capitolo 13

⋆⁺₊⋆    13 dicembre   ⋆⁺₊⋆

Mentre esco di casa, incrocio Lily sulla porta del bagno. Ha i capelli legati e la bocca piena di dentifricio.

Sono soltanto le sette di mattina e lei è già operativa. Senza contare che, ieri sera, é tornata molto tardi. Ha detto che ha cenato in un ristorante italiano con Nick e io muoio ancora dalla voglia di chiederle cos'è successo.

Ma sono in un ritardo mostruoso, quindi la ringrazio per i vestiti e la saluto con un bacio volante, appuntandomi mentalmente di ricordarla di raccontarmi della cena.

«A presto coinquilina» mi urla, sputacchiando l'acqua nel lavandino.

Per riflesso, anche Alex é sveglio nonostante sembri abbia trascorso la notte in bianco. Si limita ad un cenno della testa.

Vorrei dire che oggi la giornata è diversa, ma è sempre la stessa musica: preparo i caffè, pulisco il bancone, chiacchiero con qualche cliente, lavo le tazzine e inforno i croissant. E nell'intervallo tra una e l'altra riesco a ritagliarmi qualche minuto per scarabocchiare sul quadernino che mi porto sempre dietro.

Ho in mente un'idea per un vestito da almeno un paio di settimane, ma tutte le volte che mi impongo di sedermi tranquilla e disegnare l'ispirazione svanisce come una bolla di fumo. Ma adesso ho quasi completato il corpetto dell'abito e il risultato mi piace parecchio.

Comunque, non faccio neanche in tempo a scrivere il colore dei tessuti che il ritmo frenetico del lavoro mi richiama a sé. Tutto molto monotono, meccanico e ripetitivo.

Almeno, finché il mio telefono trilla, più forte persino delle canzoncine natalizie in sottofondo. Laurie mi lancia un'occhiata di rimprovero, ma la ignoro beatamente mentre sfilo il cellulare dai jeans.

Simon.

"Ti va di fare un giro nella Grande Mela, New York?"

Sorrido come un ebete di fronte al display. Anche nel messaggio di ieri mi ha chiamata così, New York. Non so perché, ma lo trovo adorabile. Questa è senza ombra di dubbio la città più bella del mondo e mi intenerisce sapere che qualcuno mi ha dato il suo nome.

Entra un cliente e lo sguardo di accusa di Laurie si trasforma subito in un'occhiataccia irata, quindi mi sbrigo a scrivere una risposta e spengo il telefono, immaginandomi già dove portare Simon.

⋆⁺₊⋆ ❄︎ ⋆⁺₊⋆

Mi ciondolo sulle gambe, le mani rigorosamente in tasca, mentre aspetto Simon al Rockefeller Center.

Per un attimo ho paura che mi abbia dato buca. In effetti, sembrava troppo bello per essere vero. Simon non ha nulla dei vecchi ragazzi con cui sono uscita.

Un senso di profonda paura mi attanaglia lo stomaco, quando sento la sua voce in lontananza. «Ehi, New York!» alza la mano, come se stesse salutando una sua vecchia amica.

Lo guardo mentre cammina tra le persone: è più alto di quanto ricordassi, il biondo dei capelli che spicca anche con le luci colorate della città. Cammina disinvolto, con una mano nei pantaloni e un grande sorriso perfetto sulle labbra.

«Ciao» gli rispondo, momentaneamente abbagliata dalla sua bellezza.

Come se i nostri piedi sapessero già dove condurci, camminiamo verso il grande albero in piazza. É maestoso ma, per qualche ragione, lui non ne rimane colpito.

«Allora, cosa fai nella vita?» chiedo, incapace di trattenere oltre la domanda. Aveva detto che ci saremmo conosciuti soltanto di persona, e ho intenzione di conoscere il vero Simon questa sera. Se devo rimanere delusa per l'ennesima volta, preferisco capirlo subito.

Si passa una mano piena di anelli tra i capelli e io seguo ipnotizzata i suoi movimenti. «Faccio il modello. Principalmente a San Diego e a Los Angeles, ma ho qualche contatto anche qui a New York».

Non so se ridere o sforzarmi di essere seria, ma il modo in cui lo dice non sembra per nulla una battuta, quindi mi convinco che sia la verità.

