capitolo 23
⋆⁺₊⋆ 23 dicembre ⋆⁺₊⋆
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Cammino avanti e indietro per la mia stanza, torturandomi le mani e con la testa che mi scoppia. La conversazione con Sophie alberga ancora nella mia mente, ripetendosi in continuazione.
Non so cosa fare.
Sono confuso.
Voglio crederle, ma conosco Irina e, soprattutto, conosco la persona che é quando siamo solo noi due. Ma non posso ignorare la sensazione che ci sia qualcosa di strano, non posso restare qui con le mani in mano. Non dopo che mi sono esposto in questo modo con Sophie. Non dopo averle detto tutte quelle cose.
Faccio un respiro, ricordando con orrore le parole che sono uscite dalla mia bocca. Ma ciò che davvero é indimenticabile è il suo sguardo: quegli occhi azzurri come il cielo che si sono adombrati di nuvole pesanti e grigie. Per colpa mia.
E il suo volto che si è tinto di tristezza, rabbia, amarezza e delusione. Per colpa mia.
Ho bisogno di capire quello che cerca di sussurrarmi il mio cuore e quello che voglio io. Scrivo velocemente un bigliettino per Lily e poi esco di casa.
É l'antivigilia di Natale. New York è una distesa di bianco candido mischiata alle luci colorate. Vedo la gente camminare sorridendo, mano nella mano come se tutto questo periodo fosse magico. Io, invece, mi muovo controcorrente, con la testa piena di confusione.
Attraverso Brooklyn quasi di corsa e quando arrivo nell'Upper East Side ho la schiena madida nonostante il freddo che mi congela le ossa. Sono di fronte al palazzo di Irina, ma adesso tutto quello che volevo dirle, tutto quello che volevo chiederle mi sparisce dalla testa. Mi sento uno stupido a stare qui, di mattina presto, con la tuta che non mi sono nemmeno cambiato e la neve che vortica intorno impetuosa.
Ma ormai sono qui e tornare indietro é da codardi.
Aspetto e aspetto, guardando autisti e fattorini sorpassarmi. Aspetto e aspetto, finché vedo Irina scendere le scale dell'enorme atrio, bella come una regina delle nevi, gelida come la principessa di ghiaccio che tutti pensano che sia.
É la prima volta, da quando la conosco, che provo a guardarla sotto questa luce diversa. Quella della diffidenza, quella di una donna potente che non é abituata a chiedere nulla perché non ne ha bisogno, quella di una donna che vive in un mondo diverso dal mio.
«Alex» dischiude appena le labbra, sorpresa di vedermi, ma non si scompone.
«Possiamo parlare?» sembro un pazzo, che non ha dormito tutta la notte, con i capelli in disordine e la barba non fatta.
Ma Irina sembra cogliere l'urgenza nella mia voce e, sebbene dal suo viso non trasuda alcuna emozione, mi segue in silenzio, i tacchi che calpestano l'asfalto.
Guardarla mi fa male al petto, ma più di tutto ho paura che le parole di Sophie corrispondano alla verità. Dovrei fidarmi di Irina, mi ha detto di non voler essere più come in passato, ma non posso nemmeno convincermi della sua innocenza se prima non ascolto la sua versione della storia.
«Scusa se sono piombato qui così, ma ho davvero bisogno di parlarti» mi rendo conto di star muovendo freneticamente le mani, un brutto vizio di famiglia quando siamo nervosi.
Irina resta immobile, come la statua di una dea, lo sguardo puntato su di me.
«Ieri eri alla festa di Nick?»
Stringe gli occhi, non aspettandosi una domanda del genere. «Si, io e Nick siamo amici. Ma questo lo sai già, Alex» la sua voce è dura.
Si, lo so. E spero che non mi stia nascondendo altro. Però devo chiederglielo. «Ed è vero che stavi baciando un altro?»
Non mi rendo conto di quanto mi faccia male questa domanda finché non la pronuncio ad alta voce. Fa male perché, in fondo al mio cuore, so che Irina sarebbe capace di farlo. E l'ho sempre saputo.
Lei non prova a nascondersi, o a tergiversare. Mi guarda dritto negli occhi quando parla. «Si».
«Si? Tutto qui?» Sophie aveva ragione. E io sono stato un idiota a trattarla in quel modo.
