28 - Demetra
I giorni successivi alla partenza di Aidan, Leo, Greg e anche Brett scorrono in maniera piuttosto veloce. Ormai mi sono ambientata a Lotford come a Crewe, ricordo i nomi delle vie, ho imparato i percorsi di un paio di bus e le lezioni all'università si fanno sempre più interessanti. Il laboratorio attoriale di Miss Lawrence resta sempre il mio preferito.
Oltre ai ragazzi che sono a Londra per le audizioni, non riesco a smettere di pensare neanche al mio rapporto con Marzia. Lei è sempre più scostante e io sempre più distante, giorno dopo giorno. Qualcosa è cambiato da quando siamo qui, è cambiato in lei, in me, in noi... Non lo so.
Mentre siamo in fila alla cassa del bar della Student Zone, le propongo di fare un giro al centro commerciale di Crewe nel pomeriggio, e per l'ennesima volta in vita mia ho la sensazione di tentare di salvare qualcosa che non vuole essere salvato.
Per qualche masochistico motivo tendo a soffrire troppo la sola idea di lasciar affondare una relazione o un qualsiasi legame che instauro, per quanto distruttivo possa essere per me. Fatico sempre a lasciare indietro qualsiasi cosa con cui entro in contatto: oggetti, luoghi, persone, sentimenti. Come al mio solito, mi ritrovo in bilico tra ciò che sarebbe più giusto fare e ciò che invece faccio, combattuta tra il supportare e il sopportare qualcosa che mi ferisce solo per timore di un dolore più grande. E se il dolore più grande fosse proprio la convinzione di portare avanti qualcosa che semplicemente non deve essere o non è più?
«Sei sicura che il bus che ci serve passi di qua?»
«Sì.»
«Ma ogni quanto passa? Sto congelando!»
Dopo una mattinata di sole tiepido e piacevole, il cielo s'è fatto uggioso e l'aria più pungente. Uno strato di nuvole fitte soffoca la città adesso, costringendo tutti a rintanarsi dentro sé stessi e non so perché ma scorgo una triste allusione. Il bus a due piani su cui capeggia il numero 38 appare qualche minuto più tardi. Ci vogliono cinque fermate per arrivare davanti alle colonne blu che sorreggono l'ingresso del The Market, il centro commerciale. Visto da fuori sembrava molto più grande: tutti i negozi, i bar e le attività si affacciano su un unico corridoio a L ma il soffitto a volta, di plexiglass e metallo, dà l'impressione che sia più arioso e ampio di quanto non sia in realtà. Il miscuglio di profumi floreali che proviene dal negozio di candele e saponi si fonde con quello di cuoio del calzaturificio.
«Chi è che siamo venute ad incontrare?»
«Una ragazza che vive a Lotfo-...»
«Oh! Guarda lì!»
Marzia si fionda a sbavare su un paio di stivali dal tacco zebrato prima ancora che finisca la frase. Seguo i suoi passi e mi sorprendo a trovare, proprio sopra di lei, l'insegna bianca a caratteri dorati del negozio in cui lavora Dana. Pixie Dust Boutique, così si chiama. C'è qualche cliente che cammina distratto ma, oltre le vetrine, non scorgo alcun volto familiare.
«Demi?» Una voce conosciuta arriva alle mie spalle all'improvviso.
Quando mi volto i grandi occhi scuri di Louise sono lì a sorridermi. Indossa dei pantaloni a sigaretta blu, una camicetta nera e delle decolleté argentate. Tra le braccia, due cataloghi dall'aria molto pesante.
«Che sorpresa ritrovarti qui!» Louise si preme subito su di me per baciarmi le guance, brancolando un po' tra tacchi alti e faldoni.
Sorrido, senza riuscire a fare altrimenti. Non sapevo lavorassero assieme, lei e Dana, ma quest'accoglienza basta a sciogliere il freddo preso alla fermata del bus. «Avevo promesso a Dana che sarei passata a vedere il negozio e...» Deglutisco per ciò che sto per dire. «...ho portato un'amica.»
Louise si gira verso Marzia, riuscendo a sorridere persino a quello sguardo affilato che lei le rifila, da testa a piedi. «Hai fatto benissimo! È un piacere avervi con noi!», fa subito, facendoci strada verso l'interno. «Venite a dare un'occhiata dentro, dai!»
Mi muovo lentamente tra gli scaffali ordinati, le mensole ricolme di abiti piegati e i manichini ben vestiti finché la testa bionda di Dana non emerge da uno dei camerini. I suoi occhi azzurri si posano su di noi, illuminandosi di sorpresa, con una massa di roba stropicciata contro il petto. «Demetra! Sei venuta alla fine, ne sono felice.»
Ci viene incontro, facendo ondeggiare la camiciola lunga e rosso corallo che indossa assieme ad un blazer d'ecopelle e dei leggings neri. Anche lei è bellissima, come fosse appena uscita da una rivista di moda.
