71 - Demetra

«Che farete a Crewe?»

«Pranzeremo assieme e poi credo ci faremo un giro da qualche parte...»

«Potresti portarle al centro commerciale in cui lavora Dana. Ci sapresti tornare?»

«Sì, credo di sì.»

Il suono dei nostri passi è ovattato dal fogliame rossastro che ricopre il marciapiede. Camminiamo verso la stazione, uno di fianco all'altra – anche se Aidan passa più tempo a scansare i rami rinsecchiti e spogli degli alberi che a guardare dove mette i piedi. Scoppio a ridere quando lo vedo sollevare l'ennesimo rametto prima di mettersi dritto con la testa e sistemarsi di nuovo i capelli.

Mi guarda e sbuffa aria bollente dal naso. «Bella la vita laggiù, eh!»

«Ehy!», rimprovero fingendomi proprio indignata. «Potrei offendermi! Non è affatto carino!»

«Perché, vederti ridere di me ti sembra carino?! Sono bersagliato dagli alberi e tu ridi!»

Senza riuscire a frenarmi, rido ancora e ancora, stavolta assieme a lui. Le nostre risate si mischiano nell'aria, con la sola interferenza di un paio di auto che sfrecciano lungo la strada.

Quel sorriso spontaneo illumina il viso di Aidan ancora più di quanto non riesca a fare il sole malato di oggi. Il calore di mezzogiorno filtra appena dal manto di nuvole che soffoca il cielo.

Un colpo di vento proveniente dal Winding River ci sferza addosso, pungente e umido, mentre proseguiamo. Nascondo subito mezza faccia dietro la sciarpa, affondo le mani nelle tasche del montgomery, le punte dei piedi mi si gelano dentro gli stivali. Aidan invece non si scompone minimamente. La giacca di pelle imbottita che indossa è pure aperta sulla sola maglia bianca.

Sbatacchio le palpebre e lo fisso, a metà tra l'ammirazione e l'incredulità. «Ma non hai freddo?»

Lui spinge gli angoli della bocca verso il basso e scuote la testa, tutto fiero della sua tempra britannica. «Non più del solito. Tu sì?»

Inchiodo subito i passi sul marciapiede per fargli cenno di guardarmi da testa a piedi. Ho il berretto bianco calato sui capelli, la sciarpona attorno al collo e alle spalle, il giaccone lungo sino alle ginocchia e i jeans pesanti.

«Ti mancano i guanti, Mediterranean Eskimo.» Aidan mi punzecchia e si mette a ridere, con quella voce morbida e quello sguardo dolce che mi incantano.

È così bello, soprattutto vestito così. Il bianco esalta le sue spalle larghe e robuste, il suo torace ampio, la sua carnagione tanto chiara, la barba biondiccia di qualche giorno che gli incornicia le labbra...

Il frastuono di un furgone che passa lungo la via a gran velocità mi fa scuotere all'istante. Spalanco gli occhi non appena mi rendo conto di essere rimasta a fissargli le labbra per davvero troppo tempo e ad una distanza davvero troppo ravvicinata.

Ancora fermo a qualche passo da me, Aidan continua a sorridere. Si gratta il sopracciglio col pollice e credo proprio mi abbia notata.

Dannazione.

Deglutisco, avvampo e distolgo subito lo sguardo. Lo punto a terra, alle foglie secche, alla punta dei miei biker, alla linea perfetta del marciapiede... ovunque, basta che non sia lui. Stringo i pugni dentro le tasche e non capisco come sia possibile avere i palmi sudati e le dita congelate.

Il mio cuore martella così forte, più forte ad ogni movimento nevrotico che faccio. Mi sento così agitata e confusa, così imbarazzata e... così accaldata. Un turbinio di pensieri assurdi e sensazioni troppo intricate mi assale.

Perché dico a me stessa di desiderare la spontaneità se quando poi mi coglie non faccio altro che sopprimerla e condannarla?

Perché continuo a perdermi in questi momenti tra me e Aidan se mi ripeto che non sono altro che illusioni temporanee?

Raggiungo il bordo del marciapiede, con fare automatico getto un'occhiata svelta e distratta ad entrambi i lati e sto per attraversare quando una mano mi afferra il gomito, tirandomi indietro.

«Demi, dove stai andando? La stazione è di qua.» Le dita di Aidan stringono un po' attorno al mio braccio.

Merda.

«Ah.» Butto giù un groppo d'impaccio e solo adesso faccio caso a dove siamo. Non ho idea di dove stessi andando. «Giusto, sì, mi sono confusa...» Distratta e rimbambita sarebbe più azzeccato.

Aidan trattiene una risata, osservandomi con uno sguardo decisamente compiaciuto e divertito. Sì, molto divertito, ma anche dannatamente dolce. «Ma non avevi detto di conoscere la strada?»

«Mi sono solo distratta un momento! So benissimo che la stazione si trova a sinistra!»

«A destra.», mi corregge.

«È uguale! Si trova lì, e lo so!»