«Alex, ascolta» é la prima volta che vedo Irina Strauss vacillare, non si nasconde più dietro la maschera dell'indifferenza. «É molto difficile da spiegare ma...»
«Quindi mi hai mentito? Per tutto questo tempo stavi solo fingendo di tenere a me?» non controllo più le mie emozioni. Mi sento ferito perché, mentre tutti mi dicevano di non fidarmi di lei, io la difendevo a spada tratta, tutte le volte.
L'ho difesa con mia sorella, con Caleb e con mia madre. Ho preso le sue parti persino con Sophie. Ho gridato, l'ho offesa e le ho rivolto parole orribili che neanche penso, solo per difendere Irina.
«Non ho mai finto di tenere a te. Sei importante Alex. E quando ti ho detto quelle cose, le pensavo veramente» si porta una ciocca bionda dietro l'orecchio, lo sguardo deciso di una donna forte che sa quello che vuole.
«E adesso, cosa pensi?» non era questo quello che volevo, quello che speravo. Mentre venivo qui da lei ero convinto che avremmo sistemato le cose e io avrei finalmente capito il mio cuore, ma il nostro discorso mi sembra un addio e io sono più confuso che mai.
«Che stare insieme mi ha fatto bene, tu mi hai fatto bene Alex. Ma è evidente che io non faccio altro che ferirti. E questo non è giusto» si porta una mano sul cuore, lì dove una catenina d'oro splende anche sotto la luce fioca del sole.
La neve la rende quasi una figura eterea, traslucida e impossibile, come se fosse in un'altra dimensione. Ed è esattamente così che la sento, lontana. Ma è proprio in questo momento che realizzo che é sempre stato così e che noi due non ci siamo mai davvero appartenuti. Io le ho dato ogni cosa di me, tutto quello che avevo da offrire. E lei se l'è tenuto stretto senza darmi nulla in cambio. Nulla se non la superficie.
E so che sotto questo lago ghiacciato che mostra a tutti c'è un giardino rigoglioso, ma forse non sono io la persona giusta con cui scoprirlo.
«Sono sempre stata egoista, ma tu mi hai insegnato a non esserlo. E anche se non sono la persona che speri, in qualche modo tu mi hai già cambiata» fa un sospiro, una nuvoletta bianca si alza sopra di lei. «Per questo non voglio essere egoista con te, Alex. La gente dice che non sono in grado di amare e forse hanno ragione. Ma tu mi hai mostrato l'amore che c'è dentro di te ed è una luce tanto forte di cui io stessa mi sono nutrita per un po'. Però meriti qualcuno che, quella luce, la faccia diventare un fuoco» conclude lei, una lacrima solitaria che le solca la guancia.
Come temevo, é un addio.
Ma non sono triste, né arrabbiato o amareggiato.
Ci siamo conosciuti e sono anche sicuro che per un po' ci siamo amati davvero, ma adesso ognuno di noi deve proseguire per la sua strada. E non è detto che i nostri cammini non si incroceranno più, solo non nel modo in cui pensavamo.
E va bene così.
«Buon Natale, Irina» mi avvicino a lei, abbracciandola un'ultima volta.
«Buon Natale, Alex» sussurra sul mio cuore.
Dirle addio non è facile, ma so che è la cosa giusta. Le bacio un'ultima volta la fronte prima di andare via. Non serve dire altro, a volte le cose finiscono così, senza neanche rendersene conto.
Cammino a ritroso verso Brooklyn, verso casa. Speravo che parlare con Irina mi avrebbe chiarito le idee e, in parte, é così. Ma sento comunque qualcosa in sospeso nel cuore.
Le sue parole mi tormentano ad ogni passo. 'Meriti qualcuno che, quella luce, la faccia diventare un fuoco'. Penso a tutto quello che é successo in questo mese, a tutto quello che mi é successo nella vita.
E, come un fulmine, un'altra frase mi torna in mente. 'In ogni mio ricordo, in ogni mio momento felice, tu eri lì'. Questa però l'ho pronunciata io. E l'ho detta a Sophie.
Mi fermo in mezzo alla strada, spaesato. 'Perché sei la mia migliore amica'.
Come se fino a questo momento fossi stato cieco, il mondo esplode in mille colori. Sophie. Come ho fatto a non vederlo prima? A vedere che, qualunque cosa facessi, lei era accanto a me.
