64 - Demetra

Le fiamme vivaci dentro il camino ci scaldano mentre la serata scorre attorno al tabellone del Gioco dell'oca. Seduta di nuovo sul tappeto, sorseggio la mia cioccolata calda e seguo la manina cicciottella di Ben muovere la sua papera rossa. Sto perdendo miseramente perché la mia, di papera, è caduta nel pozzo e nessuno dei due mi può più salvare. Morirò in fondo al pozzo, starnazzando sconsolata. Che fine tragica mi spetta...

«E adesso?! Ho superato Demi! Non può più uscire!» La sua vocina squillante, tutta preoccupata, mi fa sorridere.

«E adesso le facciamo tirare un dado anche se è contro le regole.», fa Rose portandosi il suo tè alle labbra.

«Sì!» Ben esulta. «La mia oca torna indietro e passa una corda alla tua, così può arrampicarsi e tornare su!» Fa anche zampettare la sua pedina sul tabellone per raggiungere la casella del pozzo.

Rose e io ridiamo di cuore, osservandolo interpretare il salvataggio e il ritrovamento affettuoso della papera rossa con quella gialla – la mia, quella dalla tragicomica esistenza. Guardandolo meglio, mi accorgo della chiazza di cioccolata che che ha sotto l'orecchio.

«Ma come hai fatto a farti finire la cioccolata tra i capelli?»

Recupero un tovagliolo dal tavolino, mettendomi a sfregare via quella macchia mentre lui ride. Non si ribella affatto, mi lascia fare nonostante sia poco più che una sconosciuta.

Aiutata dalla luce del fuoco, cerco di pulirlo meglio che posso. Strofino il fazzoletto anche sui capelli della nuca con un sorriso che non riesco a trattenere.

L'espressione dolce di Rose restano su di noi tutto il tempo, ci osservano con la stessa pazienza e la stessa serenità di una nonna che si sente circondata di vita. La coperta ancora le scalda i piedi, la tazza fumante annebbia appena il suo sorriso.

«Ecco, abbiamo tolto la cioccolata ai tuoi capelli perché ne avevano già mangiata troppa...!»

Appallottolo il tovagliolo sporco tra le dita, ma qualcosa dello sguardo con cui Ben mi sta fissando mi colpisce. Sembra più malinconico adesso, più curioso e attento.

«Tu ce l'hai la mamma?»

Deglutisco all'improvviso, sentendo il mio cuore frenare. Cerco subito Rose, il divertimento nella sua espressione già svanito.

«Sì...»

«E dov'è? È lontana?»

«Sì, è lontana. Lei è in Italia.», rispondo con un po' di timore.

«E quanto tempo ci vuole per arrivare in Italia?»

«Un po', serve l'aereo per arrivarci.»

Ben si zittisce e torna a guardare il tabellone.

Raddrizzo la schiena e cerco la complicità e il sostegno di Rose una volta di più, proprio un attimo prima che lui riprenda a parlare.

«Anche la mia mamma è lontana, però lei sta in paradiso e non ci sono aerei per andare lì.»

Rose sistema meglio le gambe, scostando la coperta, quasi si stesse preparando a prenderlo tra le braccia.

Quanta tristezza insanabile e troppo amara per un bambino così piccolo... Nella sua testolina dovrebbero esserci giochi e filastrocche, e non il pensiero di un aereo che non porta in paradiso.

Un po' mi pizzica il naso mentre osservo quel visetto paffuto, quel suo distrarsi facendo fare alle pedine colorate qualche salto sulle caselle.

Deglutisco, facendomi un po' più vicina a lui. «Credi che... essendo in paradiso... la tua mamma sia davvero lontana da te?»

Subito mi sento in colpa perché non so che sto facendo né se ho sbagliato a parlare. Non voglio che pianga a causa mia, ma neanche voglio farlo sentire inascoltato. Come ci si comporta in queste situazioni? È meglio puntare su una sincerità più adulta o su una fantasia più infantile?

I suoi occhioni sono lucidi quando si gira verso di me. Sembrano lacrime miste a curiosità.

«Credo di sì, perché lei è lì e io sono qui...»

«È vero...», balbetto. «Il paradiso è un luogo particolare però, perché le persone che ci vanno non si allontanano mai davvero da coloro che amano...»

«Davvero?»

Con ancora qualche alone di cioccolata attorno alla boccuccia, Ben continua a guardarmi. Lui con speranza, io con timore. Persino Rose non sposta l'attenzione, col suo tè ancora tra le mani e le labbra tese in una smorfia rammaricata.

«Ci credi negli angeli?»

Fa spallucce sotto la sua maglietta bluette. «Non lo so, non ne ho mai visto uno... Sarebbe bello se la mia mamma e il mio papà fossero angeli...»

«Sai, le cose più belle al mondo non sono visibili con gli occhi... e neanche si possono toccare con le mani.» Mi schiarisco la voce. «Pensa al bene che vuoi a Zio Leo e ai tuoi nonni, all'amicizia con i tuoi compagni di scuola, all'affetto che io e Rose proviamo per te: sono cose importanti e belle, vero?»

«Sì...», mormora lui, col faccino tondo e confuso.

«E si possono vedere queste cose? Puoi toccare tutto il bene che vuoi alle persone?»

Lui ci pensa su per un lungo momento, poi balza in piedi, già più allegro, con un sorriso gigantesco. «No!»

«Esatto! Quando vuoi bene a qualcuno riesci a sentirlo nel cuore anche se non è qualcosa che puoi toccare. Lo sappiamo tutti che l'amicizia esiste, giusto?»

«Giusto!»

Ben sembra quasi pendere dalle mie parole, e ho l'impressione di esser stata raramente così agitata in vita mia. Le mani mi stanno sudando tantissimo.

«La stessa cosa vale anche per gli angeli, magari! Forse non possiamo vederli, ma esistono e sono sempre accanto a noi, per proteggerci e non lasciarci mai da soli...»

L'aria sognante in quegli occhi scuri mi scalda il cuore. Si siede sulle mie gambe incrociate, le nostre due pedine ancora tra le dita.

«Quindi la mia mamma e il mio papà sono andati in paradiso e sono angeli che stanno con me anche se io non li vedo? Anche adesso? Qui?»

Annuisco piano, avvolgendolo in un abbraccio. «Sì, io dico di sì!»

Finalmente torna a sorridere anche lui.

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