Lo ascolto ridacchiare mentre riprendo a marciare verso il cavalcavia, un po' nevrotica e buffa di sicuro. Vorrei sotterrarmi, potermi nascondere per l'eternità da qualche parte, eppure l'idea che Aidan stia sorridendo per ciò che è appena successo fa sorridere me di rimando.

Le villette che costeggiano la strada sono bellissime, tutte costruite di mattoni, strette una sull'altra, con finestre ampie e lunghi comignoli. Ci sono scorci di questo paese che davvero riescono a sorprendere, come se il tempo in alcuni anfratti si fosse fermato.

La curiosa cascina dipinta d'un rosa principesco mi fa capire che siamo arrivati davvero. Gradino dopo gradino, scendo la scalinata facendo scorrere le dita sulla vernice gialla e scrostata del parapetto gelido. Racimolo gli spiccioli necessari mentre Aidan preme le dita sul monitor della biglietteria automatica.

«Grazie...», mormoro, godendomi il sorriso che fa quando mi mette il biglietto di andata e ritorno tra le mani.

Raggiungiamo insieme la linea gialla sul bordo della banchina e approfitto dello sguardo con cui Aidan scruta i presenti per lasciar vagare anche i miei occhi attorno. La stazione di Lotford è davvero piccola, un po' desolata nonostante i cartelli, le pensiline e posti a sedere dipinti di blu. Oltre a noi, ci sono due amiche sulla banchina opposta che provano ad ignorare i commenti discutibili di un trio di ragazzi dagli occhi infossati e l'aria poco raccomandabile che stanno aspettando il mio stesso treno. Sembrano ubriachi, o forse strafatti.

Un brivido raggelante mi attraversa la schiena e, come lo avesse percepito in qualche modo, Aidan si fa subito più vicino a me. Le sue spalle sono tese sotto la giacca e il suo sguardo torvo si stacca lentamente dai tre che continuano a schiamazzare e biascicare complimenti disgustosi e battute fastidiose.

«Andiamo a prendere la mia auto, in un quarto d'ora sarai con le tue amiche.»

Più che una proposta, quella di Aidan sembra un ordine. Sollevo il mento per incrociare i suoi occhi e un poco mi smarrisco. Quell'azzurro limpido e quella macchietta castana sono così vicini, così vividi, mentre guardano proprio me.

«Non c'è bisogno. Il treno sta arrivando e abbiamo già fatto il biglietto...», dico piano per provare a rassicurarlo. «Ci sarà tanta altra gente lì dentro, e poi starò attenta, non ti preoccupare.»

«Certo che mi preoccupo.»

Sbatto le ciglia un paio di volte di fronte alla decisione e alla fermezza con cui pronuncia quella frase. Un piacevole colpo al cuore mi fa sorridere all'improvviso.

«Non devi. Vado solo a Crewe e torno.», soffio verso di lui.

«Posso venire a prenderti io dopo. Alle cinque fa già buio.»

«Non farò troppo tardi, Aidan. Promesso...»

Aidan serra la mandibola, in palese disaccordo.

Mi umetto le labbra e, togliendo il volume ai miei pensieri, scendo con lo sguardo al suo petto. Lo vedo respirare profondamente sotto quella maglia bianca e spessa. Sfilo le mani dalle tasche e, molto piano, già tremante, le poso sulla pelle imbottita della sua giacca aperta. Sfioro coi polpastrelli le cuciture attorno alla cerniera col cuore che batte all'impazzata.

«Devi coprirti. Non vorrai ammalarti proprio adesso che hai trovato il lavoro dei tuoi sogni, no?»

Stringo il cursore tra l'indice e il pollice e, lentamente, lo faccio risalire proprio come risale anche il mio sguardo. Seguo i movimenti inesorabili della mia stessa mano, notando la giacca nera chiudersi attorno a lui, centimetro dopo centimetro.

Il pomo d'Adamo di Aidan affonda pesantemente. Con le labbra schiuse mi fissa dall'alto, senza dire una sola parola. Non mi chiede di fermarmi, neanche cerca di impedirmi di farlo. Su quei suoi lineamenti mascolini e belli non c'è più l'orgoglio divertito e baldanzoso di poco fa. Ci sono altre emozioni che non riesco a riconoscere – forse sorpresa, forse confusione.

Sotto quel suo sguardo intenso, mi sento sorpresa e confusa pure io.

Il fischio del treno risuona da lontano e la voce meccanica dell'annuncio ne preannuncia l'arrivo in stazione. I vagoni frenano a fatica la loro pesante mole, portando aria fredda che puzza di metallo e di lubrificante industriale. Le porte si aprono, qualcuno scende. Allontano lentamente le mani dalla sua giacca prima di avvicinarmi e salire.

«Per qualsiasi cosa chiamami, OK? Terrò il cellulare vicino.»

«OK.» Gli sorrido con le guance arrossate e il cuore impazzito.

Aidan tiene lo sguardo ancorato a me finché le porte non si chiudono di nuovo tra noi. Sembra irrigidito, sempre premuroso.

«Fai attenzione alle teste di cazzo.», mima con le labbra mentre il treno riparte lento.

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