65 - Brett

«Stai scherzando?!»

«Dico sul serio! L'avete colpito!»

Muovo lo sguardo da Leo a Basil, con le mani che tremano al punto da far colare sul cartone la mozzarella con le fette di salame dal mio trancio di pizza.

«Ha registrato la vostra esibizione ma non si è avvicinato perché voleva prima confrontarsi con la compagnia teatrale per cui sta facendo scouting.», continua, masticando con una certa spavalderia.

«La compagnia teatrale?» Aidan aggrotta subito le sopracciglia.

«Sì. Pare fossero alla ricerca di musicisti per uno spettacolo da portare in giro per la contea. È un musical con brani rock, qualcosa come The Horror Show¹... E se ingrana, c'è anche la possibilità della tournée nazionale!»

La smorfia esaltata di Basil fa da contorno agli sguardi che noi quattro ci scambiamo. Mi giro a cercare Leo, Greg e Aidan, non troppo sicuro di ciò che sto ascoltando. Immobili e ammutoliti sulle nostre sedie di plastica, boccheggiamo con gli occhi sbarrati. Le lattine di birra rimaste a mezz'aria, le pizze che gocciolano sugo, olio e condimenti.

Sta davvero dicendo quello che credo?

«Stai dicendo che... siamo stati presi?» Leo balbetta.

«I produttori, la regista e il direttore artistico vogliono organizzare un incontro per conoscervi.» Basil temporeggia, prendendosi un goccio di birra in più. «Giudicandovi dai video, hanno detto che sembrate giovani promettenti, appassionati e dalla spiccata sensibilità musicale, che è proprio ciò che vogliono. Praticamente siete già con un piede dentro!»

«Papà, dillo chiaramente!» Aidan stringe il bordo del tavolo tra le dita. La voce roca, soffiata a denti stretti. Sta fremendo, proprio come me. «Sono interessati a noi con serietà: sì o no?»

Basil scoppia a ridere. «Sì! Dovete solo suonare per loro, mostrare ciò che sapete fare ed è fatta! Ragazzi, è fatta! Vogliono voi!»

Vogliono noi.

Vogliono proprio noi.

Mi manca il fiato. Qualcosa mi trabocca dentro.

Greg scuote la testa e ride allo stesso tempo, un po' isterico. «Non è possibile! È possibile?!»

«Lo è, cazzo! Lo è! È vero!», urla Leo con la lattina di birra che schizza sul pavimento ma non frega niente a nessuno.

Balziamo in piedi come molle.  Ridiamo e urliamo, piangiamo e ci abbracciamo in un delirio elettrizzante.

Ce l'abbiamo fatta.

Ce l'abbiamo fatta sul serio, cazzo, dopo tutte le delusioni e le batoste, dopo tutto l'impegno e la maledetta sensazione di non aver fatto altro che perdere tempo.

«Teatri, tremate! Gli Extra Mile stanno arrivando!»

«Musicisti di musical! Quanto fa figo?!»

«Tanto! E vaffanculo a tutti quelli che c'hanno scartato!»

«VAFFANCULO!», sbraitiamo in coro, ridendo già ubriachi, non di birra ma di incredulità.



Mezz'ora dopo siamo ancora lì, tutti attorno a quel tavolo, a tracannare birra e cantare a squarciagola un'ode al talent scout.

Non sono stati pochi i giorni in cui ci siamo sentiti inetti, coglioni o troppo fantasiosi. Abbiamo tentato e ritentato, fallito, riprovato e fallito un'altra volta. Abbiamo trascorso gli ultimi anni a prendere consapevolezza di quanto ormai sembrasse impossibile poter inseguire il proprio sogno, o anche solo sperare di poterlo fare, accontentandoci anche delle piccole cose perché tanto bastava a renderci più felici. Non abbiamo fatto altro che sopravvivere in bilico precario tra ciò che andava fatto e ciò che invece avremmo voluto fare.

Non è stato facile dire addio alla School of Music di Manhattan ma non lo è stato nemmeno perdere Dana e vedere Leo piangere la morte di suo fratello, a chilometri e chilometri di distanza. La vita si è imposta su di noi, davvero bastarda. Proseguiva imperterrita, facendo scorrere il tempo e gli anni, uno dopo l'altro, che noi fossimo pronti al mondo degli adulti o meno, che noi avessimo o no i nostri strumenti accanto.

Abbiamo vissuto così, nuotando con un braccio per rimanere a galla mentre l'altro tratteneva il bagliore idiota di un sogno, e non è facile rimanere ancorati a qualcosa che vale tutto per noi e niente per il mondo. Forse, finalmente, riusciamo ad intravedere la riva... e io davvero ancora non ci credo.

