86 - Dana
Ricordarsene non è una scelta volontaria, non è una ricerca masochistica di dolore né un morboso attaccamento al passato. Certe cose semplicemente non si possono scordare.
Com'è stato il primo bacio o com'è andata quando si è fatto l'amore per la prima volta, come ci si sentiva il giorno del diploma, quando si sono distrutti i rapporti con un'amicizia storica o ancora la data del compleanno di un parente che non c'è più. Anche se non c'è più nulla da celebrare, a quella data apparterrà sempre la sua didascalia, come la dedica scritta a mano dietro una vecchia fotografia.
Basta puntare lo sguardo al calendario, per un attimo, in un gesto banale e consueto, per ritrovarsi travolti da una mareggiata di pensieri e ricordi che non erano di certo dimenticati, solo sepolti sotto metri di polvere. Dopo quella repentina presa di coscienza si possono anche scrollare le spalle con indifferenza, noncuranza o apatia, ma è sicuro che qualche istante verrà speso in quel ricordare del tutto istintivo.
D'altronde, è così che funziona: succede qualcosa, si piange, lo si supera, si cammina fieri del sorriso che ha finalmente sostituito le lacrime e si racconta agli amici che ormai "è passato", che "non fa più male", che "l'hai superato"... ed è vero. Probabilmente è anche vero, poi però ci pensano le piccole cose a risvelare le fila di chissà quale storia: un determinato mese, una precisa fragranza, un paio di scarpe, un nome chiamato per la strada, una canzone che per caso passa alla radio, il numero del bus che arriva in città.
Possiamo dimenticare il timbro di una voce ma non le parole che ha pronunciato.
Possiamo dimenticare il suono di una risata ma ricorderemo sempre l'emozione che ci dava.
Possiamo dimenticare il nome di una via ma ricordarci la durata del tragitto, e come potremmo non ricordarla dopo tutte le volte che l'abbiamo percorsa con la smania di arrivare?
È così che ingranano i sentimenti e i ricordi, alla fine – si nutrono di piccole cose. Le piccole cose sono quelle che ci fottono sempre, nel bene e nel male.
«Dana?» La voce di Aidan arriva bassa e un poco cavernosa dal corridoio. Infila piano la testa ancora umida di doccia dentro la mia stanza, per controllare che non stia dormendo. Sono ancora rannicchiata sotto le coperte, com'ero quando è tornato da casa di Rose. «Il mal di testa è passato?»
«Sì, va meglio.», replico un po' asciutta. «Le maledizioni che mi ha mandato Lou per averla lasciata sola al negozio non sono ancora arrivate.»
Si mette a ridere, facendosi avanti nella mia stanza per sedersi sul bordo del letto. Addosso, un maglioncino rosso che si tira su fino agli avambracci e dei jeans blu scuro. «È solo mal di testa davvero?»
Deglutisco perché so che ha capito. Nonostante il nostro ultimo litigio, mai davvero risolto proprio come tutti quelli precedenti, Aidan continua a preoccuparsi per me.
Quanto vorrei essere in grado di dimostrar meglio quanto bene ti voglio...
Vorrei solo essere in grado di saperti al sicuro...
Vorrei solo essere in grado di tenerti per sempre con me...
«Il mal di testa ce l'ho davvero, se è quello che mi stai chiedendo.»
Aidan sospira e scuote la testa. «Vieni qui.»
Serro le labbra, il naso già pizzica un po'. Capisco quanto avessi bisogno che mi stringesse così solo quando le sue braccia mi avvolgono. Era dalla nostra litigata che non mi abbracciava così...
Sento i miei pezzi ricomporsi, trovare finalmente un loro ordine. È sempre stato lui a provvedere a questo, a tirarmi su e sorreggermi. Senza Aidan sarei già crollata molti anni fa: per nostro padre, per Brett, per ogni cosa.
Non c'è giorno in cui non ammiri la sua capacità innata di sorridere e far sorridere. Credo di averlo anche invidiato, a volte, perché io non ne sono mai stata capace. Il mio animo tende alla malinconia, il suo è l'esatto opposto. Aidan è in grado di colorare il grigiore degli altri, e non penso ci sia capacità più preziosa al mondo. Ci vogliono tanto coraggio e tanta forza per essere allegri, positivi e altruisti. Essere tristi è più facile. È dannatamente più facile crogiolarsi in quel limbo dove tutto è già nero e niente potrà mai ferire di più, niente potrebbe deludere ancora. Ci si aspetta sempre il peggio, non si spera più in niente. Questa pigrizia emotiva è così confortante da creare dipendenza.
