43 - Demetra
Dopo aver controllato che la febbre non fosse davvero salita di nuovo, abbiamo raggiunto la cucina per prepararci due mug cake. Mi sono avvicinata al frigo per recuperare il latte ma Aidan ha subito intonato un buffissimo coretto di: «No, no, no...», fingendo di volermi legare alla panca e al tavolo con gli strofinacci. Mi ha fatto ridere, però non mi ha permesso davvero di fare altro se non dargli le indicazioni della ricetta.
«Bastano davvero sei cucchiai? Non saranno pochi?»
«Fidati di me!» Sorrido. «Sei cucchiai di farina, tre di zucchero, due di cacao amaro e uno di lievito.»
Seduta sulla panca con le mani nascoste sotto le maniche della felpa, lo osservo versare cucchiaiate di farina in una ciotola. Il suo viso chiaro, sporcato di quella barbetta bionda, si fa più concentrato mentre tiene il conto a bassa voce. Affondo il mento tra le pieghe del colletto e sorrido di nascosto.
«OK, con gli ingredienti secchi ci siamo. Cosa aggiungo adesso?»
«Tre cucchiai di olio di semi e sei di latte.»
Destreggiandosi con la preparazione, in piedi accanto al tavolo, Aidan sembra quasi torreggiare sulla stanza e su di me. Il ciuffo biondo che aveva pettinato indietro con le dita gli sfugge sulla fronte mentre regge la ciotola contro il ventre e comincia a mescolare l'impasto. Trattengo l'istinto di allungarmi per sistemargli quella ciocca lontana dal volto ma al solo pensiero il mio cuore manca un battito, qualcosa mi sfarfalla nello stomaco.
Le sue labbra carnose si schiudono appena, i muscoli delle braccia si tendono e guizzano sotto la stoffa bianca della maglia quando comincia a mescolare con più energia. Lo osservo muoversi in quel modo, e il respiro si fa più corto, l'aria attorno più calda. Mi volto imbarazzata, fingendo interesse per il vento che ancora soffia contro il nocciolo in giardino.
Qualche momento più tardi, l'impasto è pronto e Aidan si sta leccando le dita.
«Buono?», pungolo divertita.
«Strabuono!»
Sbuffo un sorriso soddisfatto, godendomi per un momento la luce nei suoi occhi azzurri e castani. «Adesso riempi le tazze fino a metà, e dopo un minuto e mezzo in microonde saranno pronte!»
Aidan sbatacchia le palpebre, leccandosi il polpastrello del pollice. «Solo un minuto e mezzo?»
«Yep.»
Mentre si cuociono, il profumo di cacao riempie la cucina. L'impasto lievita in maniera spettacolare, creando due tortine fragranti e alte ben oltre il bordo. Non appena le tiriamo fuori dal microonde, viene ad entrambi l'acquolina in bocca. Mi rendo utile spolverandoci sopra un po' di zucchero a velo, e intanto Aidan sistema le tazze di tè sul vassoio.
«Quindi?! Sono stato promosso?»
Sollevo lo sguardo per incrociare quello di lui, limpido e speranzoso.
«Certo che sì! Guarda che capolavori! E fanno un odorino...» Socchiudo gli occhi e respiro sulla mia tazza a pieni polmoni, anche se il risultato non è affatto quello che mi aspettavo. Lo zucchero a velo mi si infila subito nel naso, prude e mi pizzica persino la gola. Sbuffo come farebbe un cavallo, più e più volte, e la risata fragorosa ed impietosa di Aidan mi avvolge.
«Demetra è al tappeto! Zucchero a velo passa il turno!»
Non è stata una delle mie decisioni più sagge, lo ammetto... Tento comunque di guardarlo male, fintamente minacciosa, con tanto di dito indice sollevato per spaurirlo. Lui però continua a ridere e, alla fine, la sua risata trascina anche me.
«Ma non potevi annusarla prima di mettere lo zucchero?!»
«Non ci ho pensato, OK?! È stata la spontaneità del momento!», bofonchio tutta impacciata.
È colpa tua e dei tuoi occhi, vorrei dirgli, mi distrai...
Aidan scuote la testa e sospira con teatralità, prendendosi gioco di me mentre sistema anche le mug cake sul vassoio. Poi riempie un bicchiere d'acqua e mi viene incontro. «Bevi un po'...»
