capitolo 11

⋆⁺₊⋆ 11 dicembre ⋆⁺₊⋆

É proprio vero che le cose migliori della vita vengono quando meno te lo aspetti.

Non che io non stessi cercando l'amore, perché è così. Ma avevo la testa talmente piena di Alex che ero cieca per quanto riguarda tutto il resto. Ero così tanto concentrata su di lui da non avere alcuna energia per il resto del mondo. E, avrei dovuto capirlo prima, bastava alzare lo sguardo per restare incantata dalla bellezza.

Dopo aver parlato con Lily, ieri, ho scritto a Simon, dicendogli che anche a me ha fatto piacere conoscerlo e che non vedo l'ora di mostrargli il vero volto di New York.

Abbiamo continuato a parlare per ore, fino a quando la notte non si è trasformata lentamente in giorno. In realtà mi ha raccontato ben poco di lui, ed io ho fatto lo stesso, ma ha subito messo le cose in chiaro dicendomi che, per conoscerci meglio, dovremo vederci di persona.

Non so perché, ma il mio cuore ha fatto una capriola. Avrò anche avuto tanti primi appuntamenti con ragazzi sporadici, ma nessuno di loro si è mai interessato alla mia vita o si è preoccupato di farmi qualche domanda di vero interessamento. Di solito, erano già convinti di conoscermi e passavano oltre questa fase.

Con questi pensieri ad offuscarmi la mente, attraverso gli incroci di Brooklyn, verso l'appartamento degli Hamilton. Alex mi ha inviato un messaggio, dicendomi soltanto di raggiungerlo il prima possibile.

Conoscendolo, avrà un qualche problema con gli addobbi natalizi, o vorrà chiedere ulteriori consigli sul regalo per Irina.

Conoscendomi, invece, ho stranamente reagito bene al suo messaggio: nessun formicolio nelle vene, il cuore non ha battuto più forte, nessun salto di gioia. Mi sono sentita quasi una persona normale.

Oggi si gela, per cui affretto il passo, nascondendo il naso nella sciarpa rossa e le mani nelle tasche. Supero la scuola internazionale e svolto l'angolo. Il palazzo si scaglia imponente sul resto degli edifici.

Saluto il portiere con un cenno, impossibilitata a fare altro perché ho paura di avere le labbra sigillate dal freddo, e seleziono il piano all'interno dell'ascensore.

Ogni volta che le porte si chiudono mi sembra di trovarmi in un episodio di Only Murders in the Building; persino i residenti sono persone così strane e singolari. Scrollo la testa, per scacciare i pensieri.

Il pianerottolo è stato addobbato per Natale con una ghirlanda spennacchiata sul ripiano del calorifero, qualche adesivo sulle finestre e un vischio pendente.

Busso alla porta di Alex; so che oggi Lily deve lavorare, quindi mi aspetto di trovare soltanto lui, o al massimo anche Caleb.

Alex ci mette un'eternità ad aprirmi, lasciandomi diventare un pezzetto di ghiaccio. Un dolce profumo di caramello salato mi colpisce in pieno non appena lui spalanca la porta, invitandomi ad entrare.

«Finalmente!» esclama, lasciandomi di stucco.

All'inizio non riesco a capire cosa c'è di strano, ma qualcosa deve esserlo per forza: Alex indossa una felpa più brutta del solito (Hulk che grida con le enormi mani verdi sulle guance, come il quadro di Munch), ha gli occhiali storti, ma questa non dovrebbe essere una novità.

É quando lui chiude la porta dell'appartamento e io mi guardo intorno, che noto che qualcosa non va. Il tavolino di fronte al divano è disseminato di popcorn al caramello salato, ciotole di patatine, coni di caramelle gommose, panetti preconfezionati alle noci e una quantità imbarazzante di bottigliette di Coca Cola e lattine di birra analcolica.

Se non lo conoscessi, direi che si sta preparando a vedere una partita di baseball. Ma a lui non piace, né il baseball, né il basket, né il rugby. Per farla molto breve, qualunque sport in cui si gioca con una palla.

