74 - Demetra
Il sorriso amareggiato e tenero che Greta e Isabella mi hanno dedicato mentre il loro treno si allontanava è bastato a farmi cadere ancora più nello sconforto. Un altro pomeriggio dei miei che avrebbe dovuto essere piacevole è stato rovinato. Senza sosta, Marzia si stia impegnando per massacrarmi con ogni mezzo, in ogni situazione.
Seduta sulla panca di metallo congelato, assisto inerme alla marea di sconosciuti che brulicano la banchina ferroviaria. Mi vorticano intorno, sciamano scattanti in ogni direzione.
Sono sola, circondata di facce vuote, dubbi, debolezze e umiliazioni.
Vorrei piangere.
Vorrei piangere e sfogare tutto il male che sento dentro, l'amarezza che mi toglie il fiato, la paura che mi prosciuga le forze, la delusione che mi spezza il cuore.
Vorrei piangere, ma la rabbia prevarica.
L'ennesimo annuncio metallico dell'altoparlante riecheggia tra i miei pensieri. Ho un treno da prendere.
❈
Quando sollevo lo sguardo dal cellulare, la villa dei Chastain è lì ad incombere su di me.
Non sono sicura che venire fin qui sia stata una buona idea ma ormai ci sono. Stringo i denti e mi avvicino alla porta sentendomi più debole di ciò che dovrei.
Quanto mi odio... Dovrei essere furiosa, dovrei essere incazzata, dovrei essere aggressiva e carica come una bomba pronta ad esplodere. Invece funziono di merda, perché le batoste e le delusioni mi hanno sempre abbattuta e mai motivata, sempre annichilita e mai rinforzata.
Se mi feriscono, preferisco chiudermi in me stessa. Mi metto in un angolo a leccarmi le ferite da sola invece di agitare le mani e urlare cercando di difendere me stessa o di dimostrare quanto gli altri si sbagliano. Probabilmente è questa la maniera peggiore di reagire alla vita, proprio perché non si reagisce affatto.
"Lascia perdere. Non importa. Non avrebbe senso. Non rischiare di rovinare ancora cose già incrinate." – ecco il mantra delle anime immobili e spaventate, quelle capaci di soffrire anche al pensiero di perdere chi fa loro più del male.
Posso incazzarmi con me stessa e posso odiarmi ma, in fondo, lo so che non posso davvero essere diversa da ciò che sono.
Recitare e fingere aiuta, sì. Posso recitare di essere una semplice ragazza di periferia, piena di sogni e speranze, capace di prendere tutto alla leggera senza mai farsi scalfire da niente. Posso fingere di non conoscere la particolare tonalità di beige dei corridoi al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Bergamo, di non saper elencare gli effetti della cocaina, di non avere colpe e rimpianti o ancora di non avere la schiena ricoperta di cicatrici che il mio essere tanto stupida mi ha provocato. Posso farlo, costruirmi una maschera fittizia e convincente, interpretare qualsiasi mia bugia e ingannare chiunque meno che me.
La mano trema mentre suono il citofono. Lascio cadere il braccio contro il fianco ma trema talmente tanto che sono costretta a chiudere il pugno nella speranza che smetta. Il discorso che avevo elaborato durante il viaggio in treno da Crewe ormai l'ho dimenticato.
Un rumore di tacchi riecheggia dall'altra parte della porta. Boccheggio, il chiavistello scatta.
Con sollievo provvisorio, non è Marzia colei che mi ritrovo di fronte. È una bellissima donna sulla quarantina, con il fisico da modella stretto in un tailleur bianco e i capelli ramati sciolti sulle spalle. Gli orecchini e gli anelli che indossa sono maestosi, dall'aspetto sofisticato come lei.
«Buonasera. Come posso aiutarti?» La sua voce composta e posata mi disarma.
«Sono una collega dell'università di Marzia.» Deglutisco, ma il nodo che mi stringe la gola non se ne va. «È in casa?»
«Oh, certo, sì. Entra pure, cara. Non sapevo Marzia stesse aspettando qualcuno.» Muove un passo più a lato per farmi spazio, leggiadra e autorevole come fosse una ballerina. «La sua camera è al piano superiore, la porta dopo il quadro grande di Kandinskij.» Persino quelle indicazioni suonano altolocate.
Annuisco e ringrazio con un sorriso rapido, poi subito mi dirigo verso le scale. Gradino dopo gradino, l'aria si fa pesante. Mi sento soffocare. Aggrappandomi con entrambe le mani al manico della borsa, passo accanto al quadro pieno di forme astratte e colori che ricordavo e mi pianto davanti alla porta. Ci siamo.