Quel suo sorriso dolce e beffardo è ancora lì mentre poso le labbra sul bordo del bicchiere. Mi fissa dall'alto, poggiato al tavolo con una sola mano. Perché il cuore sta battendo così forte...?
«Smettila.», lo rimprovero ancora, quando solleva di peso il vassoio e ricomincia a ridere.
«D'accordo. Riderò il silenzio per il resto della mia vita!»
Aidan mi anticipa lungo il corridoio, adagiando la nostra merenda sul tavolino del salone prima di sistemarsi al mio fianco, sul tappeto. Vicini al fuoco e con una tazza di tè nero alla vaniglia in mano, neanche ci accorgiamo del tempo che passa, dei sorrisi e delle tante parole che ci scambiamo. Parliamo di tutto ciò che ci viene in mente, balzando da un discorso all'altro senza neanche rendercene conto. Discutiamo di cucina e di piante, di film e di storia, di letteratura e di viaggi, delle città che abbiamo visto e di quelle che ci piacerebbe visitare. Mi ritrovo a riflettere a lungo solo quando mi chiede quale sia il personaggio di Shakespeare che trovo più intrigante da recitare a teatro.
«Forse Ofelia. È un personaggio così reale, così umano e contradditorio. Si potrebbe dire che abbia una personalità molle, è ingenua, facilmente persuadibile e le persone che la circondano la manipolano senza molte difficoltà. È abituata a fare suoi i pensieri degli altri.» Umetto le labbra e tamburello le dita contro la ceramica della tazza. «Un giorno Amleto, il suo innamorato, la umilia davanti a tutti. Ofelia comincia a vacillare e quando suo padre muore impazzisce completamente. È qui che emergere la meraviglia del suo personaggio: la sua pazzia è potente, si fa sentire e non si lascia dominare.»
Aidan annuisce. «Ho capito cosa intendi: la sua fragilità si trasforma in forza.»
Sorrido, tanto emozionata.
Adoro che sappia di cosa parlo. Mi piace che mi ascolti e provi a comprendermi.
«Sì.» Attiro appena il labbro inferiore tra i denti, metto in ordine i pensieri e continuo a raccontare. «La debolezza con cui si è fatta plasmare, quella con cui non ha mai deciso nulla di sua volontà, diventerà la forza delle sue grida e l'assurdità dei suoi canti. Solo alla fine Ofelia riesce davvero a fare una scelta libera, per sé stessa.»
«Uccidendosi.»
Con un guizzo di sopracciglia annuisco e mi porto la tazza ormai fredda alle labbra.
Aidan sospira profondamente accanto a me, lasciandosi andare con la schiena contro il divano. «La sua famiglia non la considera, il suo fidanzato la rifiuta, il padre muore e lei si suicida... Grazie Shakespeare per diffondere il buon umore nel mondo ancora oggi!»
Ci mettiamo a ridere e non importa che l'orologio segni le undici di sera né che la legna nel camino sia quasi del tutto consumata.
«È proprio questo ciò che il teatro dovrebbe fare: liberare le emozioni, e non solo quelle dello spettatore. L'attore deve essere in grado di immergersi nel personaggio, di diventare un tutt'uno con lui per poterlo sentire, per poterlo rappresentare.» Prendo respiro solo in quel momento. «La recitazione mi dà l'opportunità di essere chi non sono. Sul palco posso dire ciò che altrimenti non direi, comportarmi come nella realtà non farei. Lì posso esternare emozioni e sensazioni senza dover temere di farlo.»
«Allora ti fa essere chi sei e non chi non sei.»
Il cuore manca un battito a quella constatazione, e mezza correzione. La mia armatura comincia a tremare. Il bagliore delle fiamme si riflette sui muri e sul suo viso, facendo sembrare i suoi capelli ancora più biondi, più vividi e brillanti l'azzurro e il castano delle sue iridi.
Aidan sostiene il mio sguardo con una dolcezza che cela l'intenzione di scrutarmi dentro, lo sento. Ho sempre questa sensazione con lui, come se tentasse continuamente di trovare qualcosa sul fondo, dentro di me, che possa parlargli come io non faccio. E forse quest'ultima mia confessione gli ha detto più di ciò che volessi. Ho passato anni a costruire la mia fortezza d'apparenza e comincio a temere che sotto quello sguardo possa crollare.
«S-sì, forse è più corretto dire così...», biascico, cercando un sorso di salvezza nella tazza vuota.
«È una sorta di... nascondiglio?», domanda piano, quasi timoroso.
«Per certi versi, sì...»
