46 - Aidan

Declinato l'invito di Rose a restare per colazione, ed ignorate le sue domande più pettegole, pronunciate addirittura sottovoce, mi incammino verso l'ingresso.

«Sei proprio sicuro di non voler restare? Il tè ormai è pronto...»

«No, davvero.» Prendo la giacca e la indosso con una certa fretta mentre lei mi raggiunge. «Ho bisogno di farmi una doccia e po-...» Mi blocco non appena Demetra appare in cima alle scale. Incrocio il suo sguardo e subito si stringe nelle spalle, come ogni volta che è a disagio. Non è semplice ignorare il dolcevita nero e attillato che indossa adesso, ma mi sforzo di abbassare la testa per recuperare il borsone. Non voglio metterla in soggezione, non più di quanto già non sia accaduto.

Provo a concentrarmi sulle raccomandazioni di Rose per non dimenticarmi di dire a mamma non-ho-capito-cosa, ma i pensieri sono pieni di tutt'altro. Demetra che scende i gradini mi distrae. In realtà, tutto di lei mi distrae: la forma delle sue labbra, i suoi capelli gonfi, il profumo al cocco che avrei voluto non se ne andasse mai da dentro la mia auto, la maniera in cui il viso le si fa più tondo quando sorride, quegli occhi scuri che mi catturano ogni volta senza lasciarmi via di fuga.

Un po' robotico, forse nevrotico, ricordo a Demetra di prendere le medicine ancora per oggi, poi saluto entrambe e me ne vado, nonostante non abbia alcuna voglia di allontanarmi da lei.

Neanche l'aria fresca del mattino riesce a togliermi dalla testa il momento in cui Demetra si è addormentata addosso a me. Ho sentito la sua guancia poggiarsi sulla mia spalla, il suo corpo crollare contro di me mentre leggevo ad alta voce il monologo di Amleto¹, quello tanto famoso, che conoscevo per consuetudine ma che mai avevo letto davvero.

Era così bella, così dolce... E io desideravo stringerla tra le braccia sin dal mio rientro da Londra, dal momento stesso in cui ho aperto la porta e me la sono trovata di fronte. Aveva gli occhi lucidi, le guance rosse per il freddo, i capelli mossi dal vento e quel vestito addosso che mi ha permesso di smettere di immaginare il suo corpo almeno per un po'.

Ho perso tutto il tempo a mia disposizione per decidere se abbracciarla o meno, come avevo fatto prima di partire. Vedere le sue cosce scoperte sotto la gonna mi ha trasformato in un idiota impacciato, il seno stretto nella scollatura poi mi ha totalmente spento il cervello.

Abbracciare o non abbracciare, guardare o non guardare, è questo il fottutissimo dilemma.

Parcheggio la macchina al solito posto, sotto il pioppo più rigoglioso della via, e raggiungo la porta di casa. Dal giardino sento arrivare la voce di Tom che tuona contro la gatta e quella di mia madre che grida contro di lui.

«Sono a casa!», annuncio a voce alta, andando in camera per spogliarmi. Ho bisogno di farmi una doccia - una molto fredda, decisamente necessaria.

Ad ogni incontro scopro qualcosa in più su Demetra e... mi piace, ogni cosa di lei mi incuriosisce da impazzire.

Voglio sapere di più, conoscerla meglio, riuscire a comprenderla. Voglio capire perché la voce le tremava mentre recitava quel monologo in riva al fiume e perché crede che essere spaventosa sia una prerogativa della vita, al punto da dover cercare un nascondiglio tra le righe di un testo teatrale. Voglio scoprire cosa c'è dietro quello splendido sorriso che si ritrova e che solo raramente è davvero sincero, cos'è quel velo che le rende sempre più triste lo sguardo.

Un quarto d'ora più tardi esco dalla doccia, grondante d'acqua fredda. Mi avvolgo la vita con un asciugamano, ma mi sento più nervoso e teso di com'ero quando ci sono entrato. E se questo interesse, questa voglia di sapere e di conoscere fosse solo una cosa mia? E se a Demetra non importasse come importa a me?

Stringo i denti e un po' fa male, anche se non so se è per la mandibola troppo serrata o più per i pensieri che ora corrono e strisciano, rendendomi inquieto.

C'è una certa affinità tra Leo e Demetra, qualcosa che non è difficile da notare: ridono insieme, si guardano spesso, non hanno alcun problema a toccarsi. Sono rimasto spiazzato quando ho saputo che avevano passato il pomeriggio assieme, che lui le ha addirittura presentato Benjamin, e ancor di più quando ho visto le loro mani sfiorarsi a casa di Greg e Lou. Demetra con me sembra più timida, più insicura, tanto complessa, eppure anche così spontanea, così dolce...

Deglutisco e torno in camera alla svelta, a piedi scalzi e umidi, reggendo l'asciugamano con le dita. Mi infilo i boxer, una T-shirt blu sbiadito e continuo a non capirci niente.

Vorrei potermi liberare di certe paranoie, come anche dell'immagine di Demetra svenuta sul pavimento che ancora mi tormenta. In quel momento mi sono sentito inadeguato, inutile e smarrito come poche volte in vita mia. Non sapevo cosa fare per lei, come comportarmi, dove portarla. Speravo solo che stringendola tra le braccia riuscisse a percepirmi, nonostante tutto.

Quella sera... Questa notte... Non c'è doccia che possa servire per scampare a ciò che provo né al profumo di Demetra che continua ad annebbiarmi. Mi ha marchiato, ed è stupido forse, ma ne voglio ancora. È come se la sentissi ancora qui, stretta contro di me. Quel suo profumo fruttato, dolce e allettante, non riesco a togliermelo di dosso neanche quando mi getto a letto, tra le coperte e le lenzuola che sanno di casa mia.

Ho sempre adorato l'aroma dell'ammorbidente che usa mia madre per la biancheria, è uno degli odori a cui sono più affezionato. Lo associo a lei, alla mia infanzia, a queste stanze: è confortante.

Prendo un respiro profondo, fisso il soffitto bianco e grezzo e solo adesso mi rendo conto di come il profumo al cocco che emanano sempre i capelli di Demetra, tutti i suoi vestiti, stia lentamente diventando proprio uno dei miei preferiti.


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¹"Essere o non essere, è questo il dilemma. Che cos'è più nobile, soffrire nell'animo per i sassi e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna, o impugnare le armi contro un mare di affanni e combatterli fino a farli cessare? Morire, dormire... e niente più. È con il sonno che poniamo fine al dolore e alle mille afflizioni naturali a cui la carne è destinata? Questa è la fine che bisogna desiderare ardentemente! Morire, dormire... forse sognare. Ecco il difficile. Perché quali sogni potranno visitarci in quel sonno di morte, quando saremo usciti dalla stretta di questa vita piena di affanni mortali, è un pensiero su cui ci si deve fermare a riflettere." – Monologo tratto da Amleto, opera teatrale di William Shakespeare, 1600-1602

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