14 - Demetra
Varcata la soglia di casa di Rose, mi fiondo sulle scale dicendo ad Aidan che li raggiungerò tra poco, il tempo di lasciare le mie cose in camera. Non è una bugia, solo una mezza verità. Ho bisogno di stare da sola. Ho bisogno di respirare, di riflettere, di confinare le parole e i gesti di Marzia al loro giusto posto, in modo che mi facciano il meno male possibile.
Mollo la borsa sulla scrivania e mi butto a letto con ancora la giacca addosso. La mente vuota, il corpo stanco. Il bianco del soffitto è una dannazione, una tela vuota che non smette di mostrarmi il suo sguardo arcigno e impietoso, quello deluso di Valerio, le espressioni disorientate degli altri, capitati lì per caso, spettatori perfetti per una scena vergognosa.
Davvero ho sbagliato...?
Sospiro e mi giro su un fianco, verso la finestra, stringendo uno dei cuscini lilla tra le braccia. Orario diverso, caos emotivo diverso, medesima situazione. Tutto di questa giornata sembra essersi messo d'impegno per farmi vacillare. Il naso pizzica, però non piango. Serro i denti, però non urlo con rabbia.
Non so neanche dire come mi sento... Ferita, per la maniera meschina in cui Marzia si è comportata. Delusa e infuriata, perché non avrebbe dovuto parlare in inglese né mettere in mezzo Valerio. L'ha fatto apposta, solo per colpire laddove sapeva di poterlo fare. Spaventata anche, alla sola idea che il profilo che lei ha disegnato di me appaia credibile e reale per Leo, Aidan e il loro amico Greg. Colpevole, sì, perché è vero che ho lasciato l'aula senza dire niente, convinta che ci saremmo ritrovati comunque alla Student Zone... Alla fine, è andata proprio così, e tutto sarebbe potuto andare diversamente, in maniera meno sceneggiata, se solo Marzia avesse voluto...
Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, poi lascio andare il cuscino. Il parquet cigola appena quando scendo dal letto per andare a prendere il cellulare. Stavolta però scrivo ad Isabella per chiederle di comunicare a Bill che ho decido di tornare a casa prima per un malore e che non c'è bisogno di aspettarmi. Attendo qualche minuto ma il messaggio non viene neanche visualizzato.
L'orario in cima allo schermo segna le 14:03. A quest'ora, il primo incontro del Laboratorio attoriale sarà già iniziato. Mi ero ripromessa di non perdere neanche una lezione durante quest'esperienza, e di certo non avrei voluto perdere questa. Una morsa torna a stringermi lo stomaco, rabbiosa e sconcertata, ma mi costringo a smettere di pensarci.
Ormai sono in camera da circa venti minuti. Devo scendere. Voglio vedere Rose come sta.
Il cellulare e la giacca restano sul letto quando lascio la camera. Il mio riflesso prende sempre più forma nello specchio all'ingresso, gradino dopo gradino. Prima di scendere, ho provato a sciacquarmi via dal viso le lacrime che non ho pianto e i ricordi di questa giornata che vorrei già dimenticare, nella speranza di riuscire di nuovo a proteggermi dietro la mia maschera.
Devo farcela.
Mi stiro la maglia bianca sui fianchi, poi infilo entrambe le mani tra i capelli per ravvivarli un po' mentre solco gli ultimi gradini. La voce di donna che parla con Aidan mi incuriosisce.
«Quindi si è deciso a tornare?» Non è Rose, eppure è una voce conosciuta.
«Ci sta riflettendo...», mormora lui. «Ha discusso di nuovo col cugino, sempre perché i suoi modi di raggiungere la clientela a Brett non piacciono, e poi pare il mercato immobiliare a Glasgow stia collassando in questo periodo...»
«A tua sorella l'hai già detto?»
«No, glielo dirò stasera. Possiamo passare a scegliere la mia urna funeraria prima di cena, così ci portiamo avanti coi tempi!»
