Percezione

Sabato, 14 Maggio, 2002

La ragazza dalla pelle di luna è seduta su uno dei tanti scalini grigi, collocati poco lontano dal prestigioso conservatorio di Kiev, adagiata su un telo dai colori vivaci e sfavillanti.
Gli occhi scuri brillano di una luce serena e allegra, i capelli bruni le ricadono dolcemente sulle spalle.
Apre bocca.
Silenzio.
A poco a poco, la giovane si trasforma. Il suo viso si stropiccia in un'espressione corrucciata, gli occhi si fanno carichi di malinconia.
Poi, una strana melodia dall'impronta esotica si diffonde per tutta la piazza. La voce della diciannovenne è estremamente profonda per la sua età, e la musica si infila velocemente nel petto dei passanti, con un colpo secco, cupa ed improvvisa.
La parole scorrono, lente, a seguire il ritmo delle impetuose onde sonore.
La canzone denuncia, senza alcuna esitazione, un orrore commesso molto tempo prima, che però da molti non è mai stato dimenticato. È lì, sepolto sotto una nuvola di polvere e silenzio, e servirebbe solo un soffio potente per spazzar via ciò che lo nasconde dagli occhi altrui.
Così fa la ragazza, soffiando sui ricordi impolverati, scoprendo cicatrici ancora pulsanti di dolore, attirando l'attenzione di ogni passante.
"When strangers are coming...
They come to your house,
They kill you all
and say,
We’re not guilty,
not guilty."
Ma è così, giusto?
L'uomo uccide senza sentirsi colpevole.

