L'Ospite
Toby si svegliò di soprassalto con il respiro affannato.
Aveva avvertito qualcosa stringergli la gola, come una mano invisibile e un peso sembrava schiacciarlo.
Si alzò di scatto dal letto con le puppile dilatate e il petto che si alzava e abbassava ripetutamente. Il suo sguardo cercò di cogliere qualcosa che stonasse dalla sua camera, tuttavia come tutte le volte ormai, non c'era niente.
La finestra era leggermente socchiusa, giusto per far entrare la tipica aria texana che Toby amava tanto.
Gli occhi del ragazzo corsero in tutte le direzioni nella sua piccola camera, cercando di vedere oltre l'oscurità, fino a quando non fu attirato dall'ombra tagliente del suo letto che si stagliava crudele sul pavimento in legno.
Toby deglutì rumorosamente quando avvertì un sibillio sfioragli le orecchie e immediatamente se le tappò, dondolandosi nel letto e cercando di scacciare quella brutta sensazione.
I suoi occhi pieni di terrore corsero di nuovo allarmati verso il contorno del suo letto, che era sfumato, come se fosse stato disegnato con un carboncino da un pittore, e fu proprio in quel momento che da quella oscurità si stagliò un'altra ombra che come una macchia di petrolio scivolò lungo tutto il pavimento per poi passare sotto la porta dove Toby riusciva a vedere dalla sua stanza ogni giorno le ombre dei piedi dei suoi genitori.
Quando quell'ombra se ne andò, l'unica cosa che teneva ancora legato alla realtà il bambino, era il battito accellerato del suo cuore, che ovattava quel sibillio che sembrava ancora serpeggiare nella sua mente.
Afferrò automaticamente dal suo comodino il modellino di una macchina d'epoca che aveva trovato proprio vicino al suo giardino. Il telaio del modellino era di un meravoglioso color avorio, ma leggermente rovinato, come se davvero fosse stata usata per la guida da qualcuno; forse da dei topolini e loro come lui sapevano che quella macchinina era unica e rara nel suo genere.
Quando Toby la trovò, vicino al recinto del suo giardino, immediatamente si chiese come mai qualcuno avesse potuto abbandonare un giocattolo così bello e raro e sentendosi in un certo senso in dovere, la prese con sé, giurando che si sarebbe preso cura della Chevrolet Corvette.
Il modellino era freddo come il ghiaccio e appena le sue dita si strinsero intorno al tettuccio, rabbrividì letteralmente e guardò freneticamente a terra, esattamente dove quell'ombra era strisciata.
Aprì d'impeto la porta della sua camera per poi essere avvolto dalle tenebre del corridoio che portava alle camere.
Stringendosi al petto la sua macchinina, si avviò titubante e a piedi nudi lungo quella oscurità, con la mano sinistra che sfiorava il muro leggermente ruvido per via della carta da parati che la mamma si era impuntata di mettere.
Riuscì ad individuare di nuovo quella macchia petrolio e anche se era in un certo senso intimorito, qualcosa lo spingeva verso quell'ombra, come se ne fosse attratto.
Avanzò lentamente verso la macchia, sperando non si confondesse di nuovo con il resto delle tenebre e quando constatò che quella strana ombra si era fermata ai piedi delle scale che portavano al soffitto, Toby ebbe un attimo di esitazione.
Sapeva che non doveva andare su in soffitta, il papà, ma soprattutto la mamma, glielo avevano espressamente vietato come se davvero ci fosse qualcosa di pericoloso là sopra, mentre in realtà l'unico vero pericolo di quella mensarda puzzolente e polverosa, era quello di inciampare sui numerosissimi scatoloni di ogni dimensione che da anni ormai affollavano il soffitto.
La macchia nera se ne stava ferma sul secondo gradino, come se stesse aspettando il bambino e lui nonostante le raccomandazioni dei suoi, salì il primo gradino, mentre i suoi occhi non si staccavano mai da quell'ombra che ormai da tanto tempo lo assillava.
Il modellino all'improvviso si fece bollente, diventando quasi irridescente, come la lava, tanto che Toby a stento riuscì a soffocare un gemito.
Avrebbe potuto e voluto buttare la macchinina a terra, ma non poteva e non doveva. Aveva fatto una promessa e inoltre se il modellino avesse subito un'altra botta, si sarebbe rotto sicuramente.
