12 - Demetra
Quando raggiungiamo la Student Zone, l'odore di toast, brioche e caffè guida me e Leo verso il bar. Dei Chelsea Bun non sono rimaste più neanche le briciole: mi sono spazzolata pure quelle mentre ascoltavo le spiegazioni sui carri pageants e le rappresentazioni medievali del Ciclo di Chester. Ci accodiamo agli altri studenti in attesa di fare lo scontrino e diamo un'ultima occhiata alla caricatura di Mr. Willoughby che ha disegnato, con una gorgiera arricciata intorno al collo, gli occhialini rossi, le corna e il forcone da diavolo. Un capolavoro un po' spiegazzato che Leo, alla fine, getta nel cestino ancora divertito.
«Devi prendere qualcosa anche per i tuoi amici?», chiede una volta tornato al mio fianco.
«Non saprei...» Mi stringo nelle spalle e getto uno sguardo alle porte anche se non c'è ancora traccia di nessuno di loro. «Credo verranno qui comunque...»
Dopo la ragazza con i capelli viola, è il nostro turno. Leo ordina un panino al prosciutto e una Red Bull, io invece una spremuta d'arancia e un muffin alle mele e, con la nostra merenda tra le mani, occupiamo il primo tavolo libero che troviamo. È uno di quelli rotondi che costellano la galleria, non molto distante dall'ingresso.
Leo molla il suo zainetto floscio in un angolo del tavolo, recuperandolo al volo, con la bocca piena e gli occhi sbarrati, quando quelle poche cose che devono esserci dentro lo stavano trascinando giù. Lo acchiappa dal ciuccio con un gemito animalesco e vittorioso, e scoppio a ridere senza riuscire a farne a meno. Stare con lui è piacevole... Questo modo di fare che ha, sempre così spontaneo ed estroverso, rende impossibile continuare a sentirsi due sconosciuti.
Lentamente, la folla brulicante che animava la Student Zone si dissipa. Molti escono in cortile, altri cominciano già a muoversi verso i dipartimenti o la biblioteca. Qualcuno passa accanto a noi parlando di esami e, per un momento, mi ritrovo a pensare ad Aidan e a quello che doveva dare stamattina. Chissà com'è andato, se è già passato...
«Demi, volevo chiederti un favore...»
«A me?», bofonchio, coprendomi la bocca con il muffin morsicchiato. Butto giù il boccone con un sorso di spremuta e lo guardo incuriosita. «Se posso fare qualcosa, certo. Di che si tratta?»
«Ti andrebbe di passarmi gli appunti ogni tanto, in modo che possa confrontarli con i miei? Mi sembri piuttosto diligente, io invece sono un tipo un po'... distratto!» Impiega qualche attimo a trovare l'aggettivo giusto col quale descriversi.
«Posso farlo, sì, ma sei sicuro di volere proprio i miei? Capisco ciò che Willoughby spiega solo in maniera sommaria, mi aiuto più che altro con le slide che pubblica su internet e con i libri...», confesso con il bicchiere ancora in mano. «Non ti converrebbe chiedere a qualcun altro? Un madrelingua magari...»
Leo scuote la testa, stappando la sua Red Bull. «Non saprei a chi, non conosco nessuno lì dentro. Ho scelto Storia del teatro solo per avere i crediti che mi servono.»
«Oh... Credevo fossi di Drammaturgia anche tu.»
«No, studio Musica.» Il sorriso fiero con cui replica mi elettrizza ancora di più di quella scoperta. «Mi sono iscritto con quasi tre anni di ritardo e sono già fuoricorso, quindi le persone che conoscevo ormai sono sparse chissà dove...» Prende un lungo sorso di bibita, con uno strano alone opaco a rabbuiargli lo sguardo. «Questo semestre volevo portarmi avanti con i crediti ma credo proprio che Storia del teatro sarà più noioso del previsto! Ed ecco perché i tuoi appunti mi salveranno!»
«D'accordo, d'accordo.» Sollevo entrambe le mani, fingendomi rassegnata alle sue volontà. «A tuo rischio e pericolo!»
Leo ride, lasciandosi andare contro lo schienale della poltroncina. «Tu invece? Studi proprio teatro?»
«Sì, Accademia di Arte Drammatica.» Mordicchio il labbro inferiore tra i denti come se fosse ancora strano dirlo ad alta voce. Strano ed emozionante. «Ho provato a fare altro, ma alla fine ho mollato per iscrivermi a recitazione. Dovrei riuscire a diplomarmi l'anno prossimo, se tutto va bene...!»
