18 - Demetra
«Una band?!»
«Una band afona, sì. Facciamo esibizioni di sola musica. Un po' come l'opera, ma con pezzi punk e rock!»
«Ma è fantastico!»
«Sì, credo tu lo abbia detto già un altro paio di volte!» Aidan ride. Solleva le sopracciglia per continuare a schernirmi per gioco.
Nel silenzio di Abbott Road, i nostri passi risuonano svelti.
«Mi entusiasmo con poco, non posso farci niente!» Fingo che il suono della sua risata mi offenda, anche se, in realtà, non potrei sentirmi più leggera. Ogni pensiero, ogni apprensione sembra farsi inconsistente mente cammino al suo fianco.
«Ma a me piace che tu sia tanto entusiasta per ciò che faccio...», replica, con timbro caldo.
Lo sguardo intenso e dolce, limpido come l'acqua, che abbassa su di me mi fa sobbalzare il cuore. L'emozione e l'imbarazzo mi divampano dentro.
Trattenendo a stento quel tumulto inspiegabile, prendo le chiavi dalla borsa e apro la porta blu di casa. Il corridoio e tutte le stanze sono immerse nell'ombra. Rose non c'è. Gli analgesici e gli antinfiammatori la stanno aiutando molto, al punto da convincerla ad accettare l'invito di Jessamine per una passeggiata al mercato contadino della zona.
Ascolto la voce di Aidan parlare al telefono proprio con Rose mentre salgo in camera. Ha detto che mi porterà all'esibizione che lui, Leo e Greg devono fare stasera in un locale di Manchester.
Lascio sulla poltrona la borsa da cui spuntano la coperta e il quaderno, e per un momento mi chiedo che sto facendo. Ho davvero intenzione di andare? Non conosco nessuno di loro... Ma che male può fare? È solo un piccolo concerto, e Aidan sembrava così speranzoso ed euforico per strada... e io voglio davvero sentirli suonare!
Che male può fare?
Continuo a chiedermelo ma le mani stanno già aprendo l'armadio per scegliere gli abiti per stasera. Dopo essermi data una rinfrescata veloce, indosso un paio di jeans scuri, un maglioncino bordeaux con le maniche a sbuffo e degli stivali biker. Ravvivo le onde gonfie d'umidità dei miei capelli, ricalco appena la linea di eyeliner e mi vaporizzo l'acqua corpo al cocco sul viso e sul collo. Quando sono pronta prendo il montgomery nero e la borsa, e lascio la stanza.
Aidan è poggiato con le spalle alla porta, le mani infilate nelle tasche del chiodo e le caviglie incrociate. Con un piede che batte il tempo, lo sento mugolare una canzone che non conosco ma che mi fa sorridere comunque. Il suono dei miei passi sul parquet gli fa sollevare subito lo sguardo. Drizza la schiena, tenendomi gli occhi addosso mentre scendo le scale.
«Pronta?» Mi sorride.
«Sì!»
Spalanca la porta e china la testa con fare reverenziale. Il ciuffo biondo scuro ricade in avanti, nascondendo appena il sorriso sornione sulle sue labbra. «Prego, Miss Entusiasmo. Dopo di lei.»
Sorrido, senza riuscire a fare a meno di sentirmi emozionata.
Mentre camminiamo verso casa sua, attraverso una Lotford ammantata dall'ocra e dal rosso del tramonto, Aidan mi racconta che la loro band sarebbe un quartetto. Il quarto ragazzo pare sia tornato a vivere in Scozia da qualche tempo, e scopro presto che si tratta dello stesso Brett di cui discuteva con Sue quel pomeriggio in cucina.
«Come vi siete conosciuti?»
«Greg l'ho conosciuto in conservatorio quando avevamo quattordici anni, più o meno. Leo l'ho incontrato un paio di estati dopo, in un negozio di musica a Crewe.» La via residenziale che stiamo percorrendo è illuminata dagli aloni giallastri dei lampioni. Camminiamo uno accanto all'altra, continuando ad immergerci nelle chiazze di luce e di ombra del marciapiede. «Gironzolavamo lì dentro, totalmente persi, affascinati da tutti gli strumenti luccicanti appesi alle pareti. Abbiamo cominciato a parlare per caso, perché lui sosteneva che i Green Day fossero migliori dei Good Charlotte che avevo stampati sulla maglietta. Una settimana dopo eravamo già nel garage della famiglia di Greg per suonare assieme.» Aidan sembra perdersi in un ricordo che lo fa sorridere. «Brett invece l'abbiamo conosciuto nel locale in cui andiamo stasera. Era lì per un contest musicale con un mese di birra gratis in palio!» La risata spontanea e fragorosa che gli sfugge contagia anche me.
