Trascorsi i venti minuti iniziali, il locale si svuota gradualmente. Soltanto un gruppetto di tre ragazze si posiziona in un angolo, libri di medicina e computer disseminati sul tavolino e l'aria di chi preferirebbe essere a pattinare al Rink a Rockefeller Center.

Dopo aver pulito per bene il bancone dalle macchie di caffè, tiro fuori il taccuino delle ordinazioni e inizio a scarabocchiare lo schizzo di un abito che ho in mente ormai da parecchi giorni. La matita segna forme e contorni decisi, fermi.

«Allora, che ne pensi?» dice ad un tratto Laurie. Sono talmente concentrata sul disegno che non ho sentito neanche una parola del suo discorso.

«Di cosa scusa?»

Lei mi rivolge un sorriso comprensivo. «Di una tazza come regalo di Natale per Carl. Avevo pensato che sarebbe carino organizzare un Secret Santa, ma insomma, lo metteremmo in una posizione scomoda perché magari non ha il tempo materiale per girare per negozi e cercare qualcosa di adatto» continua a blaterare.

In realtà, dubito fortemente che Carl non abbia del tempo libero, dal momento che non si vede mai allo Stardust e passa le sue giornate bighellonando per Manhattan.

Ma visto che voglio soltanto accontentarla per poter tornare al mio vestito, annuisco. «Si, la tazza va bene».

«Perfetto, perché ho un amico che può aiutarci a personalizzarla e scriverci una frase simpatica. Be', in realtà è il coinquilino di Luke, il mio fidanzato, ma sono sicura che sarà ben felice di farci un favore» continua. Poi scappa a prendere l'ordinazione di un cliente che si è appena seduto al tavolino mentre io torno, finalmente, a finire le sfumature del mio disegno.

⋆⁺₊⋆ ❄︎ ⋆⁺₊⋆

Il sole del pomeriggio si oscura ben presto in un tramonto grigio; le luci si accendono e la neve si poggia fitta sui marciapiedi.

Ho quasi finito il mio turno, ma lo Stardust è ancora pieno di gente e non me la sento di abbandonare Laurie da sola, per cui mi rimbocco le maniche e la aiuto a preparare cioccolate calde e tisane da portare via.

Lancio continuamente un'occhiata alla porta, sperando che rimanga chiusa più a lungo possibile, ma ad un certo punto scorgo un cappotto che riconosco fin troppo bene.

Alex si scrolla di dosso pesanti fiocchi di neve e viene dritto verso di me. «Ciao».

Per poco non rischio di ustionarmi le mani con il caffè bollente. «Ciao» dico, sorpresa di vederlo. «Cosa ci fai qui?»

Lui si siede ad uno degli sgabelli del bancone con una normalità disarmante (perché non dovrebbe esserlo dopotutto, se lavoro in un café?), giocherellando con le bustine di zucchero. «Lily mi ha chiesto di andare a prenderla da lavoro perché non se la sente di tornare con la metropolitana con questo freddo».

«Oh, certo» la mia voce dovrebbe uscire sicura, ma è come se qualcosa mi si bloccasse in gola. Sto cercando di capire cos'è, quando Alex si passa una mano tra i capelli. Li ha tagliati di fresco, questa mattina di sicuro. E la linea della mascella sembra più affilata, il colore degli occhi più tendente al caramello. Ecco cos'è.

«Lily stacca tra un'ora» dico, in panico. Non so perché, dopo tutti questi anni, un suo minimo cambiamento mi faccia questo effetto. Dovrei esserci abituata, lo conosco da quando sono piccola ed è ridicolo che il cuore mi batta ancora così forte solo perché ha un nuovo taglio che lo fa sembrare una copia migliore di Seth Cohen.

Lunga vita ai nerd.

Alex guarda l'orario sul display del telefono e un sorriso impacciato gli si dipinge in volto. «Avevo alcune cose da sbrigare e visto che ero qui in giro ho pensato di fare un salto».

É qui per me?! il mio cervello non pompa abbastanza ossigeno. O é il cuore che dovrebbe farlo? No, forse sono i polmoni. Oddio, perché non capisco più nulla?

«Per il caffè» aggiunge un attimo dopo. «Ho bisogno di dieci tazze dopo tutto il lavoraccio di ieri per quell'albero».

Oh, ma certo. Che stupida, penso. Cerco di controllare il respiro e smettere di comportarmi come una ragazzina. É ovvio. Alex è in un café perché ha voglia di un buon caffè. Chiaro e logico.

