61 - Aidan

Aiutato dalla torcia del cellulare, appendo la giacca all'ingresso e saluto Shar. Non è troppo tardi, anche se lo è abbastanza per prevedere che mia madre, Tom e Dana stiano già dormendo.

Ho passato l'intera giornata fuori casa. In qualche modo, alla fine, mi sono addormentato. Mi sono svegliato che l'ora di pranzo era passata da un pezzo e di Leo non c'era più alcuna traccia. Tom l'ha portato in stazione, così mi ha detto. Dopo solo un caffè, mi sono messo in macchina diretto verso Manchester. Avevo bisogno di guidare e schiarirmi le idee, e quella città di insenature e canali, di cattedrali gotiche e grattacieli di vetro, sapevo mi avrebbe confortato. Ho camminato a lungo per i viali del Peel Park, costeggiando la biblioteca pubblica e il fiume Irwell fino ad arrivare all'Institute.

Nonostante non sia la prima persona da cui andrei in cerca di consiglio, passare la giornata con mio padre credo abbia aiutato a pensare ad altro. Non gli ho parlato né di Demetra né di Leo ma mi sono lasciato distrarre volentieri dall'annuncio che mi ha mostrato, di un monolocale in affitto proprio nei pressi del pub. Verso le cinque è arrivato anche Stuart a dargli manforte, insistendo su quanto sarebbe utile per me potermi trasferire a Manchester, in una realtà più grande e con possibilità maggiori rispetto a quelle che Lotford o Crewe possono offrire.

Adoro quella città, racchiude in sé parte della mia storia, mi affascina, e probabilmente è vero che saprebbe darmi più chance. Lasciare casa però, e tutto ciò che ho qui, non sarebbe una scelta semplice...

Quando giro l'angolo del corridoio per andare in bagno, mi sorprendo di trovare una sottile lingua di luce provenire dalla camera di Dana. Mi avvicino alla porta socchiusa, senza far rumore, dando un'occhiata all'interno.

Se ne sta seduta sotto le coperte, a leggere Ragione e Sentimento. I suoi occhi azzurri si muovono veloci lungo le righe di quel libro dalla copertina consumata, lo stesso che legge sempre quando è confusa e malinconica, quando cuore e mente hanno ricominciato a lottare. È come se considerasse quel libro di Jane Austen la sua Bibbia personale, la trascrizione enigmatica di una possibile soluzione, il racconto delle spiegazioni di cui ha bisogno. Ogni volta lo prende dalla mensola, scegliendolo subito fra tanti, e ormai lo so quanto Dana speri di trovare anche il suo lieto fine tra quelle pagine.

«Che ci fai ancora sveglia?», mormoro bussando prima di schiudere di più la porta.

Subito smarrita e sorpresa, solleva lo sguardo arrossato e provato su di me. «Non ti ho sentito arrivare!» Si affretta ad asciugarsi l'alone lucido sotto gli occhi, e chissà se è per la lettura e i suoi pensieri o per la stanchezza della giornata.

«Ho bussato...!» Sorrido e batto di nuovo le nocche sulla porta, piano piano, solo per giocare.

Dana deglutisce. «Sì, lo so...»

«Quindi?», incalzo sottovoce facendomi avanti nella stanza. «Che ci fai ancora sveglia?»

«Niente, non riesco a dormire.»

«Come mai?»

«Pensieri.» Scuote la testa, come fosse un argomento di poco conto. Non lo vuole affrontare. Lo sapevo, la Austen non mente mai. «Tu dove sei stato? Con i ragazzi da qualche parte?»

«No, non sono stato con loro.» Le schiocco un bacio tra i capelli, poi mi siedo ai piedi del letto. «Papà ti saluta.»

La malinconia che sembrava dominare su mia sorella si trasforma all'istante in inquietudine. Si fa più rigida sotto la maglia grigia del pigiama. «Sei stato tutto il pomeriggio con lui?»

«Sì.»

«Perché? Te l'ha chiesto lui?»

Prendo un respiro profondo, già spaventato dall'intenzione che ho di essere onesto. «No, avevo solo voglia di allontanarmi da Lotford per qualche ora. Ho aiutato un po' in magazzino e poi abbiamo parlato di un monolocale in affitto, proprio accanto all'Institute...»

«E quindi?», soffia acida, mollando il libro all'improvviso.

«Quindi cosa?»

«Quindi chi se ne frega del monolocale in affitto! Non ti interessa, no?»

«Potrebbe essere interessante, in realtà. Lo sai che Manchester mi piace.»

«Hai intenzione di prendere in considerazione l'idea di... trasferirti?»

Scrollo le spalle, sviando dai suoi occhi solo per un istante. «Non proprio adesso, magari prossimamente... Perché no?»

Dana sgrana gli occhi come se l'avessi appena pugnalata a morte. Immobile, sembra quasi aver smesso di respirare. «Stai dicendo che... ti piacerebbe andare a vivere con nostro padre?»