«Aspetti Caleb?» domando, non riuscendo a darmi altre spiegazioni per tutto questo spreco di cibo.

Lui scrolla le spalle. «No, aspettavo te».

Gli rivolgo l'occhiata più stranita di cui sono capace.

«Faremo una maratona di Mario Kart» annuncia, come se fosse il modo più bello per passare un mercoledì pomeriggio. Be', probabilmente per lui è così, ma di certo non per me.

Trattengo una risata. «Non ho voglia di giocare a Formula Uno alla Play Station».

Lui sembra deluso dalla mia risposta e incrocia le braccia al petto. «Innanzitutto, é un gioco per la Nintendo Switch» precisa, come se la differenza fosse una questione di vita o di morte. «E, secondo, abbiamo una sfida io e te e, se io ho accettato di cucinare i biscotti insieme a te, tu dovrai acconsentire a giocare a Mario Kart».

Il suo ragionamento non fa una piega e mi trovo a sorridere per l'espressione adorabile che fa. Vorrebbe sembrare autoritario, ma non riesco proprio a prenderlo sul serio con quell'orribile felpa addosso.

«E poi sono uscito soltanto per te a comprare le tue caramelle preferite».

In effetti, quelle sono davvero le mie caramelle preferite: piccoli orsetti colorati alla frutta. Ma cerco di nascondere il fatto che, comunque, ho apprezzato il gesto.

«Caspita, Alex! Hai soltanto attraversato una strada e svoltato un'angolo!» lo rimbecco ridendo, ricordando che proprio dietro il palazzo si trova il nostro negozio di caramelle di fiducia.

«Be', mi sono dovuto lavare, vestire, coprirmi bene per il freddo, camminare...» inizia lui, elencando punto per punto tutto quello che ha fatto.

Lo blocco immediatamente, senza riuscire a smettere di ridere. «D'accordo, ma scordati la maratona. Ti concedo soltanto una partita».

Lui tenta di nascondere il sorriso trionfante e soddisfatto che gli si dipinge in viso, ma é talmente dolce e sincero che mi ritrovo a sorridere a mia volta.

Soltanto adesso mi rendo conto di quanto mi sia mancato. É vero che negli ultimi due giorni — sia grazie a Simon sia grazie a Lily — sono riuscita a non sentire la sua assenza, ma adesso che siamo di nuovo nella stessa stanza capisco che mi é mancato come l'aria.

Il suono di una notifica mi riporta alla realtà. Alex mi guarda per un momento mentre prendo il telefono dalla tasca, poi torna a trafficare per collegare la Switch alla televisione.

Accendo il display. É Simon.
Mi tremano un po' le mani ad aprire il messaggio, mi sembra di tradire Alex in qualche modo, ma... che sto dicendo? Io e Alex siamo soltanto amici e Simon è soltanto una persona che ho appena conosciuto.

'Ti andrebbe di vederci? Finalmente mia nonna sta facendo il riposino dopo aver rispolverato le vecchie foto di famiglia' recita il messaggio, insieme ad una faccina carina.

«Tutto bene?» chiede Alex ad un certo punto. «Chi è?»

La domanda mi manda in crisi. Cosa dovrei rispondergli? Faccio per pensarci su, ma mi riscuoto immediatamente. In fondo ad Alex non importa nulla della mia vita sentimentale, credo che sia abbastanza chiaro.

«Simon» il suo nome suona strano sulle mie labbra. «Un ragazzo che ho conosciuto l'altro giorno».

Alex resta in silenzio per un momento, una tensione insolita tra noi. «Ah».

Non riesco a decifrare la sua espressione, e decido di restare zitta, l'imbarazzo che comincia a tingermi le guance.

«Vuoi andare da lui?» c'è qualcosa nel suo tono. Imbarazzo? Disappunto? Gelosia? Delusione?