«È solo una giornata sottotono. Ci sono grandi cambiamenti in atto e... non sono il mio forte, lo sai.», replico aggrappata al suo maglione rosso. «Il nuovo anno sta portando un sacco di novità, a quanto pare...»
Ci allontaniamo lentamente e subito spingo lo sguardo lontano da lui, oltre la finestra, al paesaggio morto ed invernale. Quando l'inverno finirà, arriverà la primavera e porterà con sé il sole, i colori dei fiori e una nuova realtà. I ragazzi ormai avranno cominciato a lavorare in quel teatro a Manchester, Aidan si trasferirà perché anche nostra madre è d'accordo e Brett lascerà la Scozia per tornerà a vivere qui. Tutto si muove. Tutti vanno avanti. Tutti, tranne me.
«È vero. Sembrerebbe proprio così...»
Il sorriso che Aidan si sforza di trattenere mi incuriosisce.
«Perché sorridi?»
«Non posso sorridere?» Si gratta la punta del naso, poi il sopracciglio. È imbarazzato.
Un'illuminazione mi coglie. Quello sguardo più lucido e più sognante lo riconosco.
«Che è successo stanotte con Demetra?!»
Aidan sbuffa una risata troppo impacciata e adorabile per non farmi tremare le gambe e il cuore. «Credo di essere stracotto, Dana...», confessa. «E sono sicuro che lei provi lo stesso che provo io...»
Mi accorgo di non aver sbattuto le palpebre solo quando gli occhi iniziano a bruciare.
Posso concedere alla parte più umana di me di essere felice per il bellissimo sorriso di mio fratello o dovrei rammaricarmi del fatto che questa storia non può finire bene?
L'eco del fa grave di chitarra che Aidan ha come suoneria per i messaggi riempie la stanza, lasciandomi appesa ai miei pensieri.
«Devo andare.», annuncia dopo un'occhiata rapida alo schermo del cellulare.
Nostra madre appare in mezzo al corridoio, col cesto della biancheria appena uscita dall'asciugatrice tra le mani. «Dove vai?»
«A Crewe.» Aidan si alza in piedi, guardando lei e poi me mentre rimette via il telefono, nella tasca anteriore dei jeans. «Voglio fare una sorpresa a Demi e farmi trovare al campus quando finisce con le sue lezioni. Grazie per questi!» Schiocca un bacio a mamma e recupera al volo i suoi jeans e i boxer dalla massa di roba stropicciata per gettarli sul proprio letto e fuggire via.
Il sorriso che aveva sulle labbra nutre l'espressione maliziosa e pettegola con cui nostra madre si rivolge a me. «Ha detto che andava da Demetra, o sbaglio?»
«L'ha detto.»
«Lo sapevo!», gongola tutta orgogliosa. «Lo sapevo che sarebbe finita così tra quei due!»
La osservo essere felice per Aidan e non mi capacito di come faccia a vederci solo spensieratezza e leggerezza. Non ci pensa proprio che Demetra tra qualche mese avrà finito il viaggio-studio? A quel punto Aidan come starà, che farà?
In fondo alla mente, una vocina mi prega di smettere di essere tanto cinica e rognosa e di imparare, piuttosto, a prendere spunto dal loro modo più armonico di vivere.
Rivedo il viso rabbioso di Aidan che mi accusa di non volere la sua felicità, nitido e tremendo. Non è vero che non voglio che sia felice. Esigo che lo sia, ed è proprio questo il motivo per cui mi comporto così, per cui mi preoccupo tanto.
La sua felicità è la causa principale del mio ruolo di antagonista in questa storia: sono la sorella cattiva che gli mette i bastoni fra le ruote, quella che non vuole che suoni, che non vuole che vada a vivere vicino a nostro padre, che teme un qualsiasi legame con Demetra perché potrebbe farlo soffrire. Si sbagliano tutti, però.
So di passare per stronza almeno la maggior parte del tempo, e fa male perché ho la sensazione che nessuno mi capisca davvero, nessuno è realmente in grado di tradurre i miei pensieri, i miei comportamenti, le mie paure e i miei tentativi.
Una sola persona riusciva a farlo in passato, ma è qualcuno che non posso più chiamare mio e su cui ho smesso di contare tanto tempo fa. Accadde proprio oggi, di ormai tre anni fa.
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