Mi sento vagamente fuori luogo nel mio abito a fiorellini marroni e azzurri, con i collant e gli scaldamuscoli che arrivano alle ginocchia, i biker neri e un lungo cardigan color crema che sbuca da sotto la giacca.
Marzia è silenziosa, sin troppo. Non può significare nulla di buono. La vedo squadrare entrambe, con particolare attenzione, sfoggiando uno dei suoi più affascinanti e teatrali sorrisi quando la presento anche a Dana. Mi sento agitata.
Louise lascia ricadere i cataloghi sul bancone con un sospiro liberatorio e sollevato. Poi, ride. «Che dite, facciamo shopping?»
Mezz'ora più tardi, mi ritrovo dentro il camerino con una dozzina di abiti da provare. Comincio da un maglione intrecciato con filo bianco e dorato e, guardando il mio riflesso nello specchio, mi riscopro felice all'idea che l'inverno stia arrivando. Sono più sollevata, perché con felpe, dolcevita e cardigan tutto si copre con più facilità.
Provo anche una camicia di raso nera e una di flanella a quadrettoni grigi e blu, una felpa bianca con dei ricami floreali su entrambe le maniche, dei jeans sfibrati sulle cosce e un pantalone rosa antico. Per ultimo provo un vestito color ruggine, con le maniche lunghe e una gonna corta e ampia che parte da sotto il seno. È un po' scollato ma bello, più bello di ciò che immaginassi, soprattutto addosso a me. Quando esco dal camerino, anche Lou e i suoi pollici all'insù sembrano apprezzare. Dana recupera al volo una cintura nera, lucida e sottile prima di venirmi incontro.
«Dovresti indossare gonne corte più spesso, sai?», dice, sistemandomela attorno alla vita con una certa soddisfazione. «Hai davvero delle belle gambe, e i vestiti così ti stanno proprio bene...»
«Quello che sta cercando di dire è che sei gnocca, Demi!», si aggiunge Louise. «Proprio gnocca!»
Sbuffo un sorriso non appena sento le guance e il petto avvampare.
«Come se questo potesse servirle...» Il commento stizzito di Marzia, d'un tratto, mi fa tremare.
Dana si gira verso di lei, un po' confusa o forse interdetta. «In che senso?»
Marzia si schiarisce la voce. Smetto di respirare. «Nel senso che potrà anche essere gnocca...», accentua con acidità, «...ma se amici e fidanzati la mollano sempre dovrà pur esserci un motivo, no? Non può essere sempre colpa degli altri.» Quel ghigno sarcastico esterna il suo divertimento mentre sento frantumarsi una parte di me.
«Sfortunata nelle relazioni ma fortunata nel gioco. È così che si dice, giusto?» Recito ironia, rido di fronte agli sguardi che evito e mi infilo nel camerino per nascondere me e il mio cuore spezzato. Ricaccio dentro le lacrime pregando la mia memoria di cancellare gli ultimi minuti.
La forza di recitare che tutto sia normale, che lei non sia capace di ferirmi nel profondo sta venendo meno. Non riesco più ad indossare la mia maschera sorridente per nascondere quanto tremi sotto di essa. Non sono così impermeabile e impenetrabile come tento di far credere alla gente, e Marzia deve averlo capito.
Non è mai stato facile aprirmi con qualcuno, nemmeno con chi mi sta più vicino. È pericoloso, come lasciare un cancello sempre aperto. Concedere a qualcuno di camminare tra le mie ombre e conoscere quali mostri ho nascosto dietro ognuna delle mie porte significa mettergli in mano un passe-partout e sperare che non ne liberi mai nessuno.
Credevo di aver confidato poco di me stessa a Marzia – della mia storia, delle mie delusioni, delle mie relazioni – ma quel poco sembra esser stato abbastanza. Sa che ho sperato tanto che Lorenzo potesse essere la mia volta buona, che scendevo a compromessi con me stessa per tentare di somigliare a qualcuna che non ero davvero, che la nostra era diventata una relazione di comodo ormai. Sa anche che alla fine mi ha tradita e lasciata, perché neanche quella versione di me andava bene. Non sa nulla della mia realtà però, del mio... incidente. Neanche Lorenzo l'ha mai saputo, perché non ho fatto altro che inventare verità più accomodanti per entrambi.
Speravo davvero Marzia potesse capire il bisogno che avevo di fare quel tentativo con lui. Dovevo tentare, per provare ad essere felice e soprattutto per dimostrare a me stessa che potevo andare oltre il mio passato. Ripensandoci ora, in quei momenti Marzia annuiva sempre, mi sorrideva e comincio a temere che abbia registrato e conservato le mie debolezze solo per potermele rigettare addosso in caso di necessità.
Ma qual è questa necessità?
Solo qualche ora fa ha accettato di passare il pomeriggio con me. Solo la settimana scorsa ci siamo sforzate di perdonarci a vicenda. È stato tutto falso e inutile.
Dall'altra parte della tenda, sento Marzia salutare e andarsene, senza neanche aspettare che esca dal camerino. Semplicemente se ne va, come se la missione del giorno fosse stata compiuta.
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