Forse me lo sto soltanto immaginando. «No, certo che no» mi affretto a dire. Non amo particolarmente i giochi da nerd di Alex, ma non voglio neanche piantarlo così per correre da Simon, non dopo che si è prodigato ad organizzare tutto, accendere le lucine di Natale e le candele, preparare tutto questo cibo.

Scrivo velocemente un messaggio a Simon, dicendogli che oggi sono occupata. Alex segue con lo sguardo ogni mio movimento, ma non dice nulla.

«Ci sono» affermo, riponendo il telefono lontano da me, per far capire ad Alex che non ho intenzione di essere disturbata e che sono pronta a questa nostra serata-videogame.

Ci vuole un attimo, ma Alex torna quello di sempre e le ombre sul suo viso si distendono. «Scegli un personaggio».

Mi accomodo vicino a lui sul divano e la mia preferenza cade su Daisy. «É l'unica con i capelli rossi» mi giustifico, con un'alzata di spalle.

Mi aspetto che lui selezioni Mario, o Luigi, ma fa scorrere il cursore fino a Toad, il piccolo fungo. Sceglie la pista e la partita inizia.

Onestamente, non pensavo sarebbe stata così difficile: sono partita in ritardo e continuo a cadere dalla corsia. Tutti gli altri personaggi mi superano e sbriciando la porzione di televisione di Alex, guardo la sua posizione. É primo.

É vero che non sono grande fan dei videogiochi, ma non accetto l'idea di arrivare ultima ad un gioco per bambini. «Hai messo la modalità difficile apposta, non è vero?» incolpo Alex.

Lui ride, evidentemente si sta divertendo un mondo. «No, per te ho selezionato quella da principiante».

Con grande fatica e più di cinque minuti di ritardo, concludo la mia corsa. Ho la faccia imbronciata e il sorrisetto di Alex mi fa infuriare ancora di più.

Inizia l'altra partita ma, o lui mi ha mentito e ha messo la difficoltà altissima oppure sono proprio incapace di mantenere una linea dritta, perché continuo a cadere dalla pista ogni mezzo metro.

Decido quindi di cambiare strategia e tiro una manciata di patatine addosso ad Alex. «Questo è barare» mi rimbecca lui. Non contenta, lo spintono con la spalla, sperando di farlo cadere, ma il suo fisico lo tiene bloccato come una scultura.

Lui arriva di nuovo prima ed io dodicesima. Sbuffo, sprofondando sul divano e consolandomi con una caramella.

«Vieni, ti faccio vedere come si fa».

Il mio orgoglio si sente ferito, dal momento che questo gioco dovrebbe essere fatto affinché anche i bambini ci giochino senza troppe difficoltà. Ma decido di mandare giù la pillola amara della sconfitta e mettermi in piedi, accanto a lui.

Alex si avvicina, e poi si avvicina ancora, finché i nostri corpi quasi aderiscono. Il sangue mi sale rapido al cervello e iniziano a tremarmi le mani. La sua vicinanza mi sorprende ma, più di tutto, mi lascia senza fiato, senza pensieri e senza peso, come se fossi una nuvola che aspetta solo di essere modellata dalle sue mani.

Trattengo il respiro quando le dita di Alex raggiungo le mie sul joystick. Inizia a spiegarmi a cosa corrispondono i vari pulsanti, ma sento soltanto la brezza calda del suo respiro agitarmi i capelli dietro le orecchie e il peso delle sue mani.

Il suo petto aderisce alla mia schiena come se fosse richiamato da una calamita, una forza maggiore che ha bisogno di noi due insieme, vicini.

«Hai capito adesso?» ha la voce più roca e io mi rifiuto di credere che anche lui, almeno in parte, non stia provando quello che provo io. Come se il terreno sotto ai nostri piedi fosse di fino cristallo, pronto a lasciarci cadere al minimo movimento. Come se i nostri cuori stessero battendo con la stessa intensità.

«Si, credo» dico soltanto, la voce impastata e la mente inebriata del suo profumo.