«E da cosa ti nascondi?»
«Dalla vita reale, suppongo.» Faccio spallucce e abbozzo un sorriso rapido, per mascherare ed ingoiare tutta l'amarezza, la preoccupazione e la paura che mi scuotono dentro. «Le cose sono sempre più ordinate nei libri, nei film, negli spettacoli teatrali. Ogni scena ha una ragione ed uno scopo, e serve al personaggio per raggiungere una consapevolezza o la felicità.»
«Non è così anche nella realtà? Ciò che accade non accade per un motivo, per insegnarci qualcosa?» La sua voce cavernosa e dolce mi fa sciogliere.
«Forse.» Deglutisco. «O forse ciò che accade è solamente il risultato di scelte sbagliate.»
Aidan si umetta le labbra, mi fissa. Scorgo altre domande fluttuare nei suoi occhi e decido di anticiparlo.
«Ancora nessuna notizia da Londra?»
Scosta rapidamente lo sguardo, totalmente impreparato a quel repentino cambio d'argomento. Prende un respiro profondo e si sistema meglio sul tappeto, come si stesse preparando a parlarne. «No, ancora niente, ma ormai credo ci abbiano scartati...»
«Magari hanno bisogno di un altro po' di tempo per decidere...» Tento di essere rassicurante ma so ciò che non funzionerà. Non funzionerebbe neanche con me stessa.
«Non lo so. Non eravamo ciò che stavano cercando ed è stato evidente sin dal primo momento.» Aidan fa guizzare le sopracciglia, muovendo lo sguardo verso il fuoco. Con aria pensierosa e malinconica, comincia a pizzicarsi e carezzarsi la barba sul mento. «Secondo te, dovrei lasciar perdere questa storia della musica?»
«Aidan, no! No!», rispondo di getto, drizzando subito la schiena. «Perché dovresti?»
«Quello del fisioterapista è un mestiere sicuro e ormai sono prossimo alla laurea. Potrei comunque tenere la chitarra per il tempo libero...»
Stringo i denti, osservando le luci e le ombre che gli danzano sul viso. In quel silenzio, mi ritrovo a pensare che probabilmente è proprio così che deve sentirsi, incastrato in un mondo confuso, sballottato un po' nel bianco e un po' nel nero, senza riuscire a scegliere né l'uno né l'altro.
Aidan sospira. Sfrega i palmi delle mani sulle sue ginocchia un paio di volte, poi approfitta dello stallo nel quale è caduta la conversazione per alzarsi e alimentare il camino con qualche nuovo ciocco. Ne prende tre dalla pila che riempie una nicchia nel muro e li getta nel fuoco, pungolandoli con l'attizzatoio.
«Le passioni sono azzardi, è vero...», mormoro sorprendendolo. Si volta verso di me con lentezza, smettendo di pulirsi le mani dalla polvere di legno. Il suo pomo d'Adamo s'affossa quando deglutisce. «...ma non ha senso tenere una porta chiusa sin dal principio, sarebbe come rifiutarsi di prendere una direzione dando per scontato che sia una strada chiusa. Forse è davvero così, può essere. E se invece conduce esattamente dove vuoi andare tu?»
Quanta convinzione e quanta falsità in un consiglio che io per prima non riesco ad assecondare.
«E poi hai anche una questione in sospeso con me ancora...», bofonchio dopo un po', cercando di salvare entrambi dal pantano in cui ci ho fatto affondare.
Aidan aggrotta la fronte, ancora in piedi vicino al camino. Non dice niente ma la confusione che si mischia alla malinconia è chiarissima nella sua espressione.
Con un cenno del mento indico il pianoforte alle sue spalle. Il legno lucido brilla sotto il baluginare del fuoco. «Quel pomeriggio al fiume hai detto di essere un musicista, di saper suonare la chitarra, il pianoforte e anche il basso.», gli ricordo, volutamente precisina e sorniona. «Finora mi hai fatto sentire solo come suoni la chitarra, ma quando potrò vederti con quello?», incalzo.
Il sorriso leggero che riesco a strappargli mi scalda il cuore. «È ciò che vorresti?»
«Sì! Ovvio che sì!», faccio subito, ad occhi spalancati.
«Rimedierò presto allora...»
Lo osservo tornare a sedersi accanto a me. «È una promessa?»
Aidan annuisce lentamente, stringendo le labbra mentre mi guarda. Potrei perdermi nell'intensità dei suoi occhi. «Te lo prometto.»
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