capitolo 16

⋆⁺₊⋆    16 dicembre   ⋆⁺₊⋆

Le luci di Washington Square Park sfarfallano come uno sciame di lucciole impazzite. Il West Village è sempre stato il mio quartiere preferito di New York, soprattutto per i suoi famosi palazzi, tipicamente americani e per i negozi di moda e i mercatini delle pulci.

E, in particolare, per l'appartamento di Carrie Bradshaw in Perry Street. Da piccola guardavo Sex and the City con mia mamma, stravaccate sul divano e mangiando gelato alla fragola e sognando di possedere anche noi le sue scarpe.

In fondo, credo che sia nato così il mio amore per la moda. Si è insinuato nelle profondità del mio cuore e delle mie ossa aspettando il momento per maturare e risalire in superficie, sebbene all'epoca pensassi soltanto alla danza e a diventare l'etoile migliore del mondo.

Mi stringo nella mia giacca, seppellendo il naso sotto la sciarpa rossa e le orecchie nel cappello di lana. Non so perché io sia qui, né perché abbia deciso di incontrarlo qui. A Brooklyn sarebbe stato più comodo.

L'aria intorno é pesante, fredda, carica di false illusioni che mi fanno tremare ancora di più. Ma la bellezza di New York resta sempre impagabile: le lucine sembrano brillare con un'intensità quasi magica, seminando una scia di colori come se fossero piccole fatine che segnano il passaggio verso il loro regno incantato.

Anche la luna — piena e luminosa — reclama la sua presenza nel cielo. Ha la forma e la consistenza di una perla d'avorio e sembra molto più vicina di quanto non sia. Di quanto dovrebbe essere.

Forse se le tendessi la mano riuscirei persino a sfiorarla...

Il vento trascina con sé il profumo caramellato dello zucchero filato, il profumo degli aghi di pino e quello della neve. Il profumo della mia infanzia nel Connecticut.

Vorrei davvero sapere quanto altro tempo dovrò aspettare qui, infreddolita e meravigliata dal panorama. Grandi schiaccianoci sono posizionati ai lati delle vetrine addobbate e sento quasi l'impulso di danzare, richiamata da una musica che sento suonare impetuosa nelle orecchie. Poso lo sguardo sul viso di uno dei giocattoli — che è del tutto uguale al soldatino di Clara — e mi sembra che si muova.

Mi sembra che stia per prendere vita, esattamente come nel balletto di Čajkovskij. Il soldatino comincia a crescere, diventando sempre più grande. Forse dovrei avere paura e scappare, ma rimango immobile dove sono, curiosa di sapere cosa succede dopo.

Lo schiaccianoci acquista le fattezze di un uomo, ma é difficile riconoscere i lineamenti del suo viso. Le luci gli colpiscono il volto come in un'apoteosi di bagliori scintillanti. Mi sembra che persino la musica nelle mie orecchie cresca di intensità.

L'uomo, il principe azzurro che ha sempre popolato i miei sogni da bambina, comincia a camminare lentamente verso di me. Non so chi sia, ma il ho presentimento di conoscerlo. Conoscerlo bene.

Forse vedo il riflesso degli occhiali di Alex, ma la luce continua a colpirlo come un'aura bianca e immacolata, impedendomi di scorgere il suo viso.

Forse ha i capelli ricci, biondi come spighe di grano, di Simon.

Sta per avvicinarsi, gli mancano solo pochi passi per raggiungermi e rivelarmi finalmente il suo volto. La musica nelle orecchie raggiunge il picco di tensione, e anch'io rimango con il fiato sospeso. Il principe azzurro è adesso fermo, in piedi davanti a me.

Mi rivolge un sorriso, il più bello che io abbia mai visto. Sto per scorgere il suo viso e, finalmente, dare una risposta a tutte le mie domande...

Ma la sveglia suona, il rumore fastidioso e meccanico.

É stato soltanto un sogno, penso mordendomi il labbro. Sembrava così reale e avrei davvero voluto che lo fosse.

