capitolo 18

⋆⁺₊⋆    18 dicembre   ⋆⁺₊⋆

«Dimmi Sophie, non è meglio fare colazione invece di servirla?» Simon si accosta al tavolino, lo sguardo indagatore e pragmatico.

Sono appena arrivati il mio cappuccino con un muffin alle ciliegie e il suo latte macchiato con una fetta di torta al cioccolato fondente. Il tutto servito su un vassoio natalizio con piccole renne e omini pan di zenzero.

Siamo seduti fuori, a ridosso del muretto recintato del café, in pieno centro a Manhattan. L'aria è fredda, ma non nevica e il sole riscalda abbastanza da non dover morire di freddo. La luce colpisce il viso di Simon, addolcendone i lineamenti e rendendo i suoi occhi di una tonalità quasi traslucida.

«Direi di sì» affermo, rendendomi conto che questa è la prima vera colazione che faccio da tutto dicembre: niente caffè da asporto o biscotti mangiati durante la strada per il lavoro. Ma soltanto io, seduta a gustarmi una dose generosa di caffeina in buona compagnia.

Simon sorride soddisfatto, addentando una fetta di torta. Oggi indossa persino gli occhiali da sole, un accessorio molto insolito per il clima incostante di New York, ma gli stanno talmente bene che non ho detto una parola.

«Un penny per i tuoi pensieri» dice Simon, dopo aver bevuto metà del suo latte macchiato.

«Credevo che fossi californiano» lo rimbecco con un sorriso. Lui capisce al volo la mia battuta, ma non sembra abboccare.

Ho avuto l'ennesima delusione in amore, che poi si è rivelata l'ennesima conferma, perché ho sempre saputo quello che prova Alex.

Simon deve aver letto il mio turbamento. Un po' mi stupisce, perché di solito riesco bene a tenermi dentro i miei sentimenti, riesco bene a nasconderli.

Ma forse non a lui.
E sono anche stanca di farlo.

«Ho soltanto capito che la persona che amo da quasi metà della mia vita mi vede come un'amica» rivelo, tutto d'un fiato. Non lo avevo mai detto a voce alta prima, ma adesso non posso tornare indietro. É diventato reale, e tangibile.

Mi aspetto che Simon rida, che mi consideri una pazza o una stupida. Ma il suo sguardo non vacilla neanche per un secondo.

«Questo si che fa male» sussurra. Non prova a consolarmi o dirmi qualcosa di scontato. E per questo gli sono grata, non voglio fare pietà a nessuno e Simon sembra averlo capito, anche se non ho detto una parola.

Lui è semplicemente qui con me, qui per me. Non prova ad alleggerire il mio dolore, ma se ne fa carico tendendomi una mano in modo da condividerlo.

Più lo guardo e più mi sento fortunata ad averlo conosciuto: saranno pure poche settimane, ma sento che lui mi ha già capita, che ha guardato dentro di me e ha scoperto che c'è qualcosa di interessante.

«Vicino casa mia c'è una piccola locanda che si affaccia direttamente sull'oceano. Quando non ho nulla da fare mi piace stare lì, dall'alba al tramonto, a fare surf e guardare la linea dell'orizzonte» bisbiglia Simon.

É un pensiero fuori dal contesto, lontano dalla conversazione. Ma proprio per questo mi fa sorridere. Perché ha deciso di condividere qualcosa di suo con me.

«Il proprietario, Brody, mi prepara sempre la crostata di mele e, Sophie ti giuro, è la migliore di tutto il Paese» continua, ridendo.

Simon ha la capacità di far scomparire le ombre con una risata. Lo imito, abbandonandomi sulla sedia. Quanto tempo é passato dall'ultima volta che ho riso così?

«Non hai ancora provato la mia» ribatto. La nonna me la preparava sempre e la sua era la più buona di tutte. Ho fatto tanti tentativi prima di ottenerla uguale alla sua ma adesso la mia ricetta è anche migliore.

