99 - Aidan
L'odore fragrante dei Chelsea Bun appena sfornati mi fa sorridere mentre aspetto che mi aprano. Sono state centinaia le volte in cui mi sono ritrovato in questo stesso punto sullo zerbino, di fronte a questa stessa porta blu, a suonare il campanello di cui conosco il trillo a memoria.
Mi porto i capelli indietro, poi mi sistemo il colletto del chiodo reggendo la busta di carta della panetteria contro il fianco. Il solo pensiero che tra poco vedrò Demetra mi rende frenetico e voglioso, come fossero passati secoli dall'ultima volta che ho baciato le sue labbra. Dei passi si muovono lungo il corridoio prima di sentire la serratura scattare.
«Chi ha ordinato i dolci del buongiorno?» Un po' idiota, mi metto anche in posa ma chi mi trovo davanti è una Rose stranamente abbattuta. Lo sguardo crolla subito al bastone con cui si regge. «Che c'è, stai male? La gamba?»
«Non ti preoccupare, biscuit, la gamba sta come al solito.», replica con un sorriso troppo piatto e sbrigativo per non stranirmi. Sospira anche, muovendo i suoi passi lenti e affaticati in direzione della cucina.
«Allora che succede?» Chiudo la porta, la seguo e Rose sospira di nuovo quando si lascia andare seduta sulla panca. Tengo d'occhio ognuno dei suoi sforzi prima di mollare i dolci sul tavolo.
«Non sono certa di volertene parlare.»
Aggrotto le sopracciglia. «Perché non dovresti?»
Si stringe il mento tra le dita e scuote la testa, come stesse faticando anche solo a trovare le parole. Neanche la stoffa gialla della kurta che indossa sembra riuscire a colorare la sua espressione. Qualcosa non va.
Un pensiero mi si anima dentro. Si tratta dei dolori e della protesi oppure...?
Mi guardo subito attorno e non vedo una seconda tazza in giro né percepisco il profumo al cocco che riempie le stanze da un po' di tempo a questa parte.
«Demetra sta ancora dormendo?»
Rose alza lo sguardo su di me con una certa rassegnazione. «È sveglia e in camera sua ma, prima che tu lo chieda... no, non sono certa stia bene.»
Serro la mandibola, rimanendo fermo e in piedi davanti al tavolo. «Che è successo?», insisto.
«Ieri sera, mentre voi eravate a teatro, è passato un ragazzo. Ha chiesto di di lei ma credevo se ne fosse andato dopo avergli detto che sarebbe tornata a casa tardi.», comincia a spiegare.
«Chi era?»
«Un compagno di università. Uno del gruppo con cui è venuta qui, credo...»
«E che voleva da lei?»
«Non lo so, a me ha detto solo che la stava cercando. Quando siete tornati non vi ho neanche sentito, ma mi sono svegliata quando si sono alzate delle urla in mezzo alla strada.» Con la mano libera, Rose stringe l'impugnatura lavorata del suo bastone. «Erano loro due, sotto la pioggia. Urlavano in italiano, e non ho capito una sola parola...»
Mi sto incazzando.
I palmi bruciano, come stessi stringendo i pugni attorno a degli aghi. Una bile acida e bollente mi ribolle nello stomaco.
«Ma ha provato ad entrare in casa, a toccarla?! Che ha fatto?!»
«No, urlava e basta.» La voce di Rose si incupisce. «Sembrava arrabbiato con lei. Quando mi sono affacciata dal corridoio, l'ho visto che sbraitava contro Demetra e lei piangeva.»
Stringo i denti talmente forte da sentir male.
«Perché non mi avete chiamato?!», sbotto. «Gliela facevo passare la voglia di urlare!»
«A me sembrava stesse piangendo anche lui...», aggiunge senza scomporsi, sin troppo abituata ad avere a che fare con me.
«Questo dovrebbe in qualche modo cambiare le cose?!»
«No, ma non ha senso trarre conclusioni da una situazione che non conosciamo.» La sua voce tanto ferma e solenne mi frena. «Prova ad andare a parlarle, magari a te dirà cos'è successo davvero...»
Tutti i tentativi di Rose di rabbonirmi continuano a riecheggiarmi in testa mentre salgo le scale. Raggiungo la porta della stanza di Demetra ancora nervoso e amareggiato. Busso con le nocche della mano che regge la busta di Chelsea Bun che ho comprato apposta per lei e attendo. Busso di nuovo, più forte, quando non arriva alcuna risposta e tento di intimarmi da solo alla calma.
«Arrivo...» La voce debole che arriva dall'altra parte della porta risveglia l'emozione soffocata dalla rabbia, dalla gelosia e dalla frustrazione di non essere stato con lei neanche stavolta che aveva bisogno.