Che lei ha alimentato quel fuoco giorno dopo giorno. Che è lei, ed é sempre stata lei, a infuocare il mio corpo. E, adesso, il mio cuore sa di battere per lei.
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Sono appena uscita dalla doccia, quando il telefono trilla facendomi quasi spaventare. La notifica di un messaggio illumina il display.
'Puoi venire a Central Park, questa sera?
So che sei arrabbiata, però é importante.
Ti aspetterò lì.
Alex'.
Solo poche righe. Dopo quello che è successo, Alex mi ha scritto solo un messaggio di qualche riga.
Finisco di infilare i maglioni puliti nella valigia: ho voglia di tornare a casa, dalla mia famiglia. E pensavo di partire giusto questa sera.
Da quando sono a New York, ho sempre trascorso il Natale dagli Hamilton. Lily prepara sempre un piatto esotico di pasta e io mi sono sempre dedicata ai dolci. Ma quest'anno non ne ho voglia. E, soprattutto, non ho voglia di vedere Alex.
Ma...
Una parte di me sperava anche solo in un suo messaggio. Una parte di me spera ancora di poter tornare indietro, ad ancora prima del bacio quando le cose tra noi erano normali.
Non gli rispondo, perché mi tremano le mani e non voglio farmi vedere così, debole e affranta. Non dopo quello che mi ha detto. Butto il telefono sul letto, prendendo tra le mani il mio peluche.
Strawbetty mi guarda con gli occhioni sorridenti e sono sicura che, se potesse parlare, saprebbe darmi il consiglio giusto. Sono anche tentata di telefonare a Lily, ma so che lei si preoccuperebbe all'istante e non voglio darle ulteriori pene. So quanto, in questa storia, lei ci soffre. Io sono la sua migliore amica, Alex il suo unico fratello. Non voglio obbligarla a prendere le parti di nessuno.
Continuo a tenere Strawbetty tra le mani, sperando che mi parli nella mente. Credo di sapere quello che devo fare: devo solo seguire il mio cuore.
Quindi mi alzo, prendo la giacca ed esco di casa. Il vento mi sferza sul viso, facendo volare via i capelli. New York non è mai stata più bella come in questo momento: gli addobbi di Natale, le luci colorate, la gente che si scambia regali sugli usci delle porte.
Passo per il Rockefeller Center, con il maestoso albero di lucine, pieno zeppo di gente e mi dirigo verso la Cinquantasettesima strada.
Delle luci abbaglianti mi colpiscono gli occhi. All'inizio non capisco bene da dove provengano, ma quando faccio mente locale e arrivo a Central Park, mi ricordo della sfilata di beneficenza di Karl Spizer.
Con tutto quello che mi è capitato negli ultimi giorni, mi sono completamente dimenticata di un evento che, fino all'anno prima, era il fulcro del mio Natale.
Cerco con lo sguardo Alex, anche se è difficile trovarlo tra la calca di gente. Potrebbe essere ovunque e ormai non mi é rimasta molta pazienza.
La sfilata è già iniziata, riconosco le linee pulite, semplici ed eleganti dei disegni di Karl Spizer che ho studiato sulle riviste.
«Sei venuta» la voce di Alex mi raggiunge alle spalle. Mi volto all'istante. Indossa un maglione blu, un paio di jeans e il cappotto. Non dovrebbe farmi vacillare le gambe in questo modo ma la verità è che, nonostante tutto, lo amo ancora.
Per quanto nelle ultime ore ho sperato che il mio amore si azzerasse, é rimasto lì, ad alimentare il mio cuore come una fiamma.
«Sophie, volevo chiederti scusa» riprende lui.
«Quindi hai parlato con Irina» mi stringo le braccia al petto.
Lui annuisce. «Non é questo il punto, questo non centra con quello che é successo tra me e te. Ed è per quello che voglio chiederti scusa perché le parole che sono uscite dalla mia bocca, le cose terribili che ti ho detto neanche le penso» parla velocemente, la luce dei fari che si riflette sui suoi occhiali. «E non c'è mai stato un solo momento della mia vita in cui io le abbia pensate».
Il mio cuore gli crede, crede a quel ragazzo dolce che, da piccole, si è offerto per fare il paggio a me e a Lily durante il Carnevale. Crede a quel ragazzo che, al primo anno di liceo, ha nascosto una rosa rossa nel mio armadietto.