Tutti i suoi pensieri si bloccarono quando sentì di nuovo quel sibillio inondarlo completamente e il ragazzo si chiese se fosse stato lui stesso a provocarlo.
-Tobias-
Toby spalancò gli occhi e impallidì visibilmente. Nessuno lo chiamava più con il suo vero nome; solo sua madre lo usava ancora.
All'improvviso la macchia sembrò ribollire, tanto che si formarono delle vere e proprie bolle come se fosse pronta per cuocere la pasta, e prima che il ragazzo potesse fare altro, il centro di quell'ombra iniziò ad alzarsi e facendo così le dimensioni rimpicciolirono, fino a quando Toby si trovò davanti una vera e propria sagoma umana.
Il modellino divenne sempre più calda, e sicuramente avrebbe fatto scottare le sue dita.
I suoi occhi erano spaventati eppure non poté far a meno di sentirsi attratto da quella figura che si stagliava di fronte a lui in tutta la sua altezza.
Anche se era letteralmente buio, Toby riuscì a scorgere la testa e le braccia incrociate della creatura, solo che non riusciva a distinguere i tratti del suo viso e impallidì visibilmente quando vide che era ricoperto da capo a piedi da una specie di coperta tutto nera, della stessa sostanza della macchia di poco fa.
Il bambino si sentiva strano, debole. Sembrava che fosse stato prosciugato e per un momento dimenticò il bruciore della macchinina, il suo nome ripetuto più volte nella sua mente e la pelle d'oca che si nascondeva sotto il suo pigiama azzurro con delle piccole astronavi sui pantaloni.
Era così intento a guardare quella creatura che dimenticò tutto quel dolore e per un momento pensò di aver immaginato tutto, tuttavia avvertiva perfettamente l'aria, l'atmosfera della sua casa nel Texas e seppe con certezza di non stare sognando.
-C..chi sei?- chiese balbettando Toby con lo sguardo puntato sul viso della creatura, anche se gli occhi e tutto il resto erano coperti e si chiese come facesse a respirare.
Nonostante il corridoio fosse sprovvisto di finistre, Toby avvertì uno spostamente d'aria e qualcosa l'avvolse come una coperta, non per proteggerlo, ma per spaventarlo.
La creatura continuò a starsene in silenzio con le braccia coperte e incrociate e il bambino fu assalito dalla folle idea di toccarlo.
Quella strana figura allungò una delle sue mani verso Toby e quella spiecie di coperta si staccò dalla sua figura non lasciando trapelare niente però.
-Rivoglio qualcosa che mi è stato preso- sibillò con voce fredda e rauca nella sua mente.
Il bambinò all'improvviso indietreggiò, inciampando quasi sul gradino e si chiese cosa fosse questa cosa e quando seguì la direzione della mano nascosta della creatura, vide che indicava la sua adorata macchinina.
Perché voleva il suo modellino? Ma soprattutto stava indicando il giocattolo?
La figura della creatura iniziò a sfumare, come fumo e partì un profondo e acuto ringhio, come quello di un animale inferocito.
Toby cadde all'indietro, come se qualcuno lo avesse spinto e la macchinina scivolò via dalle sue mani, toccando bruscamente la base del muro.
Si strinse a sé in posizione fetale, gli occhi chiusi, con ancora le mani che tappavano disperatamente le orecchie, cercando di scacciare quel raccapricciante suono che inondava la sua mente, provocandogli delle fitte lancinanti.
Sempre giacendo a terra, aprì di scatto gli occhi colmi di terrore e dolore e non riuscì a fare niente quando la creatura si dissolse e divenne nube, volando lentamente verso di lui.
Si ricordò immediatamente di aver visto quell'immagine in uno dei suoi incubi, perché ormai faceva solo quelli. Uno degli ultimi infatti, fu così spaventoso rispetto agli altri che si ritrovò nel letto pieno di sudore e strillò così forte da penetrare la finestra e rimbombò per tutto il quartiere, tanto che molti vicini si allarmarono.
Quell'incubo era stato così dannatamente vero che ci fu bisogno di sua mamma per spiegargli che era solo frutto della sua fervida immaginazione, eppure ora non lo era.
La nube si trovò sopra il suo viso e i suoi occhi paralizzati ormai, fissarono con vuoto il viso che si era formato in quella nuvola nera.
