78 - Demetra

«Allacciati la cintura.» Aidan chiude la portiera per me, poi fa il giro del furgoncino della panetteria per salire anche lui.

«Sei sicuro che possiamo prenderlo?»

Sbuffa un sorriso sistemandosi meglio al volante. «Lo riporteremo qui e nessuno si accorgerà di niente. Fidate di me!»

Mi schiocca un occhiolino e nel silenzio dell'abitacolo che profuma di pane e crostate, lentamente mi lascio andare. Dopo lo sfogo imbarazzante, il tè e la sosta in bagno per pulirmi di dosso le lacrime, il trucco colato e l'intero litigio con Marzia, mi sento esausta. Aidan mi sta salvando, di nuovo. Senza di lui non avrei neanche la forza di respirare adesso...

Lotford ci scorre accanto, scura e indolente, ancora lucida di pioggia.

«Ti porterò in un bel posto.»

Giro lentamente lo sguardo verso di lui. Anche se è di profilo, mi godo il sorriso trasognato che gli curva le labbra e gli illumina gli occhi fissi sulla strada. «Un bel posto vicino o lontano?»

«Né troppo vicino e neanche troppo lontano.»

«Stiamo andando a Manchester?»

Aidan spalanca la bocca all'improvviso, tutto sconvolto e sconcertato. Saetta l'attenzione da me alla tangenziale che stiamo attraversando e quell'espressione basta a farmi ridere un po'.

«Come lo sapevi?!»

«Non lo sapevo! Ho provato ad indovinare!»

Un piccolo bagliore orgoglioso sembra rendere più luminoso il viso. «OK, ci hai preso. Non dirò altro!»

Il viaggio notturno al profumo di dolci si rivela, chilometro dopo chilometro, un sollievo e un conforto di cui avevo proprio bisogno. C'è qualcosa nelle strade di notte che mi ha sempre affascinato. Sono bellissime ma malinconiche e desolate, infinite e illuminate solo a tratti - proprio come i miei pensieri. Non c'è niente oltre, solo il mondo buio attorno e la via aperta davanti che potrebbe portare ovunque e in ogni luogo. È una sensazione strana, perché dal sentirsi liberi al sentirsi soli è solo questione di prospettiva.

Stasera non mi sento sola però. Non mi sento mai sola quando c'è lui insieme a me.

«Demi...» La voce pacata e un poco roca con cui chiama il mio nome mi sorprende. «Posso chiederti una cosa?»

«Certo.», concedo con un po' di timore.

«Prima, quando hai detto di avere un problema con le persone, ti riferivi a qualcuno in particolare?»

Prendo un respiro profondo. Deglutisco ansia. «Temo di non essere fortunata con le persone, a prescindere. O meglio, con i rapporti che instauro con le persone...»

Aidan si gira verso di me, uno sguardo intenso. Davanti a quei suoi occhi azzurri non riesco a pensare più a nulla.

«Ti hanno fatto soffrire in molti?»

«Se dico di sì, sembro una vittima?»

«No.», fa lui, talmente fermo da scuotermi dentro. «Mi fa solo salire tristezza per te e pena per loro, perché dubito si siano resi conto di chi avevano accanto...»

Il mio cuore manca un battito, l'emozione mi toglie il fiato. È così che mi vedono i suoi occhi? Così tanto... speciale?

Solleva la mano dal cambio per grattarsi il sopracciglio con l'unghia del pollice, come gli ho visto fare spesso, poi torna a guardare la strada.

«Sai...», mormora mentre ingrana la marcia. «Mia madre ha sempre detto una cosa: "Se qualcuno se ne va da voi non siate tristi, significa solo che il suo ruolo nella vostra vita è finito e che presto arriverà qualcun altro, forse più meritevole, destinato a riempire il vuoto che sentite."»

Il naso mi comincia a pizzicare, senza neanche sapere perché. Ho i brividi e le vertigini, seppur sia seduta e al caldo.