Credo che, in qualche modo, il mio subconscio — o l'universo — abbia provato a dirmi chi è l'uomo della mia vita, ma mi sono svegliata troppo presto per scoprilo.

Vorrei tanto rigirarmi nel letto e chiudere gli occhi, soltanto per sperare di vedere il volto del mio principe azzurro, ma la vita non è come una favola felice e io devo andare a lavoro.

Oggi più che mai non ne ho voglia. É il lunedì peggiore di sempre. Più lunedì dei classici e strazianti lunedì. Ma non ho altra scelta: mi vesto con il primo maglione che trovo nell'armadio, infilo le scarpe e seppellisco la faccia nella sciarpa.

Recupero al volo un brownie e me lo mangio mentre cammino, di fretta come sempre. A volte vorrei che la mia vita fosse più semplice e meno monotona. Ancora una volta, mi ritrovo a pensare alla mia domanda di ammissione alla Parson.

Provo ad entrarci dall'anno scorso, inviando una lettera sia a settembre sia a gennaio. Ma entrambe le volte mi hanno rifiutata, perché i miei disegni e le mie idee non erano abbastanza innovative.

Anche quest'anno ho fatto domanda, più sotto consiglio di Lily che per mia volontà. Lei mi ha praticamente costretta a non mollare e le sono grata per il supporto.

Entrambi i rifiuti mi hanno fatto perdere fiducia in me stessa e nelle mie qualità, ma Lily mi ha ricordato che non si può ostacolare un sogno. E, adesso, sono pronta a riprovarci.

Non so bene quando arriverà la risposta dalla segreteria, ma so che — qualunque sarà l'esito — non smetterò di disegnare e cucire abiti. É qualcosa di inciso nelle mie ossa, scritto sulla pelle con inchiostro indelebile.

La giornata allo Stardust si rivela infernale. Laurie si è data malata e non c'è nessuno ad aiutarmi con i clienti, che sembrano moltiplicarsi ad ogni minuto che passa.

Cerco di stare dietro a tutte le ordinazioni e, soprattutto, di non sbagliarle. Qualcuno ha chiesto un cappuccino senza lattosio, qualcun altro di togliere le noccioline decorative da una fetta di torta per via di un'allergia: ho paura di non ricordare tutto e scatenare un'intossicazione di massa.

Per fortuna, le ore più cruciali trascorrono senza incidenti e, finalmente, posso rilassarmi contro il bancone. Rubo anche una fetta della torta del giorno: crostata di pasta frolla croccante ai lamponi e menta. E, dal momento che sono a corto di caffeina ed energie, mi preparo anche un doppio espresso alla vaniglia.

In fondo, non è tanto male lavorare in un café. Potrei pensare seriamente di restare qui per sempre; magari un giorno potrei persino comprarmelo questo posto. Sicuramente a Lily piacerebbe la mia idea.

Fin da quando siamo piccole sogniamo di aprire un locale tutto nostro confortevole e alla moda dove servire gusti esotici di caffè e vendere libri: la parete di fronte sarebbe perfetta per inserire le librerie...

Sto ancora fantasticando, quando la porta d'ingresso si apre con uno scricchiolio. Alex entra con tutta fretta, scrollandosi dalle spalle uno sbuffo di neve.

Era l'ultima persona che pensavo di incontrare oggi. Non che non sia felice di vederlo, ma è comunque strano, soprattutto dopo sabato.

«Ciao, Soph» esordisce lui, sedendosi allo sgabello di fronte al bancone. «E Laurie?»

«Oggi è malata».

«Ah, capisco».

Lo conosco bene: so che sta cercando di prendere tempo con inutili domande di circostanza. Quello che però mi é ignaro è il motivo della sua visita.

«Mi prepari un espresso?» domanda, allungando il dito sul cartellone esplicativo alle mie spalle. «Vorrei parlarti».

«Certo» dico, anche se mi trema la voce. Potrebbe dirmi che è infuriato con me perché l'ho lasciato a teatro e sono scappata insieme a Simon.