Era solo ed aveva paura. L'uomo cattivo lo avrebbe preso questa volta e lui non si sarebbe mai più svegliato; così prima di chiudere di nuovo gli occhi, il sguardo corse di nuovo verso la sua macchinina, scusandosi con lei per essere stato un cattivo propietario.
Una nuova forza invase man mano Toby, come una seconda pelle e faceva male.
Sentiva le gambe diventare di piombo e l'addome contrarsi mentre avvertì la debolezza assalirlo.
Sentì le ossa tremare e soffocò un singhiozzo quando udì nuovo il suo nome seguito da un sogghigno.
Il respiro si fece affannoso e il cuore palpitò, quando avvertì un'altra stretta, ma questa non fece male, anzi era così delicata che gli fece il solletico.
Qualcosa di freddo si poggiò sulla sua guancia e istintivamente reagì al tocco aprendo gli occhi e la prima cosa che notò, fu un verde molto familiare.
Il verde degli occhi della madre.
La mamma era arrivata.
In quel momento avrebbe voluto piangere e rifuggiarsi tra le braccia della sua adorata mamma, ma non riusciva a muoversi e nel frattempo sentiva delle voci in sottofondo, ma ovattate.
-Vattene da mio figlio- ringhiò Saraqael, la mamma di Toby.
Prese il suo bambino tra le braccia, scuotendolo con delicatezza, quando lui cominciò a tossire e facendolo alzare con estrema cautela, vide una specie di liquido nero uscire dalla sua bocca e passare sopra il suo piagiama, senza però macchiarlo, fino a strisciare verso le scale della soffitta, sotto lo sguardo attento e minaccioso della donna.
Toby nel frattempo si era ripreso e il respiro si placò sempre di più. Fu felice di trovare suo padre Xavier vicino a lui, che lo stringeva forte accarezzandogli la schiena, mentre il viso giovane e inespressivo della sua mamma, era fisso sulle scale che portavano su in soffitta.
I capelli rossi che Toby tanto adorava, erano ancora più spettinati mentre i suoi occhi verdi ora brillavano di una strana luce, scintillavano quasi.
-Stai indietro dal mio Tobias- ringhiò Saraqael contro nessuno in particolare, come se stesse parlando tra di sé.
Xavier sospirò ormai rassegnato, continuando ad accarezzare il figlio mentre i suoi occhi colmi di amore per sua moglie erano ormai vuoti, come esasperati.
Tutto il Texas conosceva Saraqael Johnson Warren per i suoi momenti in cui perdeva temporaneamente la testa, vagando per tutto il quartiere con lo sguardo assente e sussurrando a ogni passante che il suo amato Tobias era in pericolo. Lui aveva cercato di mandarla da qualche terapista eppure lei aveva sempre rifiutato, dicendo che era sana e che non le serviva uno strizzacervelli per impazzire ancora di più, ma evidentemente non era così.
Tuttavia nonostante suo marito la considerasse ormai persa, Toby notò che effettivamente sua mamma non stava parlando da sola, ma con quella macchia che strisciò lungo le scale per poi andare in soffitta e il bambino poté ancora sentire il suo nome sussurrato e rabbrividì stringendosi a Xavier.
Saraqael continuò a guardare le scale, fino a quando i suoi occhi salirono verso la mensarda e con sguardo del tutto assente, senza vedere suo marito e il suo amato Tobias, iniziò a parlottare tra di sé, gesticolando velocemente e andando per il corridoio avanti e indietro saltando quasi.
Xavier e Toby stettero in silenzio, ancora seduti per terra a osservare entrambi la donna che all'improvviso si bloccò con le mani all'aria. I suoi occhi verdi scintillarono quando corsero lungo qualcosa accostato vicino al muro: il modellino della Chevrolet Corvette. Spalancò la bocca allarmata e se la coprì con una mano esitante, cosa che fece scattare in piedi il marito che le si avvicinò.
-Cara...- cercò di essere delicato, prendendo le mani fragili della donna, ma lei non se le fece prendere e si scostó.
-Lo sapevo!- farfugliò Saraqael con le guance arrossate mentre si dirigeva a grandi passi verso la macchinina per poi prenderla tra le mani e osservarla.
