Gli anni
Qualche anno più tardi
Sono Alek, un ragazzo alto, gambe con polpacci visibili, fisico atletico, non troppo magro, viso squadrato e con un baffetto biondo appena visibile, ho degli occhi piccoli con il colore che è per la maggior parte azzurro scuro con sfumature verde e beige, capelli castano scuro e con qualche riccio che va per conto suo, si i miei capelli sono ricci e troppo indomabili ma quando mi viene la geniale idea di accorciarli mi immagino con la testa pelata, quindi ci rinuncio senza ripensamenti.
Ora sono quasi alla fine degli studi, finalmente.
Anche se fosse per me, starei già lavorando da qualche anno e chissà dove, però chi si prende un ragazzo che a malapena riesce a parlare senza commettere errori grammaticali, che non si emozioni davanti a chiunque perché è abituato a scambiare non più di due parole al massimo a causa della sua timidezza? Nessuno immagino.
Per questo mio zio, fortuna che esiste, aveva bisogno di altre due mani, una testa e due occhi dato che ne ha solo uno buono, ha fatto in modo che da quando sono piccolo lo aiuto nel lavoro per quanto io possa fare, mi accetta come aiutante.
Fino a pochi anni fa, mi divertivo moltissimo ad aiutare mio zio nel suo lavoro, perché potevo usare la scusa che lui aveva bisogno di me per fare niente, anche se, quando scopriva che avevo interrogazioni per il giorno dopo o compiti di classe diceva di filare dritto in casa e mettermi di buona lena a studiare e di non alzarmi se non avevo finito il tutto.
Purtroppo è morto e al posto suo lavoro io, cercando di dividermi tra casa e lavoro non avendo un minuto libero per me, nonché il lavoro non mi piaccia però sarebbe bello fare anche una passeggiata in santa pace senza commissioni per la testa o altre cose del lavoro, come dice una frase, portarsi il lavoro a casa. Un mio vizio, con qualunque lavoro.
Il lavoro che facevo aiutando zio e che faccio ora non è altro che falegname. Un lavoro umile ma che ha molto da insegnare, come del resto tutti quei lavori oramai antichi e che quasi sono stati dimenticati per colpa della tecnologia che fa passi da gigante anche se sai dove cercare trovi un buon uomo che t'insegni il mestiere.
Il lavoro di falegname, come per qualsiasi altro lavoro, ha segreti, obblighi e piaceri. Sì, obblighi perché, se un tuo cliente un po' all'americana o del nord, dove sono tutti precisini è tutto ben vestito, con un taglio di capelli da invidia, l'abbigliamento che indossa di marca, il suo modo di parlare o di gesticolare ti induce a pensare che sia una persona di alto livello, degna di rispetto o comunque far in modo di soddisfare le sue richieste nel minor tempo possibile, di qualità e soprattutto fatte bene.
Questi tipi di clienti sono degli angeli per chi fa un lavoro come il mio, perché se il risultato gli piace e anche molto ti pagano tanto che non ti aspetti e appena se ne va fai i salti di gioia nella speranza che ne arrivino altri come questo.
Dopodiché fai del tuo meglio affinché parlino bene del tuo negozio che finalmente sei riuscito ad aprire dopo anni di sacrifici, così aggiusti di qua e sistemi di là il negozio che desideravi aprire, i clienti che sognavi entrassero, il sogno si fosse avverato.
Ritornando alla realtà, all'attuale e triste realtà...
Se non io, chi porta avanti la famiglia? E pensandoci, della famiglia rimaniamo soltanto mia zia e io perché lo zio è morto circa due anni fa mentre, la mia mamma lo ha preceduto, è accaduto il giorno stesso del mio quindicesimo compleanno e da allora non so più quanto tempo è passato, come se fossi entrata in un periodo particolare.
