30 - Demetra

La luce del primo mattino entra tiepida nella stanza. Resto qualche minuto ancora sotto le coperte, e quasi vorrei sparire lì in mezzo quando vedo che sul cellulare non ci sono notifiche. Vado in bagno, mi vesto di indolenza e nostalgia e poi scendo di sotto a piedi scalzi.

«Buongiorno...», mugolo, stropicciandomi un occhio mentre entro in cucina.

«Oh, sweetheart, buongiorno!» Rose esulta, con voce argentina e vivace, appena mi vede. Sta tornando dal giardino con un mazzetto di menta secca tra le dita. Sulle labbra, un sorriso ampio e più sornione del solito. «Togli tu la teiera dal fuoco, per favore? Credo proprio l'acqua sia pronta.»

Annuisco, già diretta verso i fornelli. Spengo la fiamma e, protetta dal guanto da cucina blu, sistemo la teiera bollente sul tavolo, proprio accanto alla scatola di dolci che deve aver comprato stamattina. Intanto Rose getta via i rametti e si lava le mani.

Uno sbadiglio mi sfugge quando crollo sulla panca. Mi copro il viso con entrambe le mani, sperando di scuotermi presto da questo torpore sonnolento e malinconico che non mi vuole lasciare. Dal buio dietro i miei palmi, percepisco Rose sedersi di fronte a me e schiarirsi la voce in maniera sin troppo teatrale per non incuriosirmi. Allargo le dita che avevo davanti agli occhi e, proprio in quell'istante, solleva di fronte a me una busta bianca della panetteria. È una di quelle piccole, e c'è un bigliettino pinzato sul bordo ripiegato.

«Cos'è?», domando prendendola dalle sue mani.

«È per te.»

Aggrotto le sopracciglia e abbasso lo sguardo al biglietto.

"Giuro che ti scriverò presto! Intanto... Buongiorno! – A."

L'emozione mi fa tremare un po' le mani, il viso lo sento avvampare. Quando apro la busta, il profumo di cannella e uvetta di un paio di Chelsea Bun mi coccola.

Si è davvero preso la briga di fare tutto questo invece di mandarmi un semplice messaggio?

Leggo quelle parole scritte a mano, un paio di volte ancora, senza riuscire a smettere di sorridere. Credo sia il gesto più dolce ed affettuoso che qualcuno abbia mai fatto per me.

Il cuore sembra essersi fatto più leggero e più pieno al tempo stesso. Martella forte in petto, però non fa male. 

«Deduco tu abbia capito chi sia il mandante.», mormora Rose, con la tazza a coprirle il viso per metà. «Il messaggio lo ha scritto Jessamine sotto dettatura ma è stata tutta un'idea di Aidan.», incalza, sorseggiando il suo tè con aria quasi più felice di me.

«Sono... senza parole. È un gesto tanto dolce...», ammetto. Stringo le labbra nel tentativo di trattenere un'emozione che non vuole essere trattenuta.

Sono sorpresa e incantata, e mi sento... felice.

«Aidan è sempre stato premuroso e affettuoso, anche da piccolo era così...» Rose mi fissa, con una smorfia sorniona e maliziosa a renderle più luminosi gli occhi. «E a te piace, non è vero?»

Il respiro inchioda all'istante. «Io non...» Deglutisco. Mi rigiro il Chelsea Bun tra le dita , i pensieri si affollano. «Aidan ha lo strano potere di tranquillizzarmi e la sua presenza mi conforta, ma non c'è niente tra noi.», mormoro. «Siamo solo... amici, o conoscenti, immagino...!»

Dalla maniera in cui Rose sogghigna è chiaro che si sia già fatta un'idea tutta sua. «D'accordo, d'accordo! Se non mi vuoi dire la verità, fa niente!»

«Non c'è nessuna verità, Rose, dico davvero.» Quelle parole smorzano un po' il suo sorriso. Mi siedo meglio, sentendomi scomoda sulla panca e stretta in questa conversazione. «Semplicemente io non...»

«Tu...?»

Mi sento annichilire sotto quel suo sguardo un po' ingrigito, in attesa. Una strana pesantezza mi ha avvolto il cuore che adesso non batte più emozionato come prima.

«Non voglio innamorarmi.», replico con rigidità. «Non ne sono neanche più in grado probabilmente, e non m'importa perché va bene così.»

«Cosa va bene così?»

Deglutisco. «Io che sto da sola.»

Rose solleva piano le sopracciglia. «Ne sei sicura?»

«Credo di essermi rassegnata al fatto che le cose debbano andare così per me.» Mi stringo nelle spalle e poso il Chelsea Bun sul tavolo. La fame ormai mi è passata. «Non sento da tanto il desiderio di avvicinarmi a qualcuno, credo di stare meglio da sola. Non ho neanche più guardato qualcuno con curiosità o con il desiderio di innamorarmi...»