Qualche passo più tardi, con un cenno del mento, Aidan mi indica una delle villette di paramano che si susseguono lungo la strada. È di grandezza modesta, molto graziosa, con il tetto scuro e una siepe bassa a circondarla. La luce dei lampioni si riflette sulla pelle lucida della sua giacca mentre apre la porta e, proprio come ha fatto a casa di Rose, invita me a passare per prima.
È evidente che questa costruzione sia più recente, eppure mi sorprendo a notare delle similitudini tra le due abitazioni. La scala che porta al piano superiore è sempre sulla destra e il corridoio ugualmente risicato, anche se qui sembra proseguire oltre l'angolo che c'è in fondo. Il parquet chiaro, le pareti dipinte di verde tenue e i mobili di legno grezzo danno un aspetto molto fresco all'ingresso.
«Demetra, ciao.» Dana spunta dal soggiorno che si intravede oltre le scale, addosso una salopette di jeans e una maglia bianca a maniche lunghe. Non sembra sorpresa di vedermi, quindi immagino Aidan l'abbia già avvertita. Ricambio il suo saluto ma dalle labbra che stringe in una linea dritta non sembra troppo felice. È a causa mia...?
«Mamma e Tom non ci sono?» Aidan si passa una mano tra i capelli, torreggiando tra me e sua sorella.
«No, sono ancora dal veterinario per la visita di Shar.»
«Tu sei pronta?», le chiede con l'espressione carica di un'attenzione particolare. Dana annuisce, sistemandosi attorno al collo un foulard giallo vaporoso. «Allora manco solo io. Torno subito.»
Aidan si volta a cercarmi per un attimo prima di perdersi al fondo del corridoio, proprio dietro l'angolo a sinistra.
Un brivido di eccitazione mi attraversa il corpo, facendomi ciondolare da un piede all'altro come una bambina davanti all'ingresso del luna park. «Sono elettrizzata!»
«Sono disgraziatamente bravi, quindi ti piaceranno anche se non fossi un'ascoltatrice del loro genere.» C'è dell'amarezza nella voce monocorde con cui parla, qualcosa che non dovrebbe trovarsi lì. Un commento simile dovrebbe trasudare soddisfazione, suppongo, ed entusiasmo anche. È del talento e della passione di suo fratello che si sta parlando. Dana sembra esasperata invece, quasi rammaricata della cosa. La confusione deve leggermisi in faccia, perché scuote la testa e sospira. «Era solo per dire che non deluderanno il tuo entusiasmo, sono bravi davvero. Hanno anche vinto una borsa di studio partecipando ad un concorso.»
La sorpresa mi travolge. «Sul serio?!»
«Già.»
Una volta di più, la mia euforia appassisce davanti all'atteggiamento distaccato di Dana. Deglutisco, e non riesco a smettere di chiedermi se il problema sia davvero la mia presenza o qualcos'altro. Spingo le mani più a fondo nelle tasche e mi volto, fingendo di essere interessata al quadro appeso al muro. Qualcosa però non mi torna.
«La borsa di studio era per la Manchester Metropolitan University?», chiedo dopo aver preso coraggio.
«No, per la School of Music di Manhattan, in America.» Con quella sua flemma severa, Dana si volta verso lo specchio per aggiustarsi meglio. «Dopo due anni hanno abbandonando gli studi e sono tornati a casa.»
«Oh...» Mi sento spiazzata. «Come mai?»
«Perché era la cosa giusta da fare.», replica senza un attimo di esitazione. «Quell'esperienza è stata fondamentale perché li ha spinti a rivedere le loro priorità.»
Le sue parole asciutte si zittiscono non appena sentiamo il cigolio di una porta. I passi di Aidan si avvicinano, ben scanditi sul parquet, e io non so che pensare. Osservo per un momento ancora i lineamenti tanto belli quanto granitici di Dana, non riuscendo a capire se sia dispiaciuta o sollevata da ciò che è capitato al fratello e ai suoi amici.
Aidan riappare con una custodia da chitarra in mano, rigida e scura. Indossa gli stessi jeans aderenti di prima, degli anfibi mezzi slegati e una camicia a quadri neri e blu, con due bottoni aperti sul torace. Si aggiusta il colletto del chiodo mentre ci raggiunge con uno dei suoi sorrisi più coinvolgenti. «Andiamo?»
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