There is a House in New Orleans




C'era una casa a New Orleans, nel distretto di Bywater. La chiamavano "la Casa del Sole Nascente", o "Rising Sun Blue".

Era un grande edificio senza finestre, color salmone, infangato, piazzato in cima ad una collina. Isolato.

Nessuna strada portava alla Casa del Sole Nascente. Nessun viottolo con i sassolini bianchi, nessun sentiero in mezzo all'erba alta. No, niente di tutto ciò.

La Casa del Sole Nascente se ne stava lì vittoriosa e nessuno l'avrebbe trovata per caso, circondata come era da una fitta selva di alberi e arbusti. Pareva quasi che sussurrasse: "ehi, guardatemi, io sono qui. Lasciate che l'edera si aggrappi sulle mie mura, lasciate che le crepe aumentino, cospargetemi di scritte. Nonostante le atrocità a cui voi uomini mi avete fatto assistere, io sono ancora qui. Esisto ancora. Siete voi che marcite. Io divento solo più forte. Qui trionfo sulla mia collina."

Probabilmente una volta era stata una prigione, una casa di prostitute, di alcol o di droga. Insomma, quella roba là.

Molti dicevano che era la casa che aveva ispirato l'omonima canzone dell'ottocento: House of the Rising Sun.

Ora, non era certo che fosse vero. Comunque, anche quella casa sembrava andare avanti a ritmo di blues, proprio come la canzone.

Era caduta in miseria, si vedeva. Bastava avvicinarsi per sentire un silenzio che soffocava le grida di chi ci entrava.

Ebbene sì, così era la Casa del Sole Nascente, o la Rising Sun Blues se preferite.

Era triste e infelice. Tutto qui? Certo che no, non starei qui a raccontarvi questa storia altrimenti.

Pensateci bene. Se il blues fosse solo triste e infelice, perché alla gente piacerebbe ascoltarlo? No, mi correggo. Il blues non è triste e infelice. Tristi e infelici sono le matrigne quando le principesse diventano felici e contente. Il blues è malinconico.

La malinconia non è un sentimento, ma è un modo di essere. È una sorta di abitudine a vivere tristemente. Chi è malinconico vive passivamente per tutta la sua esistenza. Nel loro mondo, il tempo che passa è solo un illusione. La prime rughe, la vecchiaia, la paura, la morte... Niente esiste e tutto è messo in discussione. Non c'è gioia, non c'è rabbia, non c'è confusione, non c'è sicurezza. Tutti i giorni sono composti da malinconici soli nascenti e morenti che si susseguono. Giorno per giorno, fino all'infinito.

E se il blues è malinconico, lo è anche il Rising Sun Blues.

Ma c'è un'altra cosa importante di questa casa. Mentre la tristezza fa fuggire una persona, la malinconia è una pericolosa calamita che l'attrae. E per quanto si possa provare a togliere una dall'altra, se si incontrano è la fine. La forza magnetica vince sempre su tutto.

Chiunque fosse entrato nella Casa del Sole Nascente, ogni volta che avesse provato a fuggire, ci sarebbe sempre tornato.

«Allora?»

Buford aveva aperto la porta di soppiatto e si era appoggiato alla parete verdastra. Aveva deciso che non se ne sarebbe andato di lì senza una risposta.

Per un attimo aveva visto il suo capo alzare la testa, ma l'aveva subito riposata davanti ai documenti sulla scrivania.

«Potrebbe andare meglio. Non ho dormito niente stanotte. Mia moglie mi ha mostrato il conto di tutta quella robaccia che abbiamo comprato per il trasloco.»

«Io sto parlando del pezzo che ti ho dato.»

«Ah, sì va bene ma dovresti cambiare il titolo. Metti qualcosa come "throw me something, mister!", così non si accorgono che è identico a quello dell'anno scorso.»

«Dovresti dirlo a Gilbert, visto che è lui a scrivere di queste cose.»

«Da quando in qua?»

«Da quando l'hai assunto.»

«Giusto, beh allora se mi fai un favore quando passi di lì di' ad Albert di cambiare il titolo e poi di farmi controllare.»

«Vedrò di riferirlo a Gilbert appena esco. Adesso però ascoltami. Il mio pezzo. Dobbiamo parlare del mio pezzo, Alexander.»

Buford chiamava il suo capo per intero solo quando era scocciato. Capitava sempre più frequentemente ed era diventato invece raro che lo chiamasse come lo chiamavano tutti: Lex Muffuletta. Il Muffuletta era un panino tipico che il capo si faceva portare sempre per pranzo. Era così pesante che di solito tutti prendevano un quarto di Muffuletta, i più audaci a volte si azzardavano a prenderne addirittura metà. E poi c'era il suo capo, che prendeva quello intero e non era ancora sazio.

