2 - Demetra

Il tepore del sole mi coccola. La luce filtra attraverso l'ampio finestrino del bus e me la godo, in silenzio, salutando con lo sguardo ogni cartello autostradale, ogni scorcio di quella placida brughiera che prima ho visto dall'aereo.

Fisso le scritte dei cartelli mescolarsi ai colori del paesaggio, e ripenso, una volta di più, a tutte le occasioni che ho perso per poter venire prima in Inghilterra: il viaggio che i miei compagni del liceo organizzarono dopo la maturità, l'offerta di quell'hotel a tre stelle nel centro di Londra che un collega di mio padre gli inoltrò per e-mail, l'estate in cui andai in Toscana con Lorenzo invece che in Cornovaglia con mia cugina.

Ho sempre rimandato. Mi sono negata le possibilità una dopo l'altra, credendo che ci sarebbe sempre stata un'altra occasione, un momento migliore, e aspettando, e continuando ad aspettare, tutti i miei sogni hanno cominciato ad ingrigirsi e io ad affievolirmi.

C'è stato un periodo in cui sono arrivata a pensare di dover mettere definitivamente da parte l'idea di studiare in Inghilterra. Credevo di dover rinchiudere quel futuro in un cassetto ancora prima di vederlo nascere, proprio come si fa con i desideri più fantasiosi e rovinosi, e tutto a causa di un amore stupido.

L'uscita a destra della grande rotatoria di Crewe Road è l'ingresso del campus. La strada bordata di cespugli di bacche prosegue dritto, fin quando, tra le fronde dei frassini, si materializza l'imponente facciata di mattoni rossi dell'edificio della segreteria. Proprio lì accanto c'è la biblioteca, circondata da uno spiazzo erboso punteggiato di tavoli e panchine.

Bill parcheggia il pulmino all'ombra degli alberi e, uno dopo l'altro, ci riversiamo fuori. Mi sollevo sulle punte dei piedi per provare a cogliere, già dal parcheggio, ogni dettaglio del campus, ma riesco ad intravedere solo qualche scorcio degli altri edifici: sono tutti di mattoni rossi, con gli infissi bianchi e i tetti scuri.

«Benvenuti!» Una donna dal fisico asciutto esce dalle porte vetrate della segreteria per camminarci incontro. Passi brevi ma sicuri che colmano velocemente la distanza tra lei e noi. Indossa un tailleur marrone piuttosto austero, con la gonna dritta a coprirle le ginocchia ossute e l'unico bottone dorato della giacca a riflettere i raggi tiepidi del sole. In cima alla testa ingrigita ha una crocchia talmente stretta che il vento non smuove neanche un capello. «Io sono Miss Pearson, la Dirigente dell'Ufficio per la mobilità internazionale. Voi dovete essere il gruppo italiano dell'Erasmus. Accademia di Drammaturgia, se non erro.» Ci rivolge un grande sorriso di denti ingialliti dal troppo fumo o dal troppo tè. «Spero il vostro viaggio sia stato piacevole.» Il tono con cui parla è formale e caldo come il rosso con cui ha laccato le unghie e truccato le labbra sottili. «Mentre Miss Rota resta qui a preparare la documentazione di ognuno di voi, io mi occuperò di mostrarvi il campus. Prego, seguitemi.»

Con una compostezza imperturbabile, Miss Pearson ci indirizza verso la biblioteca, la prima tappa del nostro giro. Ci racconta che il campus della Manchester Metropolitan University nel Cheshire si trova appena fuori dal centro della città di Crewe, raggiungibile con il bus che ferma lungo la strada. Qui e là, tra un edificio e l'altro, ci sono alberi, siepi e aiuole fiorite.

Proprio al centro del villaggio universitario c'è la Student Zone, ciò che Miss Pearson definisce il cuore pulsante del campus, e basta attraversare le porte tappezzate di locandine colorate per comprenderne il motivo. Un brusio vivace ci avvolge all'istante mentre l'odore di caffè e scones appena sfornati mi fa venire fame. I tavoli tondi, le sedie e le poltroncine marroni e blu che riempiono lo spazio sono quasi tutti occupati da studenti che mangiano, ridono, leggono, scrivono o si nascondono dietro schermi di cellulari e PC portatili.

Con la caffetteria, il tabaccaio, una cartoleria e persino una parafarmacia, la Student Zone è una sorta di galleria commerciale a ferro di cavallo che attornia l'ampia area centrale che funge da refettorio. Al fondo, oltre le dozzine di tavoli, un palcoscenico coperto da un pesante sipario. Il mio sguardo viene subito catturato, mosso dallo stesso fascino sublime dei lampioni per le farfalle.

Miss Pearson chiede se vogliamo fermarci qualche minuto per prendere qualcosa al bar ma, vedendo la fila alla cassa, ci ritroviamo tutti d'accordo con l'idea di concludere il tour ed eventualmente tornare più tardi.

Usciti dalla Student Zone, passiamo di fronte al negozio di abbigliamento brandizzato e l'entusiasmo continua a crescere mentre proseguiamo lungo i viali e i sentieri che collegano ogni angolo del campus, dal dipartimento di medicina a quello di scienze motorie, da giurisprudenza a lettere e filosofia. Sul limitare del villaggio universitario, alla fine, raggiungiamo l'unico edificio moderno, quello diverso da tutti gli altri: è il dipartimento di arti contemporanee. Vetrate fumé incastonate sulla facciata di un palazzetto di due piani al massimo, con un prato curato a precedere l'ingresso e l'insegna 𝘊𝘏𝘌𝘚𝘏𝘐𝘙𝘌 𝘊𝘖𝘕𝘛𝘌𝘔𝘗𝘖𝘙𝘈𝘙𝘠 𝘈𝘙𝘛𝘚 installata sulla fiancata.

«Eccoci, questo sarà il vostro regno.» Con un ampio gesto di presentazione, Miss Pearson fa tintinnare i braccialetti di perle che ha al polso.

Marzia squittisce al mio fianco e io fremo sulle punte dei piedi, come una bambina di fronte alle giostre.

L'interno è moderno, elegante e sobrio come l'esterno: un linoleum lucido riveste interamente il pavimento, le pareti sono intonacate di bianco ovunque ma un geniale tocco di estro è dato dai colori brillanti delle porte. Ci sono quelle blu delle aule, quelle arancioni delle sale-prova insonorizzate, quella gialla della videoteca, quelle verdi degli uffici e quella rossa dell'aula magna.

Vagando tra i corridoi, scopriamo che a questo dipartimento appartengono quattro corsi di laurea: Drammaturgia, Danza, Musica e Nuovi media e, per questo, sono previsti anche insegnamenti intercambiabili, da un corso all'altro, a scelta degli studenti.

Il nostro giro termina davanti alla segreteria, lì dov'era cominciato. La professoressa Rota è già accanto al pulmino ad aspettarci, un plico di fogli tra le mani e un'espressione crucciata sul volto. «Ragazzi, purtroppo c'è un cambio di programma imprevisto.», soffia, arrivando dritta al punto. «Gli alloggi del campus che avreste dovuto occupare purtroppo sono stati riempiti da iscrizioni tardive che l'università non si aspettava...»

Sgrano gli occhi all'istante, e Marco si fa portavoce dei pensieri di tutti: «E quindi dove staremo?»

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