Vorrei solo poterla proteggere da chiunque e da qualsiasi cosa... Perché cazzo non ci riesco?!
La maniglia cigola un po' quando viene abbassata. Una morsa mi stringe lo stomaco quando incrocio il suo viso. Demetra è pallida, con gli occhi un poco gonfi e cerchiati, i capelli sciolti sulle spalle e l'aria di chi non ha dormito granché. Addosso, una felpa con le maniche ricoperte di fiori ricamati e dei leggings neri.
Deglutisce non appena mi vede. Un groppo sorpreso, ma tutt'altro che felice.
«Ciao.» Irrigidita all'improvviso, si fa più vicina alla porta che tiene socchiusa. Un po' sembra averne bisogno come sostegno per star su, un po' sembra voler tenere me ben distante. «Con le cuffie alle orecchie non ti ho neanche sentito arrivare.»
«Sorpresa riuscita allora!» Vorrei allungarmi per baciare quelle labbra un po' secche, eppure evito. Mi limito ad abbozzare un sorriso e porgerle la busta di carta. «Ho portato questi per te e i biscotti per Rose, così facciamo colazione insieme...!»
«Sono... Chelsea Bun?», azzarda.
«Yep, i tuoi preferiti!» Le sorrido ancora ma ho come l'impressione che qualcosa dentro di lei si rompa in quel preciso istante.
Demetra deglutisce di nuovo. Abbassa gli occhi alla busta ma resta pressoché immobile sulla porta della sua camera.
«È stato un pensiero molto dolce... Grazie.», soffia tornando a guardarmi. «Li mangerò più tardi.»
«Non vuoi mangiarli adesso con noi? Ho già messo il bollitore sul fuoco e tirato fuori il monta-latte per fare il cappuccino, visto che Rose mi mi ha detto che non hai fatto colazione...»
Demetra mi guarda per istanti che paiono lunghissimi, con un silenzio che sa di urla trattenute anche se non so perché.
Lei si stringe nelle spalle. «Non ho molta fame stamattina, tutto qui.»
Prendo un respiro profondo e muovo mezzo passo avanti, quanto basta ad appoggiare la tempia allo stipite della porta e sentirmi più vicino a lei. «Cosa non va, Demi...?»
Non sposto lo sguardo dal suo viso triste, da quegli occhi scuri e profondi, di nuovo ombreggiati. Di nuovo, nascondono qualcosa.
«Niente, sto solo studiando.» Demetra deglutisce, poi schiude la porta per mostrarmi il letto rifatto ma stropicciato, con sopra libri aperti e quaderni scarabocchiati. «Sto cercando di rimettermi in pari con le lezioni. Ultimamente non ho dedicato molto tempo all'università, tra una cosa e l'altra. Da domani, intendo riprendere il giusto ritmo.»
La sua voce è monocorde, così eludente e debole.
Annuisco, riuscendo a crederle solo per metà. «Rose mi ha detto di ieri notte.» Vado dritto al sodo. Lei si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e spinge di più il fianco contro la porta, senza uscire dalla stanza né permettere a me di entrare. «Posso chiederti chi fosse quel ragazzo e cosa volesse da te?»
«È stato solo un brutto episodio. Mi dispiace di com'è andata ma non è successo niente di grave.»
Mi stacco dallo stipite tutto accigliato. «Un tizio viene fin sotto casa per litigare in piena notte, tu piangi e non è niente di grave?» Demetra rimane in silenzio. «Sto solo cercando di assicurarmi che tu stia bene, Demi. Non sopporto l'idea che qualcuno ti ferisca o ti faccia del male...»
Invece che alla rabbia, decido di abbandonarmi a lei. Provo ad accarezzarle la guancia ma il brivido che la fa tremare e le fa irrigidire le spalle mi gela il sangue.
Sta tremando... a causa mia?
Un sorriso incerto e pessimo le curva le labbra. Solleva la mano per stringermi le dita col solo scopo di allontanarle da sé. «È stato solo un litigio, e ciò che dovevamo dirci è venuto fuori. È tutto risolto ormai. Non dovete preoccuparvi.»
Senza aggiungere altro, Demetra indietreggia e si nasconde di più dietro la porta, sempre più lontana.
Sta andando via da me.
«Demi, aspetta...», chiamo il suo nome sentendomi tanto inutile quanto disperato. «Non-...»
«Torno a studiare. Dì a Rose di stare tranquilla, e sta' tranquillo pure tu. OK?»
Chiude la porta e mi lascia lì, interdetto in mezzo al corridoio, fuori dal suo mondo.
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