Nessuno avrebbe pensato che una bocca umana potesse aprirsi così tanto prima di aver visto Lex. Il pane era simile alla focaccia, ma fuori era più croccante. Era di una quindicina di centimetri: ricoperto da strati di insalata di olive marinate, mortadella, salami, un po' di carne diversa a seconda dei giorni, mozzarella, prosciutto e provolone.

Da quando si era risposato, però, non l'aveva più potuto mangiare. La sua nuova moglie, Rosella, era una di quelle donne che il sabato dalla parrucchiera leggeva "Cher" e si fissava con tutte quelle ricette con prodotti biologici.

Così per pranzo il povero Lex Muffuletta doveva portarsi in ufficio cose come "torta salata con ceci, rape e cipolle". Il suo soprannome era comunque rimasto.

Ogni tanto sua moglie era troppo stanca per andare a lavorare in centralino. Lui se ne approfittava per mandare qualcuno al bar accanto, da Clovis, il suo fornitore di fiducia, a prendergli il panino.

«Il tuo pezzo... Sì, dovresti ricontrollarlo, non mi convince lo stile.»

«Non l'hai letto.»

Finalmente Muffuletta smise di muovere i fogli e lo guardò fisso negli occhi. Era una cosa che faceva sempre. Non guardarlo negli occhi, figurarsi, ma muovere i fogli. Li muoveva da una parte all'altra, tanto per far capire che era indaffarato e aveva un sacco di cose da fare, e la sera lasciava l'ufficio con tutti i fogli sparsi per la scrivania non ancora letti.

«Scusami Buford. È che cerca di capirmi, ho un sacco di roba per la testa. Rosella mi ha riempito di queste cose da firmare. Ma non potevamo semplicemente riciclare quello che abbiamo in casa? Io certe volte proprio non la capisco mia moglie.»

Lui non è che non capiva sua moglie certe volte. Non la capiva mai. Muffuletta non capiva mai nessuno.

La sua incapacità non stava nel non capire, ma nel non ascoltare. Lui non stava mai a sentire. Mentre discuteva con qualcuno di un progetto già ne pensava ad un altro.

Era Lex che rallentava il loro giornale "Big Easy". Non era uno che si fidava, voleva che tutto venisse prima approvato da lui, e questo andava benissimo essendo il capo redattore. Il problema era che i giornalisti se lo litigavano e c'era sempre la fila per parlargli. E se c'era una cosa a cui era bravo Muffuletta era quella di rimandare tutte le novità o tutti i nuovi progetti che avessero la necessità di essere discussi.

Ecco come il "Big Easy" era diventato un noioso giornale, famoso solamente per verificare se quel tale di nome "Bert" fosse veramente morto o se fosse solo una voce che girava.  

Comunque, a non capire sua moglie era giustificato. Lui e lei non stavano per niente bene insieme. D'altronde, Lex non sarebbe stato bene con nessuno.

Lui era un uomo adatto a stare da solo. Era uno che amava essere lasciato stare nel suo degrado, a guardarsi il Sugar Bowl con una birra e il suo Muffuletta.

Probabilmente però non amava molto l'idea della solitudine. Era per questo che assecondava tutte le scelte della signora Rosella "tutto Bio", donna schizzata ed egoista che si era pure sposato.

«Ma appena ho un minuto lo leggo, promesso.»

«No, tu lo leggi adesso.»

«Adesso?»

«Sì, qui, davanti a me.»

Solo Buford dava ordini in questo modo a Muffuletta. E solo lui, in qualità di nipote acquisito dalla prima moglie, poteva permettersi di entrare nel suo ufficio senza aspettare il proprio turno come il resto delle persone che lavoravano lì.

Lex fece un respiro profondo.

«L'avevi messo nel primo cassetto a destra.»

Gli occhi di Muffuletta si muovevano rapidamente. Sembravano le palline che Buford all'asilo muoveva sull'abaco senza mai capire a che cosa servissero.

Ormai Lex aveva passato la sessantina, era stanco. Quel lavoro non faceva più per lui. Gli piacevano i lettori di una volta, non quelli che preferivano i gossip a qualche "buon articolo", come lo chiamava lui.

«Ma quindi? Non capisco che cosa sarebbe...»

«È un'introduzione a qualcosa di grande.»

«Ma è una storia a puntate? È questo che vuoi fare? Nah, potevi farlo ai miei tempi, ma non adesso.»