Stupida, avrei potuto dirgli di no solo per tenerlo stretto a me più a lungo. Ma Alex non si allontana, continuando a disegnare piccoli cerchi con le dita sulla pelle delle mie mani.

Continua a respirare affannosamente sul mio orecchio e io sono tentata di piegare la testa e appoggiarla sull'incavo del collo. Sarei tentata di girarmi, averlo faccia a faccia, petto contro petto e guardare i suoi occhi.

Vedere se il suo sguardo non è pieno, almeno un po', di desiderio, di amore.

Ma, improvvisamente, lui si allontana, sistemandosi gli occhiali sul naso. Ha le guance rosse, come se avesse infilato la testa in un caminetto scoppiettante.

«Bene, allora fammi vedere di che pasta sei fatta» é bastato solo un momento per spegnere la magia, estinguere quel fuoco.

Ma so che mi ciberò di queste briciole per un sacco di tempo, e mi va bene così.

Alex fa ripartire il gioco e, nonostante abbia ancora le dita tremanti, riesco a superare gran parte dei personaggi e scalare molte posizioni.

Non avrei mai pensato di dirlo ma adoro giocare a Mario Kart e, soprattutto, adoro quando sono io a vincere. Più giochiamo e più perfeziono la mia strategia, più sento montare l'orgoglio di Alex nei miei confronti e più il mio cuore si riempie di un calore familiare.

Il tempo trascorre veloce, ma non mi rendo conto di che ore siano finché non iniziano a farmi male le dita e capisco che deve essersi fatto molto tardi.

«Ho le pizze» dice Alex.

Il mio sguardo cade su di lui; sapeva che sarei rimasta qui per ore e si è persino premurato di preparare la cena, sapeva che — alla fine — questo gioco mi sarebbe piaciuto.

«Devo andare» in realtà non voglio farlo, ma odio tornare a casa di notte e sono già le nove passate. Ormai Lily dovrebbe arrivare a momenti.

«Puoi restare qui a dormire» propone Alex, addentando un trancio di pizza ai peperoni. «Puoi stare in camera di Lily, lei nella mia e io dormo sul divano».

Non posso dire che la proposta non mi alletti. «Ma non ho il pigiama».

«Non fare finta di non sapere che Lily ne ha almeno cinque nell'armadio» mi punta il dito contro, sorridendo. «Sarei anch'io più tranquillo se non dovessi tornare a casa a quest'ora».

Se la mette in questo modo... e poi, ho dormito nel letto di Lily talmente tante volte che ormai il materasso si è preso la forma.

«D'accordo, grazie».

«Non c'è di che».

Il gioco è momentaneamente in pausa e ne approfitto per andare a prendermi un pigiama dal cassettone della mia migliore amica. Lo apro, rovistando tra i vestiti ma attenta a non disfarli. Solo che non trovo nessun pigiama di riserva.

Chiamo Alex. «Sai dove li tiene? Deve averli spostati con il cambio di stagione».

Alex sembra molto più in panico di me. Mi rassegno all'idea di restare in questi scomodi jeans finché Lily non torna, per chiederle direttamente dove li ha messi, ma Alex sparisce nella sua stanza, tornando un minuto più tardi con un suo pigiama.

«É di quando ero più piccolo» mi dice, consegnandomi un paio di pantaloni morbidissimi con il logo di Batman ripetuto ovunque e una maglia nera.

Sto per prenderlo in giro, ma poi penso che questo è uno dei gesti più carini che qualcuno abbia mai fatto per me e decido di accettarlo senza ulteriori commenti. «Grazie».

Lui fa un cenno con la testa e poi sparisce in salotto, per permettermi di indossare il pigiama. Il suo pigiama. Mi sta un po' largo, ma è più comodo di quanto immaginassi e, soprattutto, ha il suo profumo.

Lancio uno sguardo allo specchio; mi sento un po' buffa con un pigiama maschile addosso, ma non posso negare che mi piaccia la sensazione che mi dà.

Come se io e Alex fossimo ancora vicini, schiena contro petto, respiro contro respiro, cuore contro cuore.

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