«E non so perché io mi sia prodigato tanto per Irina e per salvare una relazione che nessuno dei due voleva più. Soprattutto perché tutto quello che ho sempre voluto era lì davanti a me» i suoi occhi si fanno più vicini e lui mi prende le mani tra le sue, scatenando una lenta scia di scintille. «Quando tu sei sempre stata qui davanti a me».
Queste parole rimangono sospese nell'aria per un momento, ma quando giungono al mio cuore, lui impazzisce battendo così forte che non riesco più a sentire niente.
«Non so perché ci ho messo così tanto a capire che, di te, amo tutto. La tua stravaganza, il modo in cui sorridi e quando ti brillano gli occhi se sei felice. Amo la tua bontà e la gentilezza e l'amore che metti in tutto quello che fai e amo quando parte di quell'amore è rivolto a me, perché amo il modo in cui mi fai sentire» Alex si avvicina ancora un po', cauto.
Le stelle brillano lontane, ma é nei suoi occhi che si riflette un'intera galassia.
«Alex... io non so cosa dire» la mia voce trema, non so spiegare in che modo il mio cuore stia esplodendo di felicità.
«Dimmi soltanto quello che pensi, in questo momento».
Avrei un repertorio intero da usare, ma é come se la mia mente si fosse svuotata del tutto e non riuscissi più a pensare, quindi dico la cosa più ovvia, quella che ho sempre sentito dentro di me fin da quando ho dodici anni. «Ti amo, Alex Hamilton».
Le sue labbra si curvano in un sorriso e mi scendono lacrime copiose quando lui si avvicina ancora di più, fino a farmi mancare il respiro. «Ti amo anch'io, Sophie Spencer».
Un attimo prima vedo quella galassia nei suoi occhi esplodere e l'attimo dopo le sue labbra sono sulle mie. É un bacio che so già che non dimenticherò mai. Dolce, urgente, umido. Uno di quei baci che la gente si scambia solo nei film, quando l'uno dipende dall'altra ed è questa l'unica cosa che conta. Le sue labbra sono come una pioggia di piacere sulle mie, un incendio, un uragano, una catastrofe bellissima che mi fa desiderare di averne ancora e ancora.
Alex è il primo a staccarsi, le labbra gonfie e il respiro spezzato. «Ho una sorpresa per te, Soph».
Lo guardo con gli occhi ancora ebbri di lui e della sua bocca e gli sorrido, incapace di pensare a cosa potrebbe essere meglio di questo.
Poi lo vedo. Il mio vestito che sfila sulla passerella. Il mio abito rosso che disegnavo in un giorno di dicembre, quando tutto era diverso.
«Ma... come hai fatto?» gli chiedo, non riuscendo a credere ai miei occhi.
«Ho semplicemente mandato il tuo bozzetto e i collaboratori di Karl Spizer lo hanno adorato e lo hanno inserito nella sfilata. É il mio regalo di Natale».
Faccio ancora fatica a crederci ma, come se sapesse che non è finita qui, Alex tira fuori dal cappotto una busta. «Anche questa è per te».
La prendo tra le mani, scartando tremante la lettera. É da parte della Parson School of Design. Mi hanno presa: dal nuovo anno sarò ufficialmente una loro studentessa.
«Come ci sei riuscito?»
«Veramente io non ho fatto proprio nulla, mi sono soltanto limitato a inviare i tuoi lavori. Sei tu quella con il talento» i suoi occhi mi fissano ardenti e il sorriso mi fa venire voglia di baciarlo di nuovo.
«Io però non ti ho preso niente» sussurro quando trovo la forza di staccarmi dalle sue labbra. «Avevamo litigato e credevo che la storia della sfida di Natale fosse ormai acqua passata» mi sento un po' in colpa, ma Alex ride.
«Questo è il regalo migliore che potessi mai farmi» dice sulle mie labbra, prima di baciarle ancora. Mi lascio andare completamente, mi perdo tra le sue braccia.
Ho sempre visto la gente baciarsi sotto grosse gocce di pioggia, colta all'improvviso da un'acquazzone. E a loro non importava nulla, perché niente potrà mai essere più importante di quel bacio.
Ecco, questo è il mio bacio sotto la pioggia.
Anche se non piove. Anche se a New York ha appena iniziato a nevicare.
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