«No, sto solo pensando che, finita l'università, Manchester potrebbe essere un'occasione più ricca di Crewe. Non mi sembra così insensato...»

Nostro padre, la musica e Brett: questi sono i campi di battaglia su cui io e Dana continuiamo a scontrarci, e non è una guerra destinata a finire. Possiamo essere complici in molte occasioni, ma sulla sua storia con Brett, sulla mia passione per la musica e la presenza di papà nelle nostre vite non c'è possibilità di compromesso né di resa.

Nervosa e suscettibile, getta via la coperta con violenza e persino Ragione e Sentimento cade a terra. Incrocia le braccia e mi si piazza davanti, provando a torreggiare su di me. «Come pensi che mamma prenderà questa notizia?»

«Non lo so. Quando glielo dirò, lo saprò.» Raccolgo il libro e lo mollo tra le lenzuola, con la rabbia che comincia a montare. Mi brucia i palmi, mi fa serrare i denti. Non so cosa mi stia prendendo, ma in questi ultimi giorni la buona volontà di essere sempre comprensivo e l'infinita pazienza che credo di avere stanno venendo meno. «Spero in maniera meno melodrammatica di te...»

«Melodrammatica?! Come posso accettare l'idea che mio fratello se ne vada di casa per trasferirsi dal padre che l'ha abbandonato?!» Dana mi fulmina. Pesta con forza il tappeto col piede scalzo manco ci fossi io là sotto. «Ci ha lasciati, Aidan, per uno stupido locale da ubriaconi!»

Sbuffo aria bollente dal naso, spostando lo sguardo verso il muro. «Ti ripeto che non ho alcuna intenzione di trasferirmi da lui.»

«Ma vorresti vivere a Manchester! Dove sta lui!»

«Sì, nostro padre vive a Manchester e Manchester sta in Inghilterra! Che facciamo, Dana, emigriamo?!», esplodo con voce più alta di quella che intendevo usare.

«Ma che cos'hai contro di noi, si può sapere?! Che ti ha fatto di male questa casa?!»

Stringo i pugni, la mandibola serrata. Osservo Dana in piedi davanti a me, con quel suo solito sguardo intransigente e giudicante, pronta a scagliarmi addosso tutte le armi a sua disposizione. Lo scopo? Farmi sentire una merda. È sempre stata un'esperta in questo.

«Smettila di fare così.», la prego aggrappandomi all'ultimo rimasuglio di empatia che mi resta. «Non ho niente contro di voi né contro questa casa.»

«Allora perché cerchi di continuo scuse per andartene? Perché vuoi sempre scappare?»

«Dana, non puoi pretendere che rimanga confinato qui per il resto della vita!» Corrugo la fronte, senza staccare gli occhi dai suoi. «A ventisette anni mi sembra normale pensare a ciò al futuro! Se tu a trenta ancora non ci pensi, non è un problema mio!»

Deglutisce, la sua postura tanto rigida trema un po'. «A differenza tua, io non sento il bisogno di scappare dalla mia famiglia! E se anche volessi trasferirmi, di certo non andrei nella cazzo di città in cui sta nostro padre!»

Seduto sul letto, seguo gli occhi agitati di Dana saettare ovunque per la stanza, in cerca di qualcosa da guardare che non le faccia ribrezzo come me.

«No, certo che no, Dana! Perché tu non sei come me, vero? Tu sei così perfetta, così assennata!», ribatto con sarcasmo. Cambio subito espressione e tono, il sangue ribolle. Provo rabbia. Provo delusione. «Dillo, cazzo! So che non vedi l'ora! Dillo!»

«Sei egoista!», sbotta subito, il viso paonazzo e lo sguardo infuriato di chi non aspettava altro. «Irresponsabile, avventato, menefreghista! C'è qualcosa di buono in quella tua cazzo di testa?!»

«Oh, finalmente...!» Ansimo fastidioso, fingendo sollievo. «Irresponsabile, avventato, menefreghista... Manca ancora qualcosa, sorellina. Hai dimenticato di menzionare la cazzo di macchia marrone del mio occhio!», sbraito all'improvviso. Scatto in piedi, il letto cigola per la pesantezza e l'ira che ci metto. Mi avvento su Dana puntando con le dita i miei stessi occhi con un gesto isterico. «È la prova della mia dannazione, giusto? La cazzo di dimostrazione che sono figlio di mio padre, la sua eredità bastarda in me!»

Dana resta immobile e incontrastata con le braccia strette lungo i fianchi. Il mento che punta in alto per riuscire a guardarmi. Adesso torreggio io su di lei. «Se ti dà tanto fastidio essere paragonato a nostro padre, allora piantala di comportarti come lui!»

Non è vero che somiglio a nostro padre, cazzo. Non sono affatto come lui.