Toby avvertì lo sguardo del papà perforarlo, ma lui era troppo impegnato a guardare la mamma.
-Ecco perché- continuò lei, parlando da sola. -Qualcosa doveva tenerlo ancorato qui- rifletté rigirandosi il modellino tra le dita affusolate.
Né il bambino e né il marito capirono cosa stesse farfugliando la donna.
Gli occhi di Saraqael scattarono di nuovo, fino a fermarsi sulla figura di Toby e per un attimo il suo viso si addolcì, ma poi si indurì di nuovo e tenne stretta il modellino.
-D'ora in poi non potrai più giocare con questo giocattolino. Mi hai capito Tobias?- disse minacciosa al figlio come a fargli un dispetto, e lui fu così sorpreso che spalancò letteralmente gli occhi.
Toby si alzò e fece per prendere la sua amata Chevrolet, urlando alla mamma frustato e arrabiato, chiedendo cosa avesse fatto di male.
Xavier si mise in mezzo cercando di calmare il figlio e ragionare con la moglie fino a quando non si sentì un rumore così innaturale lungo tutto il corridoio, che tutti e tre si zittirono.
Toby aveva le lacrime agli occhi e si toccò la guancia sinistra arrossata per via dello schiaffo ricevuto, mentre l'uomo guardava estasiato la moglie e lei con gli occhi del tutto spalancati, indietreggiò visibilmente.
-Il mio piccolo Tobias- sussurrò la madre cercando di allungare una mano verso il bambino, ma il marito la bloccò. -Mi dispiace così tanto tesoro. Io... non volevo- la voce le si incrinò e il bambino nonostante stesse piangendo, si preoccupò tanto per la sua mamma che sembrava più a pezzi di lui.
Xavier cercò di consolare una Saraqael ormai in lacrime, ma lei si divincolò da quell'affetto con la macchinina stretta al petto.
-Mi dispiace tanto tesoro- disse di nuovo guardando la guancia arrossata del figlio. -Ma lo sto facendo per te e non voglio che venga fatto del male al mio Tobias. Forse un giorno capirai-
L'ultima cosa che vide Toby di quella notte, fu la mamma che saliva su in soffita con la sua amata Chevrolet Corvette, mentre singhiozzava tra le braccia del papà chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato; ma nonostante le parole di consolazione di Xavier, il bambino fu consapevole del fatto che non avrebbe più rivisto la sua macchinina.
Il bambino qualche giorno dopo, aveva deciso di non parlare alla mamma. Era ancora triste e arrabbiato per la perdita del suo adorato modellino, e riservava ancora molto racore per perdonarla. Nonosta ciò, i suoi pensieri correvano sempre a quella notte, da quando aveva avvertito quella presenza, fino al sonoroso schiaffo di Saraqael.
Gli incubi continuavano ad assalirlo ogni notte con i loro artigli. Il suo nome veniva sussurrato più volte nella sua testa serpeggiando quasi. Dopo questo piccolo accaduto, cercava di non pensare alla soffitta, tuttavia ogni volta che doveva andare in camera sua, i suoi occhi correvano sempre verso le scale della mensarda dove aveva incontrato quella creatura.
Toby pensò di poter seppellire ormai quella fatidica notte, però ogni volta che pensava alla sua adorata Chevrolet Corvette avorio, si sentiva un nodo stringere il cuore, ma cercò di dimenticarla con la sua piccola astronave giocattolo che secondo il padre si abbinava perfettamente al suo pigiama.
Toby pensò di essersi lasciato tutto alle spalle, ma evidentemente qualcuno non voleva che andasse così, non voleva essere dimenticato.
All'inizio il bambino mentre imitiva il suono del motore dell'astronave, non si accorse di niente, ma una volta che il suo giocattolo era atterrato nella sua stazione, frutto della sua immaginazione, avvertì qualcosa.
Un piccolo e debole rumore lo attirò e spaventò allo stesso tempo. Posò la sua astronave sul tavolo della cucina, e con sguardo attento scese dallo sgabello.
Un altro rumore e questa volta molto più forte lo fece fremere e sussultando, si diresse a passi esitanti fuori dalla cucina.
I suoi piedi lo portarono verso le scale del piano superiore e i suoi occhi corsero lungo il soffitto, proprio dove si trovava la mensarda.
Sentiva qualcosa raschiare e battere sulla porta della stanza di sopra.