Busso una volta, col cuore che martella. Nessun movimento.
Busso più forte, e d'un tratto il cigolio di un letto riecheggia nella stanza e nel corridoio.
Marzia spalanca la porta, con un'espressione confusa. In mano ancora le cuffie da cui esce una famosa canzone di Enrique Iglesias.
Un brivido gelido mi corre lungo la pelle quando incrocio i suoi occhi scuri e affilati.
«Tu che cazzo ci fai qui?! Nessuno ti ha invitata!»
«Credo tu abbia qualcosa da dirmi.», sfiato subito, cercando la forza di fronteggiarla.
Per un momento, quella annientata sembra lei. «Ti sbagli. Non ho nulla da spartire con te.»
«No? Otello e Professoressa Lawrence ti dicono niente?», Marzia mi fissa con sufficienza. Scrolla le spalle e non risponde, piantata sulla porta della sua stanza. «Amicizia e sincerità invece?», insisto più acida.
Lei scoppia a ridere all'improvviso, in maniera plateale. «Sincerità? Proprio tu vieni a farmi la predica sulla sincerità?! Andiamo, Demetra, non essere ridicola!» Il sorriso che le storce la bocca mi fa rabbrividire. «Hai detto a Valerio che non gliela darai mai? Che non te ne fai niente della bava che perde per te? Gliel'hai detto di smetterla di provarci ché tanto di lui non te ne frega un cazzo?»
Un colpo al cuore mi fa deglutire. È questo il gioco che vuole fare?
«Non mettere in mezzo questa storia!» Il sangue ribolle, mi martella nelle tempie. «Valerio non c'entra un cazzo col fatto che non mi hai detto che ero stata scelta per lo spettacolo!»
«E perché avrei dovuto?!»
«Perché lei ha scelto me!»
«La Lawrence è solo un'hippie rincoglionita!», vomita quasi ne fosse disgustata. «Proprio come gli altri, dopo che ha visto quel tuo stupido faccino da passerotto ferito non ha capito più un cazzo! Non ha fatto che starsene lì, tutto il tempo, a lodare la tua "meravigliosa recitazione", così emotiva, così catartica...», continua a cantilenare con disprezzo. «Mi serviva solo un'occasione per dimostrare quanto io sia migliore di te, e se il mondo non me la vuole dare che si fotta! Me la sono trovata da sola!»
La delusione e il terrore mi fanno tremare le gambe.
«Migliore di me...?», biascico senza voce e senza forze. «Essere qui non è una gara, Marzia! Io non sto competendo con te!»
«Ma io sì!», grida con rabbia, togliendomi il respiro. «Detesto come tu piaccia sempre a tutti, come tu sia sempre la prima scelta di chiunque! La prima scelta di una docente che neanche ti conosce, la prima scelta della gente per avere un'amica o per innamorarsi perdutamente!» Il suo sguardo si fa più tagliente, carico di nervosismo ed altre emozioni che non ho non voglia di comprendere o giustificare. «È da tutta la vita che mi sforzo di apparire al meglio delle mie possibilità! Tu invece non fai un cazzo e tutti urlano sempre al miracolo!»
«Wow... Devi avere una considerazione di te davvero bassa per spingerti ad arrivare a tanto...!»
Marzia incassa il colpo, annaspa per un momento. Eppure non gioisco. Mi sento nauseata.
«Guardati allo specchio, Demetra! Sei la persona più falsa che conosca e non meriteresti neanche la metà delle attenzioni che tutti ti danno.» Intreccia le braccia con fastidio. «Devi avere una considerazione di te davvero bassa per ricorrere a tutte quelle bugie e alle stronzate che tiri fuori.» Mi cita meschinamente, martellando con forza contro la mia armatura già crepata.
Un groppo di saliva e bile amara mi brucia la gola sotto quella sua espressione tanto velenosa.
«Ti piace tanto interpretare sempre la vittima della situazione, vero?» Marzia approfitta del mio silenzio. «Oh, povera Demetra che non ricambia i sentimenti di Valerio! Poverina Demetra che aveva un fidanzato che la tradiva ma con cui lei non era mai stata sé stessa!», pigola impietosa. «Sai, me lo sono sempre chiesta: recitavi anche gli orgasmi o almeno quelli erano veri?»
«Marzia, finiscila.», sibilo a denti stretti, fissandola dritta in faccia.
Ho paura di lei, lo so. Ho paura delle sue parole.
Mi viene da piangere ma non posso.