Kieran O'Callagher era un ragazzo irlandese, il cui nome significa scuro, nero, buio. Egli non poteva che essere misterioso ed intrigante, dall'animo color petrolio, proprio come il nome che gli era stato affibbiato alla nascita.
O forse no, sarebbe stato troppo scontato. Kieran O'Callagher era incorreggibile, testardo ed impulsivo, ma aveva un buon cuore.
Forse per questo si fermò all'improvviso, sentendo le parole di quella strana canzone.
"Where is your mind?
Humanity cries.
You think you are gods,
but everyone dies.
Don't swallow my soul,
our souls."
La voce della ragazza si manteneva sullo stesso tono cupo e profondo, come se volesse rimproverare l'intera umanità con la sua canzone.
Kieran si avvicinava sempre di più,  mentre la melodia andava avanti, ipnotica, sfociando in un ritornello triste e cantilenante in lingua tatara.
"Yaşlığıma toyalmadım
Men bu yerde yaşalmadım
Yaşlığıma toyalmadım
Men bu yerde yaşalmadım."
Cosa volevano dire quelle strane parole, quei suoni sconosciuti, carichi di dolore e di storia? Dopotutto, lui era solo un turista, e non poteva capire ciò che la cantante avrebbe voluto comunicare, attraverso quel particolare ritornello.
Il ragazzo, rapito, si sedette vicino alla giovane, guardandola intensamente. E rimase lì, in silenzio, aspettando che la bella ragazza dalla voce colma di malinconia terminasse la sua canzone.
"We could build a future
where people are free
to live and love.
The happiest time!"
Il tono della giovane si era fatto meno cupo, alzandosi di colpo, trasmettendo improvvisa energia.
Il ragazzo si destò improvvisamente dal suo stato di tranche, sentendosi quasi scrollare le spalle dalla melodia potente, che incitava al cambiamento, alla rivoluzione.
"Where is your heart?
Humanity rise.
You think you are gods
But everyone dies.
Don't swallow my soul.
Our souls."
E così continuava, infondendo sempre più energia nelle vene del ragazzo, accendendo il suo animo come fosse un generatore elettrico.
"Yaşlığıma toyalmadım
Men bu yerde yaşalmadım
Yaşlığıma toyalmadım
Men bu yerde yaşalmadım"
La voce della giovane donna aveva preso la rincorsa, sfogandosi in  vocalizzi melodiosi e acuti carichi di potenza. Parole che trasudavano di dolore, musica che non chiedeva, ma imponeva il cambiamento.
Un intruglio da far venire la pelle d'oca.
Poi, di nuovo silenzio.
La giovane aveva fermato il suo impetuoso fiume di parole, sigillando un rubinetto che sprigionava una melodiosa cascata di note, acuti, vocalizzi, speranza e dolore.
Kieran O'Callagher aveva la gola secca, come se avesse cantato lui, al posto di quella ragazza minuta.
Non chiese nulla: si limitò a guardarla negli occhi.
Poi, con inaspettato coraggio, prese parola.
"È una bellissima canzone."
Un timido "grazie" mormorato in un soffio destabilizzò il ragazzo, abituato a sentir scaturire dalle labbra di lei una voce ben più potente.
"L'hai... l'hai scritta tu?" domandò, esitante.
"Sì." rispose lei, con decisione.
Gli occhi le brillavano di orgoglio.
"E..."
"Qualcuno mi ha iscritto al gioco delle mille domande senza che lo venissi a sapere?" rise la giovane.
Vedendo l'espressione ferita del ragazzo irlandese, aggiunse: "Comunque, mi chiamo Jamala. E puoi farmi tutte le domande che vuoi, mhmm..."  esitò, cercando aiuto negli occhi dello sconosciuto di fronte a sé.
"Kieran. Sono Kieran."
"In questo caso, piacere."
"Oh, beh, piacere mio" sorrise il ragazzo.
"Non volevi chiedermi qualcosa, poco fa, Kieran?" domandò lei, sollevando le sopracciglia.
"Desideravo sapere quale... quale fosse il significato del ritornello, la strofa in lingua tatara."
Jamala abbassò lo sguardo.
"Ripete due volte una frase."
"Quale frase?"
"Non posso passare la mia giovinezza lì, perché tu mi hai rubato la pace."
Il ragazzo ammutolì, fissando un albero spoglio di fronte a lui, improvvisamente assorto nei suoi pensieri.
La cantante prese parola.
"Mi sono ispirata alla mia bisnonna. Sai... lei aveva circa venticinque anni quando venne strappata alla sua terra, deportata e costretta a vivere nell'Asia centrale. Lontano da casa."
Poi aggiunse, piano: "Nessuno deve dimenticare ciò che successe."
"Cosa? E quando?"
"Nel 1944" affermò la ragazza, rispondendo ad una sola domanda.
"Ah e, Kieran..."
"Sì?"
"Hai un buon potenziale, lo vedo nei tuoi occhi. Promettimi che almeno tu userai con saggezza il dono che vi ho dato."
Disse questo, poi si alzò, raccolse il suo telo colorato, soffiò via una ciocca ribelle dal viso e si voltò, allontanandosi il più velocemente possibile.
Il ragazzo rimase fermo, seduto, guardando la sconosciuta senza proferire parola, senza fare domande, senza tentare di fermare la sua improvvisa fuga.
Consapevole del fatto che non l'avrebbe mai più rivista.

"Le truppe naziste entrarono in Crimea il 24 ottobre 1941, spingendosi in poco tempo ad occupare l'intera penisola.
La maggior parte della popolazione tatara si rifiutò di collaborare con gli oppressori, ed oltre 180.000 di loro, compresi anziani, donne e bambini, furono deportati, affrontando un viaggio in treno di migliaia chilometri su carri di bestiame, arrivando in Asia centrale.
Da maggio a novembre, più di 10mila tatari morirono di fame in Uzbekistan, e 30mila dei restanti morirono in esilio durante il primo anno e mezzo.
Ora, la deportazione in lingua tatara  ha un nome apposito: si chiama qırım tatarları sörgene.
Ed il popolo ucraino chiede che per quella deportazione si riconosca il nome di genocidio."
Questo lesse Kieran, appena tornato nell'hotel, con il viso ormai spalmato sulla tastiera del portatile, che lo accecava col suo schermo luminoso.
"Nessuno deve dimenticare ciò che successe."
"Promettimi che almeno tu userai con saggezza il dono che vi ho dato."
Le parole enigmatiche della ragazza ancora risuonavano nella testa dell'irlandese, senza lasciargli pace.
Confuso e stralunato, il giovane cadde di colpo in un sonno inquieto, ancora vestito di tutto punto.

