7 - Demetra

Dove mi trovo?

Non ci sono suoni né scorgo qualcosa. È tutto buio.

«Demi...» Non è una voce familiare quella che sento eppure ha qualcosa di conosciuto. Scavo nella mia memoria, anche se non so dove cercare. «Demi, girati.»

Lo ascolto, mi giro e chi mi trovo davanti è qualcuno senza volto. Un'ombra scura mi impedisce di scorgere i suoi lineamenti.

«Non mi toccare!», urlo quando allunga una mano verso di me.

Si ritrae sconvolto. Si arrabbia. «Lo sai anche tu che, prima o poi, crollerai! Tutte queste mura di sabbia che hai costruito intorno a te cadranno!»  

Le lacrime cominciano a scendere calde lungo le mie guance. Come faccio a farle fermare?

Il viso avvampa. I palmi sono umidi di sudore. Strizzo gli occhi tanto forte da sentire le palpebre fare male. «Non ti voglio ascoltare! Lasciami stare! Lasciami andare!» 

La credenza di legno è sporca, impolverata e vuota. Proprio come quella cornice da foto che non abbiamo mai riempito.

«Finiscila di parlarmi così!», tuona d'un tratto una nuova voce, una che conosco bene. «Non ti devi azzardare a toccare le mie cose! Mai! MAI! Devi starmi lontano!»  

Apro gli occhi e mi si mozza il fiato.

Riconosco anche la stanza: c'è il tavolo tondo col centrino di pizzo che ha fatto la nonna, il divano giallo macchiato di sangue che non va più via.

«Devi smetterla! Ti prego, ascoltami!» Mi sento urlare. Le ginocchia tremano.

«Non me ne frega un cazzo di ciò che pensi io debba fare!»

«Perché fai così? Perché vuoi lasciarmi indietro? Non farlo. Ti prego, non farlo...» Le lacrime mi bagnano le labbra.

«Non devo spiegazioni a te di quello che faccio!» 

«Parlami! Insieme possiamo farcela! Spiegami!»

«Non ho spiegazioni! Non ci sono buone ragioni - nemmeno tu lo sei! Quindi vattene! Smettila di starmi intorno! Smettila di farmi incazzare!» Il pugno che scaraventa contro il tavolo distrugge tutto: quella cornice, la nostra infanzia e il nostro futuro. 

«Le cose non cambieranno! Devi fartene una ragione!» Tento di urlare, percepisco le mie labbra muoversi, ma la voce che ascolto non è la mia: è quella di Marzia. 

Un altro pugno libra nell'aria che si fa sempre più cupa. Un rumore di vetro in frantumi mi penetra nelle orecchie, come schegge nella pelle. Sento un urlo, e questa volta sembro io.

L'alone scuro che copriva quel volto ora si spande, mangia la stanza, mi avvolge e non riesco a togliermelo di dosso.

D'un tratto, un sibilo senza provenienza: «Te l'ho detto che gli piaci.» 

Un rumore di passi si fa sempre più lontano, qualcuno sta andando via da me. Come accade sempre.

«Aspetta! Non te ne andare!»

Quelle spalle non si girano neanche. Va avanti come se neanche sentisse le mie grida.
Anche lui so chi è.

«Dovevi usare meglio il tuo tempo, te l'ho sempre detto. È solo colpa tua se ho smesso di amarti.» 

«Colpa mia...?», mugolo.

«Ripensandoci, falsa come sei, come attrice te la caverai alla grande!»

«Perché continui a rinfacciarmelo?» Piango e sbraito. «Volevo solo non essere me per te! Ma tu non mi avresti voluta, in nessuna versione di me...» Le ginocchia smettono di tremare, il cuore non batte più e sprofondo nel veleno dello sguardo che neanche mi rivolge. Corro, e non so perché. I capelli si muovono al vento, ho il fiatone, le gambe si fanno stanche e pesanti, indolenzite... eppure non mi sono mossa dal mio posto. «Io non voglio essere me!» Corro e piango.

Continuo a correre.

Continuo a star ferma.


Apro gli occhi di scatto. La schiena è madida sotto la maglietta, le lenzuola ancora strette nei pugni. La presa è talmente forte da sbiancare le nocche. Il cuore mi scoppia nel petto, il sudore mi rinfresca il viso che sento ribollire.

Era solo un incubo.

Prendo un respiro profondo e tento di calmarmi. Apro di più la finestra poi scivolo di nuovo sotto le coperte, senza riuscire a riprender sonno. Ho troppa paura di trovare di nuovo quelle immagini, quei volti sconosciuti e neri. Erano sconosciuti perché non ho visto i loro lineamenti ma credo di sapere chi fossero.

Mi lascio andare ad un sospiro e mi giro su un fianco. La brezza pungente del primo mattino mi accarezza la pelle. Tiro le lenzuola quel tanto che basta per coprirmi le spalle e il cuore e resto lì, tra caldo e freddo, sogno e realtà, commiserazione e pentimento.

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