Affacciandomi in cucina, vedo Aidan ridere di gusto e indietreggiare di qualche passo per colpa dello spintone che Sue gli ha dato. Era lei a parlare. Sbuffa una risata, asciugandosi le mani su uno strofinaccio a righe. I capelli biondi sono acconciati in una treccia, il suo viso è bello e luminoso anche senza trucco. Indossa un paio di sabot, dei jeans e una camicetta celeste che fa risaltare di più i suoi occhi.
«Come pretendi che Dana mi risparmi se la prima a fare la bulla sei tu? Tale madre, tale figlia!»
Madre? Figlia?
Come fosse un déjà-vu, mi ritrovo a far caso alla carnagione chiara che Aidan e Sue hanno in comune, ai capelli della medesima tonalità di biondo scuro che ha anche Dana, alla stessa sfumatura azzurra e brillante dei loro occhi. C'è solo quella stranissima, affascinante macchia castana nell'iride di lui a fare la differenza.
«Buongiorno.» Mi intrometto, prima di muovere qualche altro passo dentro la stanza.
«Oh, Demetra, ciao! Che piacere rivederti!» Con un sorriso enorme, Sue mi viene incontro per stringermi in un abbraccio, uno caldo e inaspettato in cui mi crogiolo all'istante. Mi tiene stretta, per momenti che paiono lunghissimi, finché non nota l'acqua del rubinetto straripare dalla teiera. Con un urletto squillante, si allontana e scatta di corsa verso il lavandino.
È difficile non riuscire a sorridere davanti a quella scena. Anche Aidan sta sorridendo, con addosso una T-shirt grigia che lascia scoperto il bosco di alberi svettanti che ha tatuato sull'avambraccio.
«Tutto OK?», mi chiede a bassa voce. Il suo sguardo, intenso e morbido al contempo, resta ancorato a me.
«Sì, tutto OK.», replico subito, stringendo le labbra in un sorriso fugace che spero lo rassicuri.
Il rumore di una porta che si apre fa voltare entrambi verso il corridoio. Rose zoppica fuori dal bagno nel sottoscala, ben aggrappata alla maniglia e vestita con una tuta di ciniglia giallo paglierino.
«Sweetheart, bentornata!» Mi sorride subito, non appena mi muovo per andarle incontro.
Mi sistemo al suo fianco, concedendole il braccio per aiutarla a camminare. «Come ti senti?»
«Il ghiaccio e le medicine hanno aiutato un po'. Ora lui valuta i danni!» Rose schiocca un'occhiata divertita ad Aidan, già in attesa di lei sotto l'arco della cucina.
Sostenendola entrambi, l'accompagniamo lentamente in giardino. Rose si risistema con le gambe sulla sedia, attaccandosi alla stoffa dei suoi pantaloni quando sente più male.
Un'espressione contorta dal dolore ha ormai preso il posto della sua allegria.
Un groppo di dispiacere amaro mi stringe la gola. Anche Aidan la sta osservando, con le labbra tese e uno sguardo serio e amorevole al tempo stesso. Si inginocchia accanto a lei e, proprio come aveva fatto anche stamattina, le solleva piano il pantalone. La gamba di Rose non è livida ma molto gonfia, soprattutto attorno alla cicatrice che le segna la pelle dal ginocchio sino a metà stinco. Sotto la luce diretta del sole, quello squarcio madreperlato si vede di più.
Calato in un silenzio attento, Aidan tocca di nuovo diversi punti prima di parlare. «Non sembrerebbe esserci acqua, per fortuna. Forse è solo un po' di infiammazione...» Rose annuisce, sembra sollevata, ma quando viene premuto l'ennesimo punto, stavolta attorno alla rotula, lei trema tutta e stringe i denti per la sofferenza. La mandibola di Aidan si irrigidisce all'istante. «Se dovesse salirti la febbre, chiameremo il medico. D'accordo? Adesso facciamo un paio di movimenti, piano piano...»
Mi sento inutile in questo frangente, ma decido comunque di rimanere lì assieme a loro. Se dovesse servire del ghiaccio, dell'acqua o qualsiasi altra cosa, almeno potrei aiutare andandoci io. Con le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans, a qualche metro di distanza, seguo la scena.