«D'accordo. Ti darò il beneficio del dubbio».

Continuiamo a fare colazione e, ad un tratto, un gruppo di bambini vestiti da angioletti ci passa accanto, allietandoci con un canto natalizio.

«Vuoi sapere perché ero sicuro che stavi pensando a qualcosa, poco fa?» domanda Simon, quando l'aria si acquieta di nuovo e ricompaiono i rumori di New York.

«Dimmi perché» lo incalzo, ora più curiosa che mai.

«Perché io e te siamo incredibilmente simili Sophie».

«Davvero?»

«Davvero».

É un pensiero che mi ha attraversato la testa di tanto in tanto, ma non gli ho mai dato peso. Non credevo di poter avere qualcosa in comune con un ragazzo incredibile di San Diego. Eppure mi sbagliavo.

«So quello che vuoi» dichiara Simon, appoggiandosi sul tavolino. I suoi occhi mi trafiggono, come coltelli ghiacciati. Ma la verità è che questo suo sguardo mi riscalda il cuore, mi fa sentire apprezzata.

«E cos'è che voglio?» é un argomento delicato, doloroso, ma mi fido abbastanza di lui.

«Tu vuoi un amore che ti consumi, vuoi passione, avventura e anche un po' di pericolo...» resta serio per un po', poi mi sorride.

«Questa non è tua» ribatto ridendo.

Simon fa spallucce. «Be' sì, potrei averla presa in prestito da un certo vampiro sarcastico. Ma non vuol dire che non sia vera».

E la cosa incredibile è che ha ragione. Voglio esattamente questo. Non so se sono pronta ad un amore come quello di Damon e Elena, anche perché — contrariamente a Lily — io sono sempre stata team Stefan. Ho sempre voluto un ragazzo dolce e sincero. Qualcuno che mi apra lo sportello della macchina e mi regali i miei fiori preferiti per il compleanno. Qualcuno che sappia ancora esprimere i suoi sentimenti su un pezzo di carta.

Però si, voglio qualcosa che mi consumi di amore ogni notte e che mi faccia svegliare più forte di prima ogni mattina. Qualcosa — qualcuno — per cui combattere giorno dopo giorno e che mi considera allo stesso modo. Qualcosa che batta impetuoso nel cuore e per cui non sono ancora state inventate le parole.

É per questo che amo i film. Possono cambiare le trame e le avventure e i pericoli, ma alla fine c'è sempre un amore che consuma più ardentemente di una fiamma. Un amore che non si spegne mai perché è ciò che smuove il mondo e fa andare avanti nonostante tutto.

«Ti va di venire in un posto?» gli occhi di Simon sono ancora puntati sui miei e mi chiedono di fidarmi.

«Va bene».

Lasciamo una mancia al cameriere che ci ha serviti e inizio a seguire Simon tra gli incroci di Manhattan. Vorrei chiedergli dove ha intenzione di andare perché magari posso aiutarlo, ma lui sembra abbastanza sicuro tra le strade di New York.

Camminiamo fino alla stazione della metro.

«Cosa c'è di più newyorkese della subway?» la domanda di Simon è retorica, ma non posso fare altro che concordare con lui.

Vivo a Brooklyn da un paio di anni e le volte in cui sono scesa qui sotto si possono contare sulle dita di una mano. Lily, invece, mi racconta sempre degli incontri stravaganti e divertenti in metro: artisti di strada, banchieri, tipi con serpenti attorcigliati al collo, stelle del cinema (una volta, mentre andava in Università, ha visto Josh O'Connor).

A questo punto mi aspetto di incontrare, come minimo, Timothée Chalamet.

Tra la calca di gente, riusciamo a salire un attimo prima che si chiudano le porte e la metro parta come un razzo.

Mi guardo attorno, effettivamente Lily ha ragione: sul vagone c'è chiunque. Una donna che chiede l'elemosina, bambini che urlano, tipi altolocati con valigette ventiquattr'ore.