Lunedì, 16 Maggio, 2002

Kieran si guardò allo specchio. Profonde occhiaie scure decoravano il suo viso, come buste di plastica sporca appese ad alberi verdi e rigogliosi.
Non che lui si sentisse così verde speranza, in quel periodo. Forse un po' verde d'invidia, o rosso di rabbia. "Rosso di rabbia" gli si addiceva alla perfezione, in effetti.
Un paio di occhiali neri e storti incorniciavano alla perfezione le borse sotto i suoi occhi grandi e scuri. Li avrebbe dovuti riparare tempo fa, ed ogni giorno si riprometteva che lo avrebbe fatto la mattina seguente.
Continuò ad osservare il giovane uomo che lo fissava dall'altra parte dello specchio. Capelli color biondo cenere, scompigliati, in completo disordine. Spalle non così larghe come avrebbe voluto, braccia esili.
Era sempre stato il piccolo del gruppo, il ragazzo minuto, facile da buttare a terra e semplice da schiacciare, come un moscerino. Gli anni di liceo erano stati difficili per lui.
Ma, hey, non si poteva assolutamente definire uno sfigato.
Tornò a guardare lo specchio.
Il suo naso era un tantino prominente, forse a causa di una botta procuratasi durante una rissa, in un giorno in cui si sentiva particolarmente spavaldo.
Gli anni di liceo. Gli ultimi giorni del semestre erano agli sgoccioli, e fra poco avrebbe compilato la domanda d'ammissione ad un qualsiasi college importante e dal nome pomposo. Ma non si sentiva ancora abbastanza soddisfatto di se stesso.
Dopotutto, si diceva, andare a scuola non è così semplice, se a diciotto anni si è alti quasi un metro e ottanta, ma si ha la stessa costituzione dello scheletro appartenuto alla propria bisnonna.