«Distendi... Tieni il piede in tensione... Solleva...», cantilena Aidan con dolcezza. «Ora rilassa e torna giù...» Con entrambe le mani, sostiene la caviglia di Rose per guidarla in quella che sembra una vera seduta di fisioterapia. Lo osservo in silenzio mentre accompagna quegli esercizi, con lentezza, con accortezza, per non farla sforzare troppo. La sua voce è calda e roca mentre scandisce il tempo e i gesti, l'espressione con cui scruta le reazioni di lei è una delle più premurose che abbia mai visto.
Con il ciuffo ricaduto sulla fronte e quei lineamenti marcati, Aidan sembra ancora più bello sotto il sole del primo pomeriggio. Il mio sguardo scivola sui suoi capelli ben rasati sulla nuca, sulle spalle larghe fasciate da quella T-shirt, sulle braccia muscolose. I contorni opachi e neri del suo tatuaggio riflettono la luce del giorno. Le fronde di quella foresta disegnata si distorcono con i suoi movimenti, ed è come se la brezza del fiume soffiasse sino a loro.
D'un tratto, mi rendo conto. Gli alberi che Aidan ha tatuati sull'avambraccio sono gli stessi che ci sono in riva al Winding River. Ecco perché mi sembravano familiari...
Muovo lo sguardo più consapevole su di lui, come volessi scoprire di più. Guardo le sue mani grandi, l'anello di legno che ha al pollice, la linea della mandibola coperta di barba biondiccia, le sue labbra carnose e pronunciate, la punta della lingua che le umetta e...
Qualcuno si schiarisce la voce accanto a me.
Sue.
Mi scruta con un sorriso malizioso. «Ti va di aiutarmi a preparare il tè o preferisci restare un altro po' qui a... osservare la scena?»
«No, no! Vengo, certo!» Avvampo e agito le mani, ritrovandomi a balbettare in preda all'imbarazzo. Tento di deglutire ma non ho neanche più saliva. Il caldo che provo deve aver fatto evaporare tutto. «Vengo ad aiutarti, sì!»
Sue si mette a ridere. Mi avvolge con un braccio e, irrigidita come sono, mi lascio condurre verso casa. Mi godrei di più quel gesto affettuoso se solo non avessi il viso in fiamme, i pensieri offuscati e la sensazione che lei fosse lì da troppo, troppo tempo.
Arrivate in cucina mi chiede di sbucciare e tagliare a spicchi due pesche mature, lei intanto sciacqua la menta profumatissima che ha raccolto dal giardino di Rose.
«Questa ricetta me la insegnò la madre del mio ex marito...», mi spiega immergendo il rametto nella teiera già ricolma d'acqua. «Aidan l'adora, e spero l'adorerai anche tu!»
«Sono sicura che mi piacerà, io amo le pesche!» Lascio cadere lì dentro anche gli spicchi come mi fa cenno di fare.
«Ottimo, adesso lo portiamo sul fuoco e in qualche minuto sarà pronto!» Sue si asciuga le mani sul canovaccio, poi accende il fornello. La fede che noto al suo dito riluce e mi incuriosisce.
«Quindi... Non sei più sposata?», chiedo a bassa voce, timorosa di osare troppo.
«Sì, sono sposata... Solo non con il mio ex marito!» Sue si lascia andare ad un sorriso divertito. «Basil e io divorziammo quando Dana aveva dieci anni e Aidan otto.»
«Mi dispiace.», replico a bocca asciutta.