«Lex, apri quelle cazzo di orecchie una volta ogni tanto. Te ne avevo parlato di questa casa, non te lo ricordi?»

«Vagamente.»

«Ti avevo spiegato che stavo seguendo questa ragazza...»

«Quel gran bel pezzo di ragazza?»

«Quel gran bel pezzo di ragazza, sì. Lex, cazzo, possibile che è l'unica cosa che ti ricordi? Comunque... Te la faccio breve. È entrata in questa casa abbastanza messa male. Poi è uscita e se ne è andata. Mi ha troppo incuriosito. Ci sono entrato anche io. Era strano. Ero convinto che fosse vuota, e invece c'era questa donna, avrà avuto sì e no l'età di Rosella. Era lì, in mezzo al caos. C'erano un sacco di fascicoli, sembrava l'ufficio di un avvocato. Oddio, non proprio l'ufficio di un avvocato in realtà, perché questa casa è abbandonata, è messa male... Tutto è vecchio, è sporco, peggio del mio scantinato, a parte questi fascicoli, tenuti alla perfezione. Comunque, questa donna mi dice "benvenuto alla Casa del Sole Nascente" e mi chiede chi è che mi manda. Io ero lì che non sapevo che cazzo dire, ho sparato il primo nome che mi è venuto in mente. Ho detto Charles, perché in ogni posto che vado incontro qualcuno che si chiama Charles. Ogni volta che vado da qualche parte e qualcuno mi dice che si chiama Charles mi verrebbe da sputargli in faccia, cazzo. Insomma, io dico, tua madre non poteva avere un po' più di fantasia? Forse ci sono più Charles al mondo che topi in casa mia, dico solo forse perché topi in casa mia ce ne sono davvero tanti. Comunque... Questa mi ha guardato un po' strano. L'ho inquadrata quella donna. È uguale spiccicata a quella stronza della mia maestra delle elementari. È una che crede di capire subito tutto di tutti, quando in realtà non ha capito un cazzo. Un po' come tua... Beh insomma, alla fine ho scoperto che questa, non so se si sia improvvisata psicologa o che... Fatto sta che c'è gente che le dà roba segreta che rimane in anonimo. Degli scritti sulla loro vita e cose del genere. E tutta queste loro confessioni segrete rimangono chiuse in questi fascicoli.»

«A che scopo?»

«Non ne ho idea... Ma è proprio questo che mi incuriosisce.»

«Ma questa donna poi legge il materiale che le danno?»

«Lei dice di no, ma per me legge tutto. Dai, sta tutto il giorno in una casa abbandonata ad annoiarsi quando può frugare tra i segreti della gente?»

«Non capisco il senso... Nessuno ci guadagna niente in questa storia.»

«Boh. Se tu avessi fatto qualcosa di inconfessabile, non ti sentiresti meglio a scriverlo? A volte può essere liberatorio.»

«Sì ma non darei certo le mie confessioni segrete in mano ad un'estranea.»

«Tu sei cattolico Lex, giusto?»

«Ero cattolico, quando la mia prima moglie, tua zia, era cattolica. Adesso Rosella si è fissata con tutta quella roba magica e allora sono... Vuduista» disse scandendo bene la parola. «Perché?»

«Mia madre, quando sente di fare qualcosa di sbagliato, va a confessarsi e torna sempre rinata. Ti giuro, tutte le volte quando torno a casa capisco se ci è andata. Sembra di vederle una specie di aureola sopra la testa. E non smette di sorridere, a me fa schifo quando lo fa. Anzi, non si dovrebbe mai andare a confessare. Sai che è senza un po' di denti, e ogni volta che apre la bocca mi viene su il vomito, cazzo.» Buford rabbrividì disgustato. «Comunque... Alla fine anche lei confessa i suoi peccati ad un estraneo.»

«Guarda che la conosco bene tua madre. Che potrebbe mai fare di così grave? »

«E anche quelli che ci vanno sembrano persone normali. Almeno, quella ragazza non aveva certo l'aria di una gangster.»

«E poi quei preti non hanno il segreto confessionale?»

«Già. Hai detto bene. Questo è il punto. I preti hanno il segreto confessionale, quella donna no.»

«Che vuoi dire? Vorresti farti dare la roba che tiene nei fascicoli? Se non è autorizzata a leggerli, non credo proprio sia autorizzata a darteli. Figuriamoci se poi hai intenzione di pubblicarli.»

«Quella donna non è stupida, Lex. Lei non fa niente per niente.»

«E che cosa ci guadagnerebbe?»

«Dipende. Tu quanto sei disposto a darle?»

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