Impossibile pensò il bambino tra sé. Se ci fosse stato un cane su in soffitta papà lo avrebbe liberato per farmi giocare.
Toby arretrò di colpo del tutto spaventato e avvertendo di nuovo il suo nome sussurrato nella sua mente, impallidì, tornando di corsa in soffitta, mentre una risata divertita lo seguiva.
Anche durante la notte sentì glie stessi rumori, tanto che rimase sveglio, stringendosi le lenzuola fino a stopricciarle.
Non voleva scendere per nessuna ragione dal letto. Non voleva ancora rischiare.
Della madre Saraqael non ce ne era traccia e in un certo senso era meglio così; non voleva ancora perdonarla.
Come al solito il salotto era vuoto così con la sua astronave giocattolo, iniziò a decollare insieme a lui; ma avvertí subito quei rumori che da tanti giorni ormai non lo facevano dormire.
Lasciando il suo gioco, questa volta si decise ad andare fino in fondo, così si diresse verso la soffitta che lo chiamava.
Toby salì con estrema cautela le scale che lo avrebbero portato alla mansarda e poco prima di aprire la porta, udì un altro rumore, come se qualcosa venisse buttato per terra.
Aprì la porta in legno e si trovò davanti a quella creatura di poche notti fa.
Toby non fece in tempo a strillare impaurito, che la sagoma nera di quel mostro l'avvolse completamente.
Avvertì gli stessi dolori di quella notte, solo che nessuno sarebbe venuto a salvarlo questa volta.
-Ho sempre puntato a te- sussurrò la creatura con voce roca nella sua mente.-I bambini sono così semplici da confondere e manovrare, fino a possederli. E poi quella stupida macchinina- sorrise divertita l'ombra.
Solo dopo Toby si rese conto di aver parlato lui stesso, tuttavia qualcun'altro lo aveva fatto al posto suo. Era come se il suo corpo si fosse ribellato non accettando piú i suoi ordini.
Mentre la creatura dentro al bambino sorrideva trionfante, Saraqael entrò nella soffitta con una candela in mano e inizió ad inveire minacciosa verso suo figlio, ma poi Toby si accorse che si riferiva alla creatura.
Successe tutto in un attimo: sempre con la candela in mano, la donna si avvicinò minacciosa al figlio e iniziarono a lottare anche se il bambino non voleva.
Riuscì a scaraventare Saraqael sul muro opposto e la candela le scivoló di mano, cadendo a terra. Delle fiamme presero vita e come dei roditori, iniziarono a rosicchiare tutti gli oggetti di quella stanza, diventando sempre più potenti.
Il corpo di Tobias indietreggiò, accecato da tutta quella luce e mentre urlava allo estremo delle forze, quella forza invisibile se ne andò da lui e l'ultima cosa che vide oltre le fiamme, furono le urla strazianti della sua mamma e la sua macchinina inghiottita da quell'inferno.
***
L'agente Hector Holmes entró nell'ospedale, stringendosi nel suo trench blu.
Sapeva che questa era l'unica occasione per dimostrare finalmente il suo talento al suo capo; così sapendo che non peccava sul fattore estetico, fece un sorriso seducente all'infermiera del box delle informazioni e quando lo ottenne, soddisfatto si diresse verso l'ascensore.
Entrò nella stanza di Tobias Warrn e sorridendo in modo caldo si sedette su una sedia vicino al suo letto.
-Ciao Toby, mi chiamo Hector. Sono venuto qui per scoprire che cosa é successo a te e alla tua famiglia. Ti va di parlarmene? - disse dolcemente l'agente Holmes.
Toby per qualche minuto stette in silenzio, poi alla fine si decise a parlare.
-Mi chiamo Toby Warren...-
Hector continuò a sentire la registrazione di Toby, mentre lui dormiva, centinaia di volte.
Era vicino alla verità eppure al tempo stesso anche lontano. Non si era accorto infatti, che qualcun'altro aveva parlato al posto del bambino, proteggendo entrambi, e non si era accorto della macchinina di Tobias sul comó vicino a lui.
Sono consapevole degli errori presenti in questa OS, ma sono fuori e la connessione scarseggia e il mio cell sembra essere tornato all'età della pietra.
Grazie alla mia coach per questa oppure e tantii baciii.
By Moonline
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