Non so più se sono ancora in quell'anno, dove tutto procedeva in maniera molto lenta, monotona e generica oppure tutto è andato avanti come se nulla fosse successo, come se io fossi rimasto indietro nel tempo con la mente mentre il resto è andato avanti.
Sì, come se il tempo si fosse fermato solo per me e non so più quanti anni ho perché ho perso il conto di quanto tempo è passato dalla sua scomparsa.
Ho perso la cognizione del tempo, sono così stordito e confuso che quando riesco a vedere bene e non più offuscato, quando finalmente sento in modo tanto nitido i suoni che mi sembra essere andato avanti nel tempo o indietro non ne ho idea.
Anzi mi sembra di essere andato avanti nel tempo, perché mi ritrovo nella stanza dove ero prima, la schiena pesante sul materasso, le braccia e le mani a forma di ali come se stessi facendo l'angelo sulla neve e la mia testa messa da un lato si trova a ridosso dei cuscini.
Mentre mi alzo dal letto con una mano che massaggia la tempia destra, noto che ero in una posizione in cui non mi metto mai sul letto, ovvero al centro del materasso con le gambe che vanno oltre la parte finale del letto con i piedi penzolanti, cosa alquanto strana dato che io sono alto si e no un metro e settanta, già mi immagino vedendo la scena da un'altro punto me stesso, sdraiato sul letto e mentre mi squadro, ho la faccia di chi ha visto per davvero un fantasma, e tra l'altro ho il mio colorito ancora più pallido del solito.
Una volta in piedi devo stare attento a non sbattere la testa sul lampadario, mi ricordavo di essere molto, ma molto più basso, e poi la mia voce "ODDIO LA MIA VOCE!" mi dico ad alta voce "La mia voce è cambiata".
Per cui vado nella stanza accanto, dove penso ci sia il bagno, e che trovo mentre con la mente ricordo che passavo ore a leggere i fumetti e a provare a fare la barba imitando mio padre, attento a non farmi un bernoccolo sulla testa mi abbasso per entrare mentre abbasso la maniglia della porta di vetro del bagno e perlustro la stanza
"Uhm, non è cambiato nulla se non fosse che ora al posto della vasca c'è una cabina doccia molto grande, per il resto sembra che non sia cambiato una virgola" riflettendo mentre pronuncio queste parole con l'indice e il pollice sotto il mento e l'altra mano sul fianco per qualche minuto.
Esco dal bagno e mi dirigo verso la camera da letto di mamma e papà, sempre facendo attenzione a non sbattere la testa, entro e la prima cosa che noto non sono tanto i giochi di tutti i generi sparsi ovunque, continua tutto a sembrare molto strano
ma ci sono due esserini che vedendo una figura davanti alla porta, si girano interrompendo il loro gioco e uno dei due corre gattonando verso la porta, mentre l'altro, con entusiasmo inizia a strillare emozionato, con gli occhi pieni di gioia e appena faccio un passo indietro chiudendo la porta per non disturbarli, che me li ritrovo attaccati alla gamba.
Ora, anche il bambino che gattonava ha iniziato a strillare come un forsennato, provo a calmarli, ricordando come faceva mia madre quando mi cantava una filastrocca con la voce dolce che trasmetteva tranquillità e serenità o con la morbidezza delle sue mani, quando mi accarezzava il viso, mi diceva di non fare quello che stavo facendo perché non era giusto.
Quando finalmente si calmano e riprendono a giocare mi guardando intorno e capisco che sono a casa mia, la stessa dov'ero nato e cresciuto, rendendomi conto che ho due bambini.
Vagando in giro con lo sguardo vedo che davanti all'entrata della casa c'è una foto grandissima dove è rappresentato un uomo, che sono io, poi i due bambini con la tipica faccia di chi ha combinato qualcosa con gli occhi di uno più dolci e curiosi e dell'altro che invece sono più seri e molto tenaci.