Gli preparo il caffè, assicurandomi di metterglielo nella tazzina migliore.

«Mi dispiace, davvero. So di aver sbagliato a lasciarti da sola sulla balconata. Volevi mostrarmi un balletto che ami e volevi condividere con me la tua passione e io mi sono comportato da idiota» parla velocemente, probabilmente per non dimenticarsi tutto quello che vuole dire.

«Non fa niente, Alex» sussurro, ma mi rendo conto che è una bugia. Mi sono sentita una scema mentre lui si allontanava per andare da Irina e mi sono sentita ancora peggio quando non é tornato.

É vero che volevo mostrargli il balletto, fargli vedere quello che vedo con i miei occhi. E volevo che fosse lui perché sapevo che avrebbe capito cosa significa la danza per me.

«No, non è vero. Non avrei neanche dovuto pensare di andare a salutare Irina perché eravamo lì insieme» sospira. «Capisco perché hai chiamato Austin Butler, me lo sono meritato».

So di dovercela avere con lui, ma non posso evitare di sorridere. «Si chiama Simon, Alex».

Lui fa spallucce, come se non avesse alcuna importanza.

«Voglio rimediare, Sophie, come si deve» dice guardandomi negli occhi. Sfila dalla tasca dei jeans una bustina bianca, mettendomela davanti agli occhi sul bancone.

La prendo tra le mani e la apro. Sono due biglietti per il Lago dei Cigni per questo mercoledì.

«Alex...»

«Ti prego Soph, permettimi di rimediare».

Fa per afferrarmi le mani, ma trovo il coraggio di scostarmi. «Lo apprezzo, davvero tanto, ma...» non so in quale angolo della mia mente trovo questo coraggio, ma ho bisogno di essere sincera. «Non posso, faccio il doppio turno mercoledì».

«Datti malata, non hai mai perso un solo giorno di lavoro in vita tua» leggo la determinazione nel suo sguardo.

Vorrei credergli, vorrei cedere. Ma conosco Alex: lo sta facendo solo perché si sente in colpa, come se avesse spezzato le ali ad un tenero uccellino e volesse rimediare in qualche modo. Ma io non sono un uccellino fragile tra le sue mani e, anche se mi costa ammetterlo, lo avrebbe fatto con chiunque.

Io non sono speciale per lui. É lui ad essere una persona speciale. Ma non posso più lasciarmi condizionare da questo. Mi fa male il cuore, ma so che è la cosa giusta.

A volte, in amore bisogna imparare a lasciar andare. A volte, amare vuol dire fare un passo indietro. E io so di doverlo fare in questo momento, perché lo amo troppo e, proprio per questo, lui è l'unica persona al mondo che può spezzare il mio cuore in mille pezzi.

«Mi dispiace Alex, non posso. E comunque l'ho già visto con Lily» pronunciare ogni singola parola é come affondare un po' più dentro una lama ghiacciata nell'anima.

Lui mi guarda dispiaciuto, comprensivo e rassegnato. Credo che anche lui abbia percepito questo distacco tra noi. Improvviso, crudele e doloroso. Ma necessario.

«Va bene» dice soltanto.

Una parte di me vorrebbe che continuasse a lottare, che mi dimostrasse di più e che non si arrendesse perché sarei disposta a seguirlo in capo al mondo. Ma l'altra parte lo guarda andare via senza il coraggio di fermarlo, senza la voglia di farlo perché è stanca di corrergli sempre dietro, é stanca di ricevere soltanto le briciole del suo amore.

Aspetto che Alex scompaia dalla mia visuale, resto in piedi, ferma e immobile. Cerco di restare impassibile.

I minuti passano, trasformandosi forse in ore. Il locale si svuota man mano. La notte si fa sempre più scura e silenziosa.

Soltanto adesso, lontana da altri occhi, mi accovaccio contro il bancone, le braccia strette intorno alle ginocchia e la testa piegata. E, finalmente, le lacrime scorgono limpide come fiumi, libere.

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