Quel giorno avrebbe saltato le lezioni. Cosa avrebbe fatto di male? Non era mai stato così maleducato a scuola e non aveva mai ignorato nessuna regola.
Forse era la mattina giusta per fare diversamente, chissà.
Il ragazzo camminava strascicando i piedi, dando di tanto in tanto leggeri calci ai grigi ciottoli che gli sbarravano la strada.
Mille pensieri attraversavano i suoi occhi.
Poi, all'improvviso, delle voci.
Un gruppo di ragazzi si era fermato proprio davanti a lui.
"Merda", sussurrò in un soffio.
"Non ci voleva."
"Cosa dici, O'Callagher?" Lo schernì il più robusto di loro, con un ghigno stampato sul volto.
Era Killian, il cui nome significa "guerriero".
Piuttosto azzeccato, per uno che guerriero non è affatto, pensò Kieran in silenzio.
Lo conosceva grazie al liceo, e sapeva benissimo di non avere a che fare con una brava persona.
"Che ci fai qui, eh? Vuoi metterci tutti nei casini? Andrai a dirlo a qualcuno?" Ora il guerriero sembrava quasi spaventato, ma il suo tono di voce era duro e cattivo, totalmente in contrasto con l'espressione del volto.
"No." Esordì Kieran, piano.
"Non sapevo fossi un tipo che non rispetta regole. O un tipo che ci copre quando facciamo stronzate. Che ti è successo stanotte, O'Callagher?"
"Sta' zitto, ti prego." Kieran fece per voltarsi ed andarsene.
"Beh, dopotutto, te lo saresti dovuto aspettare, Killian. Uno che picchia il suo migliore amico, o che aggredisce un professore, come pensi si comporterà nei confronti degli altri? Scommetto che potrebbe arrivare a sterminare la sua famiglia, o almeno quella che gli rimane. Da quanto ho capito, la situazione è abbastanza incasinata. Dico bene?" Ghignò un altro a gran voce, di modo che il biondo sentisse il tutto forte e chiaro nelle sue orecchie.
Le parole del ragazzo rimbombarono a lungo nei pensieri di Kieran.
Come sapeva della sua famiglia?
Non riusciva a capire il motivo, ma aveva bisogno di vendetta.
Si voltò di scatto.
A qualche metro da lui c'era un giovane tutto sogghignante e soddisfatto, gonfio d'orgoglio per ciò che aveva appena detto.
Era un po' bassino, notò Kieran, ma pur sempre robusto, con occhi piccoli e per nulla gentili, scintillanti di bieco divertimento.
Lo aveva visto qualche volta a scuola, ma non aveva mai avuto il piacere di scambiarci qualche chiacchiera.
Tornò a guardarlo fisso negli occhi.
Sembrava si compiacesse del suo soffrire, e Kieran era furioso.
Perché esisteva ancora gente del genere in questo mondo?
Senza pensare, alzò il braccio, chiuse le dita in un pugno e lo direzionò verso il volto del ragazzo che lo aveva provocato.
Nella sua mente, tutto successe quasi a rallentatore: il colpo, le sue nocche sul naso dell'altro, gli occhi spalancati, sangue rosso sul dorso delle sue mani.
Kieran non era mai stato un ragazzo violento. Se non alle medie, quando aveva preso a pugni il suo migliore amico di allora, aggredendo anche il professore che aveva cercato di dividerli.
Era nettamente più alto e, nonostante la sua esile costituzione, gli era facile prevalere fisicamente su qualcun altro. Soprattutto se l'altro in questione si era permesso di sminuire il suo dolore in occasione della perdita di sua zia, la sua adorata zietta, che lo aveva cresciuto mentre i suoi genitori erano in giro per il mondo. Genitori che ora erano tornati a casa, finalmente, forse per il bene della loro figlia più piccola.
Da quel giorno non aveva più picchiato nessuno.
O almeno, fino a questo preciso momento.
Kieran era sotto shock. Fissava il volto tumefatto e sanguinante del ragazzo di fronte a lui, senza dire una parola. Poi, il colpo.
Un forte dolore pervase all'improvviso il setto nasale di Kieran, che si coprì il viso con le mani. Dolore, dolore, dolore.
Alzò lo sguardo, e vide che l'altro era ancora a due metri da lui, con le mani sul viso, sporche di sangue. Non lo aveva toccato.
I due ragazzi, uno di fronte all'altro, mugolavano, sofferenti, a tempi alterni. Un gruppo di persone li osservava in lontananza, con timore e preoccupazione.
"Tu sei morto!" Esordì il ragazzo dal volto tumefatto.
"Di che cosa ti lamenti, eh? Se vuoi, ti posso aiutare a provare del vero dolore." Detto questo, si lanciò verso Kieran, in piedi davanti a lui, ancora debole e sofferente.
Il ragazzo tentò di difendersi, ma ogni colpo che dava al suo avversario sembrava venire restituito sul suo corpo in egual forza e misura.
Si allontanò velocemente, confuso, disorientato e piegato in due dal dolore.

Stravaccato sul letto, Kieran cercava di dare un senso al volto che aveva appena visto riflesso nello specchio, corrucciato in un'espressione sofferente, ma perfettamente intatto e per nulla contuso. Liscio come la pelle di un bambino.
Poi, si alzò all'improvviso, cercando una prova a confermare l'insana conclusione che stava prendendo vita nella sua mente.
Diede un pugno al suo cuscino, e aspettò.
Nulla.
Nessun dolore.
Si accanì contro il pezzo di stoffa imbottito, schiaffeggiando con forza la sua superficie.
Nonostante i suoi tentativi, non provava nulla. Nemmeno un leggero fastidio.
Si diresse verso il suo cane, Giggles, guardandolo con occhi carichi di pena e tristezza.
Chiuse gli occhi e a malincuore posò un colpo ben assestato sul dorso del suo amico a quattrozampe, che guaì, sorpreso e ferito.
E fu allora che successe.
Kieran avvertì una fitta alla schiena, come se una mano di un uomo avesse schiaffeggiato la sua pelle sensibile, lasciandola ribollire di dolore.
Il ragazzo mugolò, lamentandosi. Poi, quella strana sensazione scomparve, e la schiena smise di pulsare.