Entrambi i bambini che guardano verso la fotocamera sono in braccio a una donna che poteva avere all'incirca una trentina d'anni. Una donna dalla bellezza da togliere il fiato; nella foto, indossa un abito lungo fino a metà polpaccio, con uno spacco visibile sul lato sinistro, sembra molto aderente ed evidenzia in modo più che equilibrato le sue forme.
L'abito di un blu oltre mare con qualche punto luce fatto con tessuto bianco che da l'impressione di immergersi nella notte di San Lorenzo, dove le stelle cadendo, favoriscono l'avverarsi dei desideri espressi, lei appena si muoveva dava questa impressione: di essere all'aperto in mezzo alla campagna e all'aria pura della natura.
La donna però aveva una particolarità unica, che la distingueva dalle altre donne, e non era certo il carattere altruista, genuino, generoso ma anche molto tenace e coraggiosa che avevano ereditato i suoi due bambini e nemmeno il fisico che ingannava tutti bensì il suo viso.
La pelle morbidissima al tatto come velluto, forse dello stesso colore del rosa pallido di una rosa appena sbocciata, quasi bianca e talvolta, sulle guance, le compariva del rossore che le donava quell'aria da bambina.
Gli occhi, di una forma molto particolare, come ibrido tra l'Europeo e l'asiatico e poi la caratteristica principale è che cambiavano colore, generalmente erano di un ceruleo ma, a seconda della persona con cui interagiva, passavano dal verde brillante al grigio chiaro.
"Ora che ci penso, somiglia molto a una persona che conosco molto bene, a cui ho voluto anche tanto bene ma mi sfugge il nome."
Mentre cerco di pensare, provando a ricordare il volto, sento aprire la porta di casa e di fronte alla grande foto di famiglia ovvero dove ci sono io, rimane ferma una figura femminile che riconosco subito, vedendola alzare la testa, dal riflesso dello specchio di fronte alla porta di vetro della stanza dove prima c'era la stanzetta di quando ero piccolo.
La figura femminile, per qualche istante mi ricorda mia madre, per via dei suoi gesti molto leggeri e il suo naso alla francese. Ma quella meravigliosa donna non è che la mia adorata moglie e una volta messe le chiavi nel cesto porta oggetti, che si trova lì vicino, mi viene incontro salutandomi con un bacio, le sue braccia attorno al mio collo e le mie mani sui suoi fianchi .
Ora ricordo! Era lei, mia mamma la persona più bella e buona che io abbia mai conosciuto; più buona del cioccolato che preparava apposta per me quando ero piccolo, soprattutto quando ero triste o giù di morale.
Sì, lei era come quel timido raggio di sole che spunta solitario in un cielo di nuove nere pronte a cacciarlo.
Un'altra cosa che non scorderò mai della mia mamma il sorriso che scioglie tutto, non dimenticherò mai i suoi occhi, il suo profumo che annusavo quando mi abbracciava e la sua risata perché sono le caratteristiche che la rendono speciale: i suoi occhi erano come i miei ma molto più belli, se ti soffermavi solo sui suoi occhi era la fine perché rischiavi di annegarci dentro, sì annegarci perché erano a volte chiaro come il cielo sereno e talvolta come il mare in burrasca: erano gli occhi più belli
(come li chiamavo io quando ero più piccolo "gli occhi dell'angelo")
La risata di mia madre era come una melodia, come il suono dell'arpa dolce, rilassante e molto genuino; la sua non era una semplice risata perché quando la ascoltavo era come se cantasse una melodia, sì, una melodia ma senza parole, un suono fluido e dolce, come quello degli angeli.
La mia mamma era una persona speciale, davvero molto speciale che non so come descriverla, forse non esistono le parole giuste. Forse non serve nemmeno che cerchi le parole per ricordarmi di lei, della mia mamma.
*SPAZIO AUTRICE*
Ma sciao!
Come vi sembra fino ad ora?
Cosa ne pensate delle poesie tra un capitolo e l'altro?
Scrivete il vostro parere qui sotto ❣️
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