Come un film con il rewind inserito, rivedo tutte le persone che ho perso – quelle che sono stata io ad allontanare e quelle che hanno deciso di lasciare la mia vita, correndo veloci o sgattaiolando piano. Uno dopo l'altro, tutti loro si sono portati via qualcosa di me. Perdere qualcuno dà proprio la stessa impressione delle strade di notte: è vuoto o libertà?

A sentire Sue, sarebbe libertà riacquisita in attesa di qualcosa o qualcuno di migliore, a me però sembra di aver sempre e solo provato dolore. M'è rimasto dentro solo silenzio e grigiore, ogni volta che ho perso qualcuno. Quella sensazione tremenda che fa rabbrividire anche se si hanno due coperte addosso, che fa sentire persi e spaesati, insignificanti al punto da non scatenare alcuna apprensione o pentimento negli altri. Nessuno mi ha mai detto di sentire la mia mancanza, di averci ripensato, di aver sbagliato.

Ho sempre cercato di soffocare i miei vuoti, più che colmarli. Li ho nascosti nella recitazione, nel teatro, nei libri che leggevo, nei film che guardavo, nella speranza che riponevo in persone ancora più sbagliate di quelle che se n'erano già andate.

«I tuoi vuoti sono stati riempiti?», chiedo tremando un po' contro il sedile.

Mi pento di aver posto quella domanda nel momento stesso in cui vedo Aidan stringere i denti.

«No, non credo.» Deglutisce, con gli occhi fissi sulla strada. «Non è stato facile superare il divorzio dei miei. Non lo è stato neanche accettare l'assenza e le scelte di mio padre, e non sono certo siano vuoti che posso colmare davvero.» Stringe il volante tra le dita, con una rigidità difficile da non notare. «Posso accettarlo, rendermi conto che gli equilibri in famiglia sono molto più precari di quanto si possa pensare e che non esistono sempre decisioni giuste per tutti, ma mi resteranno comunque i ricordi e l'ombra di qualcosa che non era come io avevo bisogno.»

Aidan sospira, e io non riesco a dire neanche una parola. Mi sorprende vederlo schiudere le labbra per continuare a sfogarsi.

«Ricordo che, ogni mattina, Dana si sistemava le pinzette colorate tra i capelli dicendo che magari papà sarebbe venuto a prenderci dopo la scuola. Erano più i giorni in cui non accadeva che quelli in cui lo trovavamo davvero lì.» Un sorriso amaro gli curva le labbra carnose e pronunciate. «Ogni volta ci chiedeva di scusarlo, perché c'era il lavoro e aveva tante cose a cui pensare...» La luce dei fari dell'autocarro che viaggia nella corsia opposta invade l'abitacolo quando ci passa accanto. Per un secondo, l'espressione più dura e delusa di Aidan si vede nitidamente. «Dana sperava così tanto nella riappacificazione dei nostri genitori, nel ritorno a casa di nostro padre... Un giorno poi, semplicemente, ha smesso di mettersi le pinzette.»

Solo il quel momento, quando lui smette di parlare, mi rendo conto di essere stata in apnea tutto il tempo. Queste immagini fanno male, e mi fanno comprendere Dana ancora di più. È difficile biasimare il cinismo con cui ha limato la sua personalità: è disillusa, ferita tanto quanto lo dev'essere Aidan. Forse, hanno solo un modo differente di esternarlo.

Vorrei trovare qualcosa di giusto da dire o fare per dimostrargli che sono qui, che lo sto ascoltando, proprio come lui ha fatto con me prima.

«Tu non ci speravi?», chiedo alla fine, con solo un soffio di voce.

Aidan solleva le spalle, storce la bocca in una smorfia indifferente a cui non so se credere. «No, credo di aver sempre saputo che le cose non sarebbero mai tornate come prima.»

Mossa da un istinto che neanche sembra mio, sollevo la mano per stringere quella di Aidan sul cambio del furgone. Un brivido mi corre sulla pelle, elettrico e intenso, ma non saprei dire se sia partito da me o da lui.

Gli accarezzo le nocche, più e più volte, senza avere il coraggio di sollevare lo sguardo al suo viso. Le sue dita calde ricambiano la stretta e il mio cuore si calma all'idea che, probabilmente, ci stiamo confortando entrambi, solo stando insieme.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top