«Semplicemente non hai incontrato nessuno capace di far scattare la scintilla, tutto qui! Questo non vuol dire che il tuo cuore sia atrofizzato o che la tua sia una dannazione.» Quella prospettiva tanto semplice e diretta mi colpisce in pieno, come un treno in corsa. Rose preme le labbra tra loro, guardandomi con una tenerezza inaspettata. «È assurdo sentirti parlare di rassegnazione, solitudine ed incapacità di amare...»

«Credo davvero di non poterci riuscire ancora, Rose.», insisto, sentendomi già mancare le forze.

«Oh, Demi, c'è un'enorme differenza tra non poter amare e non volerlo fare.», rimbecca ancora, con un sorriso caparbio e rassicurante che, stavolta, non mi coinvolge.

«A me sembrano piuttosto connessi. Se non voglio l'amore continuerò ad evitarlo, e così alla fine non sarò più capace.»

«Ad amare qualcuno?»

Deglutisco di nuovo, bile amara. «Sì.»

«E perché dovresti evitare l'amore al punto da diventare incapace di provarlo?»

«Perché non voglio soffrire ancora.», confesso fissando il tè ormai freddo nella tazza. «Non voglio più abituarmi alla presenza di nessuno. Non voglio che il mio umore dipenda da qualcuno. Non voglio legami, tanto non può finire bene, e se il risultato finale è rimanere sola e distrutta in ogni caso, tanto vale risparmiarsi errori e dolore.» Vomito quelle parole come se non aspettassi altro che pronunciarle ad alta voce, a qualcuno oltre me stessa. Forse così prenderanno più senso.

Gli occhi di Rose mi rimangono addosso, scrutanti, per minuti che sembrano non scorrere mai. Il silenzio avvolge il tavolo come un velo nero. Prendo un respiro profondo, abbasso lo sguardo. Ho un groppone in gola che non vuole sparire. Sollevo la tazza per prendere un sorso di tè ma una delle sue mani si posa sulla mia.

«Non conosco le ragioni per cui parli in questo modo, Demetra, però lascia che ti dia un consiglio.» Tremo, aggrappandomi ai suoi occhi verdi. «Non permettere alla paura di soffrire di insediarsi in te. Non permetterle di metterti il cuore in gabbia, perché percorrendo la strada per scansare tutto ciò che potrebbe farti male rischi di perdere anche le cose più belle.» Rose scandisce bene ogni parola, un po' come fosse un dogma da recitare o una preghiera solo per me. Il leggero tremito che percepisco nella sua voce mi toglie il fiato.

Rimanere da sola, fino alla fine dei miei giorni, non è un'aspirazione molto invitante, lo so, e neanche sono sicura di volerlo davvero. Questa scelta è solo il mio personale metodo di difesa.

L'ultima volta, ciò che mi ha fatto più male non è stato separarmi da Lorenzo ma rendermi conto che non c'era stata soluzione per me, che ci avevo provato – omettendo, risistemando, negando ciò che di me chiunque non avrebbe voluto – e comunque non ha funzionato. Qualsiasi ruolo decida di interpretare, la Demetra debole e rovinata cammina sempre con me, ed io con lei.

Essere quella non-me con Lorenzo non ha funzionato.

Essere me con Manuel è stato ancora peggio.

Se nessuna me va bene, allora non ho altra soluzione che tenere lontano tutti e ogni cosa, a cominciare dall'amore.

Rose ancora mi guarda e sorride, seduta dall'altra parte del tavolo. Mi scalda la mano con la sua, il pollice mi accarezza dolcemente. Non so come sia possibile che un solo mese in Inghilterra stia facendo ribaltare tutte le sicurezze che credevo di aver conquistato. Magari erano effimere, proprio come me.

«Lascia che la vita scorra, Demi. Lascia che le cose accadano.»

Per un momento la vista del viso di Rose si appanna. Vorrei poterle raccontare delle notti passate a piangere e di quelle trascorse invece ad aspettare e pregare che lui stesse bene e tornasse presto a casa, dello sguardo che in quei momenti non riconoscevo più, dell'odore forte di sangue e disinfettante che sembrava seguirmi per giorni, della quantità di correttore che dovevo usare, della maniera disperata in cui piangeva chiedendomi scusa, del male che ha fatto accettare di non essere abbastanza.

Non voglio parlarne. Non voglio parlare di lui.

Tutto ciò che merita di essere ricordato è inciso sulla mia pelle: i miei errori, le stupide speranze e le ancor più stupide convinzioni, l'amore e la dannatissima fragilità che porta. Sulla schiena ho una personale nota per il futuro, un memorandum per non sbagliare ancora e non farsi trascinare più.

Alla fine, annuisco piano. Mi piazzo addosso il solito sorriso confortante e così chiudo la conversazione, lasciando che le lacrime si asciughino da sole, al calore dei ricordi pressati sotto la mia armatura di cartapesta.

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