Non ho mai accettato il male che ha fatto a nostra madre. Non ho mai superato la maniera in cui abbiamo vissuto a causa delle sue scelte né la delusione che ho provato tutte le volte che prometteva di venirci a prendere a scuola, lasciandoci lì ad aspettarlo e poi ricevere scuse perché se n'era dimenticato. Che razza di padre è uno che si scorda dei propri figli?

Era impegnato, troppo per pensare anche a noi. Doveva sempre fare questo per il locale o quest'altro con Stuart o quell'altro per chissà chi. Tutto è sempre stato più importante di noi, e qualsiasi cosa era meglio che tornare a casa. Non posso scordare tutta questa merda, e il fatto che, crescendo, abbia cercato di mantenere un rapporto civile con mio padre non significa che minimizzi il dolore e le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare per colpa sua. Dana non lo capisce, mi condanna e mi colpisce, ogni cazzo di volta, lì dove sa che può farmi male.

«Non sono come lui.», scandisco bene, affinché le si ficchi in testa una volta per tutte. Il tono mi esce talmente roco da farla deglutire.

«Ah, no?!» Solleva il mento per sfidarmi, ancora e ancora. «E il capriccio della musica allora? L'America? Demetra? Ora pure un fottutissimo monolocale a Manchester! Perché dev'essere sempre tutto senza il minimo senso con te?!»

Improvvisamente quello che deglutisce sono io. Sento le dita sudare, strette come sono in pugni che non riesco a sciogliere. Dana continua a colpirmi, sempre più a fondo.

«Cosa c'entra Demetra adesso?»

«L'ho capito che provi qualcosa per lei, sai?» Sembra fiera di aver trovato un altro punto da attaccare.

«Oh, e suppongo che anche questo sia di tua competenza e sottoposto a giudizio!»

«Starà qui solo per qualche altro mese, Aidan! Ci hai pensato a questo?»

«E con ciò?» Mi irrigidisco, più intimorito.

«Che intenzioni hai, mh?» La maniera saccente in cui fa guizzare le sopracciglia mi fa imbestialire. «Intendi spassartela con lei finché sta qui, proprio come fai con Constance? Non è per infrangere i tuoi sogni, ma Demetra non mi sembra il tipo da una botta e via... O hai forse intenzione di trasferirti in Italia dopo aver fatto sosta a Manchester?»

Lei mi fa male, e lo sa. Lo sa bene.

«Sono cazzi miei, Dana! Ciò che amo fare e le persone che frequento sono cazzi miei!»

«E visto che sono cazzi tuoi, ti interesserà sapere che abbiamo parlato di te e Constance oggi!»

Il fiato mi si mozza in gola. «...Cosa?»

«Sì, hai sentito bene. Lei ha menzionato Constance e così le ho detto come stanno le cose.»

Merda. Merda. Merda.

Dana mi fissa, consapevole di avere il coltello dalla parte del manico adesso.

«Che cosa le hai detto?»

«Che vi conoscete da anni e che scopate quando capita, anche se lo aveva già intuito da sola comunque, era evidente. All'inizio era curiosa ma poi non si è sconvolta affatto.»

Non è vero... Non può averlo fatto sul serio...

Gli occhi sbarrati mi si seccano mentre guardo solo lei. Respiro a fatica, a labbra secche e schiuse in cerca d'aria che non riesco a trovare. Il sangue mi pulsa nelle tempie, martella, mi confonde. I pugni tanto stretti da sentire le unghie conficcarsi nella carne. Graffi che bruciano, tra sangue e sudore. Adesso è lei ad aver pugnalato a morte me.

«Proprio non ci riesci, vero?», urlo rabbioso all'improvviso. «Non ce la fai a non rovinare ogni cazzo di cosa nella mia vita! Non ce la fai, porca puttana!»

«Dovresti essermi grato, dannazione! Farle capire che genere di relazione c'è tra voi serviva a comprendere se fosse interessata a te!»

«Nessuno te lo ha chiesto, Dana!», sbraito ancora senza più curarmi di nulla.

«È notte!» La voce severa di nostra madre tuona alle nostre spalle. Il suo sguardo ci fulmina, lì dove ci troviamo, nel mezzo della stanza di Dana. Fissa lei, poi me, e non sono sicuro di riuscire a reggere la soggezione al solo pensiero che abbia sentito ciò che abbiamo urlato fino ad ora. «Credevo foste adulti ormai e non dei ragazzini da spedire a letto! Domani ne riparleremo ma ora non vi voglio più sentire!»

Scuoto la testa, sbuffo e fuggo. La furia che ho in corpo mi fa scansare mia madre per marciare verso l'ingresso. Strattono la giacca dall'appendiabiti e neanche la maniera lapidaria in cui chiama il mio nome mi ferma. Esco di casa, sbattendomi la porta alle spalle.

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