«Figo! Quindi hai ventidue o ventitré anni?»
«Ne ho venticinque, in realtà.», ammetto ancora, abbassando lo sguardo con la scusa di appallottolare il pirottino del muffin. «Ci ho messo un po' a capire che stavo facendo un errore a portare avanti qualcosa che non era destinato a me...» L'amarezza mi graffia la gola. Prendo un ultimo sorso di spremuta, pronta a banalizzare la situazione almeno ai suoi occhi. «Sai, no? Corsi di studio totalmente sbagliati e cose così...»
«Sì, lo capisco bene. Qualsiasi altra cosa sarebbe sbagliata per me...», mormora, come fosse in bilico tra la consapevolezza e il rammarico, prima di sbuffare un'altra risata. «Praticamente, sono capace solo di suonare!»
Una bava di vento frizzante mi spira sulle caviglie quando le porte della Student Zone si aprono. In mezzo al brusio e all'andirivieni vivace di teste e zaini, lo riconosco.
Con lo sguardo basso al cellulare, un ciuffo di capelli biondo scuro ricaduto sulla fronte e la giacca di pelle stretta nella mano libera, Aidan sta andando verso il bar. Accanto a lui c'è un ragazzo che, con una certa sorpresa, ho già visto. Il viso squadrato e sbarbato, le Vans a scacchi: è lo stesso che ha chiamato Leo mentre eravamo fuori dal dipartimento. Si guarda attorno, forse in cerca di qualcuno, almeno finché non incrocia il nostro tavolo. Dà una manata ad Aidan per attirare la sua attenzione e indicare proprio nella mia direzione.
La sedia si fa bollente quando Aidan solleva i suoi occhi su di me. Un'espressione stupita e interdetta gli si disegna sul viso. La fronte si increspa, i passi inchiodati nel mezzo della Student Zone. Lo osservo dire qualcosa al ragazzo che lo accompagna, e poi farsi avanti, assieme a lui, tra i passanti e i tavoli occupati.
Seguendo il mio sguardo, Leo si volta indietro. Il braccio che penzolava oltre lo schienale della sua poltrona si allunga verso entrambi, con la mano aperta per salutare. «Ehi! Com'è andato l'esame?»
Sbatacchio le palpebre un paio di volte, ritrovandomi a chiudere la bocca prima ancora di riuscire a dire qualcosa. Si conoscono?
«Poteva andare meglio, ma è andato!» La risposta rapida di Aidan rende lo sguardo che saetta tra me e Leo ancora più strana. Sembra confuso pure lui ma sulle sue labbra c'è lo stesso sorriso caldo che aveva stamattina. «Com'erano i Chelsea Bun?»
Le sopracciglia di Leo guizzano all'istante. «Voi due vi conoscete?»
Annuisco svelta, a labbra strette, sentendomi imbarazzata e divertita al tempo stesso. «Soggiorno a Lotford e stamattina Rose mi ha mandata a cercarlo, così-...»
«Stai a casa di Rose?!» La maniera con cui Leo tronca il mio racconto mi fa ridere.
«Voi dove vi siete incrociati?», chiede Aidan dopo un po', ancora in piedi accanto al tavolo.
«Frequentiamo lo stesso corso...», spiego.
Il viso di Aidan si illumina. «Studi musica anche tu?»
«No. Recitazione...»
La luce nei suoi occhi non perde intensità dopo la mia risposta. Continua a sorridermi, un po' colpito forse, anche quando l'altro ragazzo allunga il braccio verso di me.
«Manco soltanto io allora!» I suoi occhi si fanno più piccini quando il sorriso si allarga. Il fisico robusto è avvolto da una felpa nera e le ginocchia spuntano dagli strappi dei jeans. «Mi chiamo Greg.»
«Io sono-...»
«Demi!» Lo squittio improvviso di Marzia ci fa girare tutti verso di lei.
Il suo viso truccato emerge di più incorniciato dai capelli corvini che ha raccolto su una spalla. Sorride, mettendoci tutto il suo fascino, mentre cammina verso di noi. Grandi cerchi argentati alle orecchie, un body nero a maniche lunghe e una gonna che danza intorno ai suoi fianchi snelli. Una scintilla ambigua nel suo sguardo mi sorprende di nuovo, com'è accaduto anche durante la lezione della McCauley.