«Questo è anche merito tuo, Basil...»

Annuisco. «È vero. Greg ha ragione.»

«Oh, mi fa piacere! Lo sapete che ho sempre pensato che foste un buon investimento, e io ho sempre avuto buon fiuto per questo genere di cose!» Non capisco se nello sguardo divertito di Basil ci sia anche la speranza che qualcuno gli dica che, nonostante tutto, è stato un bravo padre ad impegnarsi tanto e a credere in noi.

A quelle parole, punto subito gli occhi su Aidan. Ha sollevato le sopracciglia un momento in un'espressione che subito prova a risistemare. Lo conosco da troppo tempo e troppo bene per non capire che, anche lui come me, ha percepito la voce di Dana rimbombargli nella testa.

Con quei suoi capelli a spazzola, il pizzetto sale e pepe e gli occhi castani, Basil ha mille ruoli in questa storia. È il padre di Aidan e Dana, è la persona che ha messo in difficoltà e quasi distrutto una famiglia intera, per qualche anno è stato ciò che potrei definire un "suocero" e ora anche colui che, più di altri, ha insistito affinché non smettessimo di suonare.

Non è mai stato semplice avere a che fare con lui. Ascoltare ciò che ha fatto fa pensare che sia una testa di cazzo, ma vedere tutto ciò che ha smosso per noi negli ultimi tempi fa ricredere, su parecchie cose, perché non ha mai smesso di desiderare per noi ciò che noi stessi sognavamo. La ristrutturazione dello scantinato dell'Institute per farne una sala concerti dove farci esibire, l'organizzazione di contest e serate per farci conoscere, i contatti presi con chiunque capitasse a tiro per farci partecipare alle audizioni.

Un carico ambivalente, quello che pesa sul nostro rapporto con Basil, e credo la situazione sia appena diventata ancora più intricata – soprattutto per Aidan.

Lo osservo, seduto sul bracciolo del divano mentre controlla il cellulare per l'ennesima volta. Credo di capire come si sente in questo momento, più leggero e spensierato ma ancora con le catene ai piedi. Si ritrova a dover rendere conto al suo entusiasmo, alla gratitudine quanto ai suoi ricordi... e anche a Dana.

Non scorderò mai tutte le serate passate sul divano ad ascoltarla sfogarsi d'un padre assente e del tutto focalizzato su altro. Non scorderò le volte che ho baciato via le sue lacrime né quelle in cui mi chiedeva se sarebbe mai stata capace di liberarsi della rabbia e della delusione, se sarebbe mai riuscita a comprendere che avere un padre distante è meglio che non averlo affatto.

Se è diventata così severa col mondo e con sé stessa non è solo a causa di Basil. È anche colpa mia.

Se l'ho persa e la nostra relazione si è sfaldata è solo perché non le ho concesso l'onestà che meritava, non l'ho tenuta in considerazione come invece avrei dovuto fare. Non le ho detto che quel fottutissimo concorso ci avrebbe potuto portare negli Stati Uniti, e quando l'ha scoperto, dal riverbero del microfono del presentatore sul palco, tutto s'è fermato e la Terra stessa ha smesso di girare.

Non sono riuscito a dirglielo perché sapevo che non avrebbe mai accettato neanche l'idea di partecipare e basta, per sfizio personale. Quell'occasione per me e i ragazzi sembrava irrinunciabile, e credevo sul serio che il nostro amore avrebbe resistito, alla mia omissione così come alla distanza. Era un cambiamento radicale, e avrebbe riguardato me quanto lei ma io l'ho ignorato. Solo quando mi ritrovai con i biglietti aerei in mano, capii di essermi comportato esattamente come fece Basil quando lei era piccola. Aggrappandomi a ciò che volevo senza curarmi delle possibili conseguenze, l'ho messa in secondo piano.

Dana si sforzò con tutta sé stessa per perdonare ciò che ha portato me e Aidan a mentire, ma non ci è mai riuscita. Non mi sono mai perdonato neanche io.

Come avremmo mai potuto continuare ad essere ciò che eravamo stati fino a quel momento, se tra noi ormai c'erano l'oceano, la delusione e la convinzione di esser stata una pedina di poco conto nella mia vita?

Sono passati anni, ed è così stupido pensarci ancora, eppure non c'è giorno in cui non pensi a lei e mi chieda come saremmo adesso se fossi stato migliore e non le avessi spezzato il cuore.


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¹The Rocky Horror Show, musical scritto da Richard O'Brien e diretto da Jim Sharman, 1973

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