«Te lo preparo subito» spero che non si legga troppo la delusione nella mia voce. Mi giro verso la macchinetta proprio quando sento le lacrime pizzicarmi gli occhi. Afferro meccanicamente una tazza e ci verso il liquido, nero e denso.

Da prassi, dovrei chiedergli se vuole la panna o le scaglie di cioccolato, cannella o vaniglia. Ma ho troppa paura che, parlando, si sveli tutto il dolore che sto cercando di nascondere.

«E anche uno di quei muffin alla nocciola» dice Alex appena appoggio la tazza sul bancone. Mi sforzo di sorridergli.

Per fortuna, scorgo un nuovo cliente al tavolino e mi ci fiondo prima che se ne accorga Laurie. Onestamente, una parte di me spera che Alex se ne vada, che si ricordi all'ultimo di avere un impegno imprescindibile, ma quando torno al bancone lui é ancora qui, intento a leggere il volantino di un gruppo hippie che cerca persone per una sessione collettiva di meditazione.

Ho pensato di iscrivermi io e stessa, magari a quella e ad una qualche seduta di ipnosi. Giusto per rilassare la mente.

«Queste cose servono solo a rubare soldi alla gente» Alex scandisce bene ogni parola, lo sguardo corrucciato. I capelli gli ricadono dritti sulle lenti.

«Solo perché non ci credi non vuol dire che non funzionano» ho assolutamente bisogno di occupare le mani perché ho l'impulso di scostargli le ciocche castane dal viso. Afferro al volo uno straccio e inizio a pulire ossessivamente il bancone.

Se avessi mezzo dollaro per tutte le volte che ho pensato a quanto io e Alex siamo diversi, a quest'ora potrei permettermi un'isola deserta privata da qualche parte nel Mediterraneo.

É ovvio che lui non creda a tutte quelle storie sull'amore a prima vista, Mercurio retrogrado, destino, tarocchi o allineamenti astrali di pianeti che riversano su di noi le loro energie. Ho sempre trovato adorabile il suo scetticismo perché, in realtà, mi ha sempre dato una prospettiva diversa da cui guardare le cose.

«Penso sia abbastanza lucido» afferma lui e, per un secondo, non riesco a capire a cosa si riferisce. Poi fa un cenno al bancone e, imbarazzata, smetto subito di strofinarlo.

«Le macchie di caffè sono ostinate» mi giustifico con un'alzata di spalle.

Lui ride, i denti bianchi e perfetti, e il mio cuore perde cento battiti.

Dammi mille baci, poi ancora cento... é una vecchia poesia che sentivo recitare continuamente a Lily, ma questa è l'unica frase che mi è rimasta fissa nella mente, perché ho sempre sperato che — un giorno — potesse rappresentare la realtà.

«Allora, com'è l'appartamento decorato?» chiede lui ad un tratto, sorseggiando la tazza fumante. Gli si appannano le lenti degli occhiali e abbassa la testa per guardarmi.

«Fantastico, confortevole e pieno di spirito natalizio».

Forse ci ho messo troppa esuberanza perché lui alza gli occhi al cielo, divertito.

«A proposito. Prima parlavo con Laurie...» inizio.

«E sei riuscita a sopportarla per cinque minuti di fila?» non riesco a capire se è sarcastico oppure parla seriamente.

«Be' si ha detto qualcosa di interessante e mi ha fatto pensare...»

«E questo è un vero problema» commenta ridendo Alex.

Fingo di ignorarlo. «Come stavo dicendo, mi ha fatto pensare che sarebbe carino organizzare un Secret Santa insieme a Lily, Caleb e Nick».

Alex smette immediatamente di bere il caffè e si blocca con il muffin a mezz'aria, rivolgendomi un'occhiata persa. «Sai cos'è vero? Ci facciamo dei regali a vicenda ma chi lo riceve non sa chi glielo ha regalato».

«Sophie, so che cos'è il Secret Santa» dice lui, fermo e deciso. Solo per qualche secondo penso al modo in cui ha pronunciato il mio nome. Lento e profondo, con un non so che di raffinato.

«Ma vuoi veramente mettere in una stessa stanza Nick e Caleb?» la sua é chiaramente una domanda retorica. «Per il bene di Lily, sarei anche disposto a mettere una pietra sopra ai miei dissapori con Montgomery, ma sai bene quanto me che Caleb è troppo orgoglioso e non ha tutti i torti».