«Non ci credi?» ha percepito il mio sguardo scettico e mi rivolge un sorriso dolce.

In effetti, ha senso. Ha senso che faccia il modello, perché è davvero molto bello. Mi stupisco per il mio commento molto superficiale, ma in fondo è la verità.

Simon mi sta ancora guardando con i suoi occhi di ghiaccio, si aspetta una risposta. «No, certo che ci credo. É solo che non ne ho mai conosciuto uno».

Lui ride. «E tu invece? Non credo che servire caffè e cioccolata calda sia il sogno della tua vita».

«Voglio fare la stilista» dichiaro, con più sicurezza.

«E poi sono io quello con il lavoro poco comune?» Simon continua a ridere, puntandosi il pollice sul petto.

Touché.

«Ma, sai, é un campo molto difficile e soltanto pochi ci riescono davvero» mi sono ripetuta la stessa frase per un sacco di tempo e alla fine ci ho creduto. Soprattutto tutte le volte che sono stata rifiutata alla Parson The New School For Design. In fondo, Marc Jacobs e Tom Ford si sono laureati alla Parson, per cui non so che possibilità possa avere io.

Ma mi sono trasferita a New York proprio per questo, per coltivare e realizzare i miei sogni e finché non sarò io a voler smettere, le critiche e i rifiuti non mi spaventano.

«Niente é troppo difficile» dice Simon con una schiettezza e sicurezza che mi arrivano dritte al cuore. Gli sorrido. «Lasciatelo dire da una persona che ha visto tanti stilisti: se questo è quello che vuoi fare davvero, allora devi continuare Sophie. Sei creativa, sensibile, esuberante e piena di idee».

Le sue parole mi colpiscono. «Grazie» sussurro, abbassando gli occhi per non piangere. Nessuno mi aveva mai parlato così, prima. A parte la mia famiglia e Lily.

Simon si avvicina, solo di qualche passo, e mi abbraccia. Affondo la testa nel suo maglione fresco di bucato e penso che, conoscerlo, é stata la cosa migliore che mi sia successa da un sacco di tempo. Le sue braccia si saldano attorno alla mia schiena e, forse per la prima volta, non penso ad altro.

Avevo bisogno di un abbraccio e lui l'ha capito. Da qualche parte, forse sulla confezione di un cioccolatino, ho letto che gli sconosciuti sanno leggerti dentro in un modo che, a volte, è estraneo persino ai tuoi più cari amici.

Che ci sono anime destinate ad incontrarsi e camminare fianco a fianco per sempre. Che vagano incomplete sulla terra finché non trovano la parte mancante.

Siamo fermi in mezzo alla piazza, ma non mi importa. É davvero come nei film: tutt'intorno la gente si muove e continua con la propria vita, ma al centro i due protagonisti vivono in un tempo diverso, dilatato, dove non esistono altri pensieri o altri problemi. Soltanto il momento, l'attimo in cui si condividono le proprie vite.

Quando ci stacchiamo, sento il cuore rinato. I suoi occhi sono ancora su di me, attenti e interessati. Simon ha guardato oltre la superficie, ed è rimasto. Almeno fino ad adesso.

A volte, maschero le mie insicurezze dietro la corazza della ragazza sempre felice, sempre solare. Ma la mia paura più grande è restare in silenzio. Restare da sola con i miei pensieri e scoprire che non sono niente di che.

«Cosa ti piace di più di San Diego?» domando, quando l'elettricità nell'aria comincia a disperdersi e mi impongo di concentrarmi su Simon.

«Sarebbe banale dire il clima?» ride. «Le persone».

Le luci della città gli colpiscono il viso e resto per un attimo ferma a fissarlo.

«La vita scorre più lentamente, come se le persone se la godessero veramente. Devi venirci un giorno».

«Magari si, un giorno» mi ci vedo a prendere il sole in spiaggia, i piedi nell'acqua dell'oceano, senza alcun tipo di pensiero. Soltanto io e il mare.

Intanto, siamo arrivati a Central Park. Simon si guarda attorno meravigliato e mi sento molto soddisfatta per aver scelto di portarlo qui. Il mio posto preferito. Il mio luogo del cuore.

Simon mi sorride. «Ti farò provare la specialità di San Diego: il taco di pesce».