«Eccoti qua, finalmente!» Marzia termina la sua sfilata vicino ad Aidan e Greg, puntando a me e... parlando in inglese adesso. «Il tuo fidanzatino ti sta cercando. Perché non vai a coccolartelo un po'?» Indica la caffetteria dove Valerio, in piedi e con le spalle rigide, ci sta già fissando. Si rigira il cellulare fra le dita finché Marco non lo trascina alla cassa. Mi manca il fiato quando mi rendo conto che anche Aidan, Leo e Greg si erano voltati verso di lui. «Non pensi di star esagerando? È da quando siamo arrivati che ignori tutti, che ti assenti...» Sospira profondamente, intrecciando le braccia sottili sotto il seno. «Se vuoi un consiglio da amica, credo dovresti smettere di fare l'egoista.»
Il frastuono delle sue parole mi scuote dentro. Cerco sul suo volto una spiegazione ma lei mi ignora, volta addirittura le spalle per andarsene, lasciandomi là con gli occhi di tutti puntati addosso a me.
Bruciano sulla pelle. Mi tolgono il fiato.
Voglio fuggire da qui.
Devo andare via.
Afferro la borsa e senza dire una sola parola né incrociare lo sguardo di nessuno mi fiondo fuori dalla Student Zone.
«Demetra!» Sento la voce di Aidan ma non mi fermo.
«Demi, aspetta!» Leo scatta in piedi. Mi rincorre, i suoi passi riecheggiano dietro ai miei ma ancora non riesco a fermarmi.
Scanso chiunque incontri, stringo forte la borsa al mio fianco e svio in fretta verso i parcheggi, lontana da loro tre, lontana da lei, ma non dalla confusione che ho in testa. Sono talmente confusa e terrorizzata e furiosa che neanche mi preoccupo dei brividi di freddo causati dal vento.
«Oh, c'mon!» La risata sardonica con cui Leo mi acchiappa un braccio mi fa scoppiare il cuore. «Sei liberissima di tornare a Lotford a piedi, se può farti stare meglio, ma lasciami almeno dire che quella tipa come attrice è proprio pessima!» Cerca di sdrammatizzare, lo capisco dall'espressione sorniona che mi rivolge, ma anche qui fuori, a ciondolare attraverso il prato che separa la segreteria dal parcheggio mi sento soffocare.
«Io... Io non...», balbetto, spaesata e impantanata nell'eco della mia stessa vergogna. Gli occhi bruciano, la vista mi si annebbia e sfuggo alla stretta di Leo fingendo sia colpa dell'aria affilata. «Non so perché abbia fatto così, non so perché abbia detto quelle cose... Non capisco...»
La giornata era cominciata male e nella stessa maniera sta proseguendo. Ce l'avevo messa tutta per impedire all'incubo di guastarla, al mio umore di trascinarmi a fondo, eppure...
Stupida, io...
Stringo le braccia attorno a me stessa, provando a scaldarmi per resistere al freddo e a quanto è appena successo. Muovo passi a vuoto sull'erba umida, sfrego le mani sulle spalle e ancora trattengo e maschero il bisogno di piangere.
«Forse voleva davvero prendessi qualcosa da mangiare anche per lei!» Leo sghignazza, forse nella speranza di coinvolgermi, ma riesco appena a trovare il coraggio per ricambiare il suo sguardo. Continua a parlare, a scherzare con me, come se le parole di Marzia non avessero sortito alcun effetto su di lui.
Il naso mi pizzica di nuovo, poi la brezza mi soffia addosso quel sentore muschiato e buono che mi trascina ai momenti sereni di stamattina. Aidan ci cammina incontro da solo con falcate ampie e decise, senza staccare gli occhi dai miei, come se non ci fosse nient'altro di rilevante attorno. Deglutisco, timorosa abbastanza da riuscire a rimetter su la mia maschera.
«Credo di non aver capito cosa sia successo...» Alterna lo sguardo su entrambi, grattandosi il sopracciglio col pollice mentre torna a soffermarsi su di me. Sulle spalle larghe, adesso, ha di nuovo la giacca in pelle. «Come stai?»
Il disordine che ho dentro mi rende esitante. Non lo so come sto...
Momenti silenziosi e inerti di cui approfitto per calarmi in un'emozione grigia, che non sa di niente, perché niente è ciò che voglio mostrare.
«Potresti portarmi a casa, per favore?»
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