Ho voglia di urlare ma non posso.
«Perché devo finirla? Cos'è, ti fa troppo male la verità?», continua ad aizzarmi, muovendo persino un paio di passi ferini verso di me. Lei avanza fuori dalla stanza, io indietreggio. «Ti dirò di più... Lorenzo ha fatto bene ad andarsene! Ha cornificato solo un fantoccio scialbo che non fa altro che autocommiserarsi!»
Vedo solo il sorriso sghembo di Marzia. Sento solo il frastuono del mio cuore che si spezza. Quanti dolori può sopportare un cuore prima di perdere il coraggio di continuare a battere?
I palmi sudano e prudono. La tachicardia mi pulsa nelle tempie.
«Io e te abbiamo chiuso.», concludo lapidaria voltandole le spalle.
Voglio andarmene. Voglio dimenticarmi di Marzia. Voglio dimenticare ogni cosa.
In fondo alle scale, ritrovo la Signora Chastain allertata dalle nostre voci alte. Abbasso il viso per evitare che veda le lacrime nei miei occhi.
«Abbiamo chiuso già molto tempo fa, Demetra! Non voglio avere persone false e insulse attorno a me!», tuona ancora alle mie spalle mentre sono in mezzo ai gradini. «Tutti coloro che ti guardano e applaudono alla divinità scopriranno che persona sei in realtà!»
Parole, scivolatemi addosso, per favore. Scivolatemi addosso, non arpionatevi a me...
«Mi dispiace...», dico rapidamente alla Signora Chastain quando le passo accanto.
Accelero il passo sul marmo chiaro, strizzo le palpebre ricacciando indietro le lacrime. Fuggo da quella discussione che è meglio lasciar perdere. Non ha senso continuare. Non ha senso provare a spiegare come stanno davvero le cose o provare a giustificare chi sono e il mio passato. È tutto rovinato ormai.
«Potrai anche essere circondata di persone ma sarai sempre sola, Demetra! Sola!» Marzia vomita veleno, aggrappandosi al corrimano della scalinata. «Arriverà il giorno in cui la tua facciata crollerà, e soffrirai per tutto ciò che nascondi, per gli occhioni da cucciolo indifeso e le cazzate con cui riempie la gente!»
La voce della Signora Chastain che rimprovera Marzia per dirle di smetterla di urlare quasi neanche la sento. È solo un'eco lontana.
Un altro colpo, una pugnalata profonda che frena i miei passi proprio davanti alla porta.
Ho due scelte adesso: difendermi con quella briciola di forza che mi resta o andare via una volta per tutte.
Fisso la maniglia, il respiro agitato e corto. Rivedo tutti i momenti che non volevo vedere, sento tornare tutti i ricordi che ho sempre voluto marginare. Arrivano all'improvviso, tutti insieme in un solo attimo, all'attacco e senza freni, scavalcando le mura che avevo costruito per proteggermi e tenerli lontani, distruggendo il mio equilibrio che, per quanto effimero, mi ha permesso di continuare a vivere e rimanere in piedi – almeno fino ad ora.
Mi volto di scatto, fulminando Marzia lì dove si trova.
«Ho già sofferto per le cose che ho nascosto! Non c'è stato un solo cazzo di giorno in cui non abbia sofferto per ciò che ho fatto!» Urlo con tutta la rabbia che ho dentro, la voce graffiata e l'aria stessa che pare farsi più rarefatta. «Non azzardarti a parlare della mia vita, perché tu non sai un cazzo di me! Niente!»
La gola mi brucia. Il cuore fa male.
Lei mi fissa, senza rispondere. Se ne sta ancora aggrappata al parapetto mentre lo sguardo atterrito della Signora Chastain continua a balzare tra me e lei, incapace di dire qualcosa.
«Tu sei solo capace di emergere affossando gli altri, è questo che fai!» Sfogo ancora, come un fiume in piena, arricciando il naso quando le lacrime mi appannano la vista. «È solo distruggendo chi hai attorno che ti senti più forte, non è così?!», continuo. «Quindi smettila! Smettila di fare la moralista e la paladina della giustizia, smettila di affossarmi, perché se siamo state amiche forse è perché siamo false e merdose entrambe!»
Marzia deglutisce quella che parrebbe inquietudine mista a fastidio.
Prima di scoppiare a piangere davanti ad entrambe, spalanco la porta senza neanche chiedere il permesso. Me ne vado di corsa, con le lacrime agli occhi, lasciandomi alle spalle l'ennesimo legame sbagliato della mia vita.
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