Ovviamente, sono a conoscenza della delicata situazione in cui si trova la mia migliore amica. Nick, il suo capo, conosce Alex dai tempi del college anche se Lily non mi ha mai davvero spiegato cos'è successo tra i due ma, ne sono certa come è vero che ho i capelli rossi, che centra quella vipera di Irina Strauss, la ex di Alex.

Tra Nick e Caleb, invece, non scorre affatto buon sangue e Lily si trova in mezzo ad un triangolo amoroso zuppo di cliché fino all'orlo. Nick, bello e ricco e amato da tutta l'Upper East Side. Caleb, tormentato e che vive solo grazie alla sua musica in giro per i locali squallidi di Brooklyn.

L'unica cosa che hanno in comune è un enorme e profondo amore per Lily.

«Be', ho pensato che questa potrebbe essere l'occasione giusta per chiarirsi. A Natale si è tutti più...»

«Non Caleb e di certo neanche Nick» conclude Alex, mettendo fine alla discussione.

Speravo veramente che potesse essere una buona idea. Anche se Lily non ne parla mai, la conosco. So quanto ci sta male: vuole bene a Caleb e si sente in colpa ma, al tempo stesso, lavorare con Nick è il primo decisivo passo per realizzare i suoi sogni e non é giusto che debba rinunciarci.

«Senti,» riprende Alex notando la mia espressione affranta. «Lascia perdere Lily, Nick e Caleb. Facciamolo io e te il Secret Santa».

La sua proposta mi lascia così tanto interdetta che, per un momento, non so cosa pensare. «Ma non si fa in due, io saprei per certo che sei tu il mio Babbo Natale segreto».

«Chiamalo in un altro modo allora. Ma dobbiamo impegnarci per fare il miglior regalo in assoluto» continua lui.

Non riesco davvero a credere alle mie orecchie. «Quanto mai potrà essere difficile trovarti il regalo perfetto? Basterà guardare in qualche negozio da nerd».

Alex storce il naso e apre la bocca in una 'o' teatrale. «Forse vorrai dire quanto sarà difficile trovare il regalo giusto per te! Basterà qualcosa di rosa».

«Non sono mica così scontata! Ho un sacco di passioni» gli punto il dito contro, minacciosa. Ma lui si limita a ridere.

«Neanch'io sono tanto prevedibile. Lo scoprirai se passi un po' di tempo insieme a me».

Forse la mia mente si sta immaginando tutta la conversazione. Forse questo è solo un sogno troppo vivido. Troppo lucido. Dev'essere per forza così.

Però Alex è ancora di fronte a me, il caffè quasi finito e le briciole sul bancone. Fuori, le luci dei lampioni e dei fari delle auto si rincorrono sull'asfalto mentre la neve scende placida. Dentro, lo Stardust è pieno di gente e profuma di burro.

Rimango in silenzio troppo a lungo, ancora convinta che niente di tutto questo sia reale. Ma non è così.

«Insomma, se ti va. Ultimamente non ho molto da fare e passo tutto il tempo a casa a deprimermi perché nessuna azienda a cui ho inviato il curriculum mi ha ancora ricontattato» Alex inizia a gesticolare freneticamente, la voce incrinata.

«Certo» dico, prima che cambi idea. «Voglio dire, si. Perché no. Sarà divertente» cerco con tutta me stessa di controllare il tono.

Sophie, sii normale e fai quella un po' indifferente. É solo una conversazione normale, non c'è alcun motivo di agitarsi.

«Quindi sarà una specie di sfida di Natale?» si sporge sul bancone, puntando i gomiti sulla superficie di legno.

«Una sfida a chi troverà il regalo migliore» confermo. Ormai sono una ruota libera, a stento comprendo il senso delle mie parole.

Alex sorride, sollevato. Un messaggio illumina il display del suo telefono. «Devo andare. Lily ha quasi finito».

«Certo, ci vediamo. A presto» lo saluto alzando la mano, ma lui é già quasi arrivato alla porta e non mi sente.

Ci vediamo? A presto? Non é mica un estraneo. Mi porto una mano sulla fronte, scuotendo la testa.

Ma, in fondo, non è quello che ho sempre sperato: passare del tempo soltanto io e Alex?. Stare insieme e vedere se, veramente, i nostri cuori sono compatibili come ho sempre immaginato?.

E allora perché avverto questa strana sensazione di vertigini nello stomaco?

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