Non sono una grande fan del pesce, e la mia espressione deve averglielo fatto capire.

«Fidati, questo ti piacerà. Pesce impanato e fritto e avvolto in una tortilla di mais, una vera delizia» al solo pensiero, i suoi occhi brillano. «E poi devi assolutamente vedere le spiagge: Mission Beach, Windsea Beach — personalmente la mia preferita —, Ocean Beach».

Questa volta mi sono documentata: ho rubato il libro di Lily e ho cercato tutti gli aneddoti possibili su San Diego e la California. «Quindi ti piace il surf? So che Windsea é famosa per la capanna sulla spiaggia costruita dai surfisti durante la seconda guerra mondiale».

Simon sembra colpito e mi sorride ancora di più. «É un sito storico di cui siamo molto orgogliosi a San Diego» afferma. «E si, amo fare surf».

Continuiamo a passeggiare, godendoci l'aria e le luci. Ma ad un tratto Simon spacca completamente l'atmosfera. «Hai un fidanzato, Sophie?»

Odio questa domanda perché odio rispondere. Odio il fatto che, in tutta la mia vita, non abbia mai avuto un vero fidanzato. Come se, per quanto ami l'amore, l'amore mi passa sempre accanto, sfiorandomi appena ma mai toccandomi. Mai restando.

Ogni volta che penso di aver trovato la persona giusta, ogni volta che sento di poter essere felice, l'amore cambia strada, abbandona il mio fianco non favorendomi più.

Forse sono io. Per quanto provi a nasconderlo e ad essere diversa, sono rotta dentro. C'è qualcosa in me che spaventa le persone e le fa allontanare.

Forse le mie insicurezze, forse tutti i problemi e le paranoie che abbelliscono il mio passato come una carta da parati che, per quanto provi a grattare via, resta incollata a pezzi. E provare a nasconderla, rimpiazzarla con un'altra, funziona solo finché non si vede cosa c'è sotto la superficie.

«No» mi trema un po' la voce. Ho paura che anche Simon decida di allontanarsi, che capisca che conoscermi è stato soltanto un errore.

Ma lui resta fermo dov'è. Mi guarda intensamente: uno sguardo che mi imbarazza e mi costringe ad abbassare gli occhi.

«Aspetti qualcuno di speciale?» la sua domanda potrebbe sembrare generale e innocua, ma é stata posta come se conoscesse già la risposta.

«Lui non mi vede allo stesso modo» non ho mai parlato di Alex ad una persona che non fosse Lily, ma Simon sembra capirmi in qualche modo e, parlare con lui, mi riesce semplice.

«É un vero peccato» sento la sua voce, il peso della sua mano sul mio braccio.

Mando giù un sospiro. «E tu? Ce l'hai una fidanzata?»

«No».

«Credevo che i modelli avessero una fila di ragazze che agognano di starci insieme».

«Già, lo credevo anch'io dopo il mio primo servizio. Una bella fregatura» mi sorride.

Non mi accorgo di star ridendo finché non ne sento il suono, così spontaneo e sincero.

Il cielo si è tinto di stelle, anche se é difficile scorgerle con tutte le luci e lo smog della città. Ma loro, ignare di tutto, continuano a splendere lo stesso.

Forse dovrei essere determinata e coraggiosa come le stelle anch'io. Non ho voglia di concludere qui la serata anche se si sta facendo tardi. Parlare con Simon è come dolce miele sulle mie ossa, qualcosa che mi fa sentire meglio e fa lenire i miei difetti.

«Ti va di tornare alla pista di pattinaggio?» domando. Non mi importa se sembra una richiesta banale, se tutti i turisti ci vanno.

Simon mi rivolge un'occhiata di puro terrore, ma il secondo dopo sta già ridendo. «A San Diego abbiamo l'oceano. Non credo di essere molto portato per tutto ciò che è scivoloso e ghiacciato».

Giusto. Avrei dovuto pensarci.

«Ma possiamo andare verso quel chioschetto all'angolo e prendere un classico hot-dog newyorkese» Simon indica un punto fuori Central Park.

«Certo» la sua idea mi piace persino più della mia.

Ci dirigiamo verso il carretto e, mentre le luci sfavillano e un Babbo Natale in lontananza grida Oh Oh Oh, mi sembra di essere veramente protagonista di un film.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top