Simon si appoggia al ferro con la mano, ed è assolutamente a suo agio, con gli occhiali calati, i capelli luminosi contro i vetri sporchi e gli stivaletti da rockstar.

Forse è vero che un po' si assomiglia ad Austin Butler.

Io, invece, sono schiacciata tra un passeggino vuoto e una donna vestita da gitana con le dita piene di grossi anelli con le pietre colorate.

Sono tentata di chiederle di leggermi la mano, o farmi una premonizione o darle la mia data di nascita per conoscere il volere degli astri. Ma Simon mi fa cenno che siamo arrivati.

Non ci avevo fatto caso, ma siamo a West Village. Ne riconosco l'atmosfera e i palazzi con le scale antincendio.

Proprio come nel mio sogno...

«So che questo è il quartiere preferito degli artisti» dice Simon.

Faccio una piroetta su me stessa, troppo entusiasta per contenere la felicità. Simon mi guarda con un largo sorriso, si scosta gli occhiali e mi sembra di perdere un battito.

«Grazie per avermi portata qui, grazie per essere qui con me» so che potrebbe sembrare banale, ma non lo è per nulla. Non per me: nessuno ha mai fatto un gesto così prima d'ora.

Non si tratta soltanto del Village come il mio quartiere preferito. Ma qualcosa di molto di più: Simon ha compreso la mia anima, quello che mi piace e quello che non mi piace. E questo per me vale più dell'oro.

Le strade brulicano di persone, fotografi e artisti e musicisti. Da qualche parte si diffonde l'aroma di burro e vaniglia e, in un certo senso, mi sento a casa.

Superiamo una libreria, un posto fighissimo con appese tutte le bandiere arcobaleno, un tattoo store pieno di insegne al led colorate. E poi le case di mattoni, le scale antincendio di ferro e gli alberi innevati.

«Conosco il posto perfetto dove pranzare» dico, in preda all'estesi.

«Sophie, aspetta» Simon mi prende la mano e mi ritrovo di fronte a lui, vicini come non lo siamo mai stati. Petto contro petto, respiro contro respiro. É molto più alto di me e piego la testa per poterlo guardare.

La luce lo illumina in ogni punto del viso e i suoi capelli sembrano oro colato. É come il sogno che ho fatto. Forse è questo quello che il mio subconscio cercava di dirmi. Il volto che speravo di vedere è quello di Simon.

«Volevo soltanto dirti che sei speciale, Sophie. Lo sei davvero. Non ti conosco da metà della mia vita, però l'hai decisamente migliorata da quando ti conosco» le parole di Simon volano dritte al mio cuore.

Resto senza fiato, incapace di dire qualunque cosa.

Simon si avvicina e io mi alzo in punta di piedi. Le sue dita mi sfiorano i capelli, delicate. Il suo respiro si confonde con il mio e una scarica di scintille mi attraversa la spina dorsale, come se due stelle stessero per collidere.

Il tempo sembra eclissarsi, proprio come nel mio sogno.

Simon mi prende il viso tra le mani e l'attimo dopo le sue labbra sono sulle mie. Sento ancora il sapore dolce del cioccolato. Sento il mio cuore sgretolarsi, accogliere il suo e ricucirlo daccapo.

Sento la disperazione, il bisogno di qualcuno che accolga l'altro. Un bacio che faccia dimenticare quanto ci sia di sbagliato nella mia vita.

Mi sciolgo tra le sue braccia e assaporo con tutta me stessa quello che mi dona. E con un solo gesto ripara tutto quello che è rotto. Tutto quello che non è mai stato.

Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi e non ne conosco nemmeno il motivo. Forse è perché mi sento finalmente capita.

In questo bacio c'è tutto quello che é sempre stato taciuto: le lacrime, i sorrisi, la rabbia, le parole, i ricordi, l'amore.

L'amore.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top