L'irlandese ripensò alle parole della bella ragazza sugli scalini.
"Promettimi che almeno tu userai con saggezza il dono che vi ho dato."
Possibile che fosse proprio questo, il dono di cui parlava Jamala?
Riuscire a sentire il dolore che si provoca agli altri, percependolo su sé stessi in egual misura?
Chi era, quella giovane? Una strega, una fattucchiera malvagia? Lo aveva ingannato con la sua melodia ipnotica?
Più che un regalo, il suo nuovo potere gli sembrava una maledizione. Chi avrebbe mai desiderato di avvertire tutto il male provocato da lui stesso, nei confronti delle persone che lo circondano?
Nessuno. Eppure, non sembrava il solo ad avere questa particolare capacità.
"Promettimi che almeno tu userai con saggezza il dono che vi ho dato."
Vi. Doveva solo trovare gli altri, ed insieme a loro cercare quella maledetta ragazza. Avrebbero sistemato tutto, al più presto.
E tutto per colpa di una dannata canzone...
Possibile che solo sentirla avesse innescato questo strano incantesimo?
All'improvviso, la mente di Kieran smise di produrre domande insensate. Si ricordò delle parole contenute nella melodia che aveva udito qualche giorno prima.
"When strangers are coming...
They come to your house,
They kill you all
and say,
We’re not guilty,
not guilty."
L'ultima frase rimbombava nei pensieri di Kieran.
È per questo che, quando facciamo del male a qualcuno, tendiamo a non sentirci così colpevoli: semplicementr, ignoriamo quanto dolore abbiamo causato a chi ci è davanti.
L'uomo uccide senza sentirsi colpevole. Uccide in diversi modi; con le parole e attraverso la violenza. Ogni volta, però, uccide.
Senza provare rimorso.
Se solo provasse sulla sua pelle la tristezza, il rammarico, il male inflitto agli altri...
Se questo accadesse, il mondo vivrebbe in pace. Senza conflitti, litigi o guerre.
L'umanità sarebbe finalmente libera.
Una folle idea si fece strada nella mente di Kieran: avrebbe trovato quella ragazza. L'avrebbe aiutata a diffondere la sua canzone.
Insieme, avrebbero contagiato sempre più persone con quell'ipnotica melodia. Avrebbero potuto cambiare il mondo.
"We could build a future
where people are free
to live and love.
The happiest time!"
E con queste note nella testa, il giovane irlandese varcò la porta, il cuore colmo di speranza.

Sabato, 20 Febbraio, 2016

Jamala trionfa all'Eurovision Song Contest, rappresentando il suo paese: l'Ucraina.
Il mondo intero è scosso dalla sua canzone.
Diventeremo un'umanità migliore?

                             -

Nota dell'autrice per piccoli curiosoni:
"1944" è il titolo originale del meraviglioso singolo che mi è stato assegnato dalle mie coach durante questa gara. All'inizio ero un po' spaventata, soprattutto per l'enorme significato contenuto in questa canzone, vincitrice dell'Eurovision Song Contest, nel 2016. Adesso, però, ho preso confidenza con questa melodia a me sconosciuta, e ho provato a trasmettere le sensazioni che mi ha regalato in una piccola OS. Fatemi sapere come mi sembra!
Per chi fosse interessato alla canzone, ecco il link di Wikipedia:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/1944_(singolo)
P.S. Il conservatorio di Kiev esiste realmente, ed è stato frequentato per un lungo periodo dall'autrice della canzone, Jamala.
In un mondo parallelo, Kieran la incita a partecipare ad un concorso, e lei fa ascoltare a tutti noi la sua melodia.
Sarà riuscita a cambiare il mondo? La risposta è nelle vostre mani.
Saluti un po' frettolosi,
R.B.

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