«Oh, tesoro, non devi! È passato tanto tempo ormai. Purtroppo non consideravamo importanti le stesse cose, abbiamo capito tardi di desiderare vite molto diverse...» Ci sediamo entrambe al tavolo, una di fronte all'altra. «Il nostro matrimonio ci ha comunque dato Dana e Aidan, quindi qualcosa in comune l'avremo sempre!» Il sorriso che le curva le labbra sembra agrodolce. «Loro due hanno sempre avuto tanto da insegnarci. Erano piccoli, eppure hanno gestito la situazione molto meglio di noi, con molto più coraggio.» Sue sposta lo sguardo oltre la finestra, verso Aidan che ancora aiuta Rose in giardino, con un'espressione dolce e fiera sul volto. «Diversi anni dopo, Tom si è trasferito a Lotford per comprare la farmacia, quella accanto alla panetteria...» Annuisco, capendo già molto di più. «Io avevo già due figli, un matrimonio fallito e non credevo possibile trovare qualcuno che amasse me e loro, per davvero, ma Tom ha portato così tanta serenità nella mia vita...» Sue sorride e trattenere l'emozione davanti alla felicità che trabocca dai suoi occhi è impossibile.
Quel racconto sull'amore riscoperto e l'aroma di pesca e menta che riempie la cucina sembrano sciogliere e far svanire qualsiasi pensiero avessi conservato della mia terribile mattinata.
❈
«Profuma tantissimo!» Avvicino il naso alla teiera subito dopo aver spento il fuoco. «Le pesche vanno lasciate lì?»
«No, ora le togliamo e ne mettiamo una in ogni tazza, così continua a dar sapore, e alla fine la mangi!»
Come una bimba curiosa e strabiliata, osservo Sue recuperare il rametto di menta e poi andare alla ricerca degli spicchi di pesca sul fondo della teiera. Sono ancora integri seppur morbidissimi.
«Prenderesti altre due tazze dalla credenza, per favore?»
«Certo!», le dico, e subito dirigo i miei passi verso la credenza celeste.
La tazze che Rose conserva per i momenti in cui ha ospiti si trovano dietro le antine superiori. Una riesco a prenderla facilmente, l'altra la spingo indietro con le dita senza volerlo. Mi metto in punta di piedi ma non ci arrivo comunque. Non ho il tempo di voltarmi e andare a recuperare una sedia ché una ventata muschiata mi avvolge.
Aidan è dietro di me, talmente vicino che riesco a sentire il calore del suo corpo contro il mio. Trattengo il respiro quando mi ritrovo in mezzo alle sue braccia, tra le chiome nere di quegli alberi tatuati. Il suo petto sfiora la mia schiena, il suo respiro mi soffia tra i capelli. È così vicino...
Dopo aver afferrato la tazza indietreggia, liberandomi da quella piacevole gabbia. Le due fossette sulle guance esaltano il sorriso bambinesco che gli curva le labbra mentre mi guarda. Incrocio i suoi occhi azzurri e castani e il tempo sembra quasi rallentare.
«Aidan!» La voce di Rose richiama lui e scuote me. «Abbiamo finito per oggi? Posso abbassare la mia gamba bionica adesso?»
Sue e Aidan scoppiano a ridere.
«Arrivo!» Mi lascia la tazza tra le dita, poi corre in giardino.
In pochi minuti il tavolo celeste è apparecchiato per la merenda. Le tazze sono piene di tè profumato, ognuna col suo spicchio di pesca a fluttuare sul fondo.
«È buonissimo, Sue!» La freschezza della menta è sorprendente col sapore della pesca che addolcisce tutto.
«Ne sono felice!» Le dolci rughette attorno ai suoi occhi chiarissimi si fanno più profonde per la soddisfazione.
La mano di Aidan spunta davanti a me senza preavviso. Sul palmo, un tovagliolo di carta e il Chelsea Bun mancante dal vassoio. «Immagino tu voglia questo...»
Un brivido emozionato mi attraversa le gambe. Sollevo lo sguardo dalla brioche a lui, gli occhi spalancati che adesso non stanno recitando. Annuisco subito, più veloce che riesco, come uno di quei pupazzetti bobblehead che si mettono sul cruscotto delle auto. Ridono tutti e tre, e un po' mi rasserena sapere di essere stata io a farli divertire così.
Il ginocchio di Aidan sfiora il mio mentre stiamo seduti al tavolo, uno accanto all'altra. Addenta il suo muffin, mi sorride ancora e io faccio lo stesso, godendomi la semplice bellezza di questo momento da dietro la mia tazza di tè.
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