108 - Aidan

Qualcosa dentro di me si crepa e frantuma quando un singhiozzo riecheggia sopra la musica. Stona e fa male, è una stretta allo stomaco che mi fa smettere di suonare.

Sollevo lo sguardo dalla tastiera e la vedo. Con le spalle curve e basse, Demetra è scoppiata a piangere. Si gira subito verso le scale, per nascondersi. Le mani a coprire il viso, le lacrime a spezzarle il respiro. Il suo corpo, ancora chiuso nel cappotto, trema come stesse combattendo contro qualcosa dentro di lei che non sa più tenere a bada – qualcosa che cerca di tenere comunque nascosto con tutte le forze che le restano.

Vederla così mi fa soffrire terribilmente...

«Demi...» Scatto in piedi per raggiungerla, senza perdere un secondo di più. Lo sgabello stride sul parquet ma a me interessa solo poterla prendere tra le braccia, stringerla forte come negli ultimi giorni ho solo sognato di poter fare. Per un momento, il fremito che la attraversa mi fa temere che sfuggirà, poi percepisco le sue dita aggrapparsi alla mia felpa.

"Mi sei mancata...", vorrei confessarle, "Tutto è risolvibile se restiamo insieme, io ci credo...".

«Va tutto bene...», mormoro, a più riprese, mentre la tengo ancora stretta a me e al sicuro. Il suo profumo tanto buono mi scalda quando spingo le labbra tra i suoi capelli, per baciarla. Singhiozzi violenti continuano a sconquassarla, togliendomi il fiato. Mi pizzica il naso.

Sono stato io a farle questo adesso? È stata forse la canzone che ho scelto, le parole?

L'ansia arriva presto a prendermi a pugni. Speravo che suonare per lei potesse farle capire che non mi sono mosso dal suo fianco neanche d'un passo, e che non intendo farlo.

Demetra continua a piangere, respirando a fatica contro il mio petto. Allento anche la presa per evitare di stritolarla troppo.

«Ti avevo fatto una promessa. Volevo mantenerla, mi dispiace solo di averci messo tanto...» Riesco a dire soltanto, sentendo l'improvviso bisogno di giustificare le mie azioni. Sono ridicolo, cazzo se lo so. «Vorrei avere la possibilità di rendere reali anche tutte le altre parole che ti ho detto, Demi...»

«Aidan, ti prego...», ansima disperata, con la voce rotta e le mani che cominciano a spingere per allontanarsi da me. Le mie braccia la lasciano andare, il suo profumo si fa di nuovo distante. Mi sta sfuggendo, ancora una volta.

«Sto solo provando a starti accanto...», replico, un groppo di confusione e amarezza in fondo alla gola. «Perché fai così? Perché cerchi di tenermi lontano?»

«Non rendere tutto ancora più difficile... Per favore...» Strizza le palpebre e nuove lacrime spuntano sotto le ciglia.

Aggrotto le sopracciglia, vedendola indietreggiare. «Cos'è che rendo più difficile? Il tuo volermi cancellare completamente dalla tua vita, da un giorno all'altro, senza motivo apparente?», insisto ancora più ansioso e ridicolo di prima. «Solo qualche giorno fa, abbiamo vissuto quella che credevo fosse stata una serata speciale per entrambi! Sembravi felice, e lo ero anche io!», sbotto angosciato. «Credevo quei momenti avessero significato qualcosa anche per te...!»

«È stato così, Aidan... Sono stati momenti bellissimi...», mugola tra le lacrime, sollevando lo sguardo su di me. I suoi occhi scuri sono così tristi, così arrossati e devastati.

Di fronte a lei in questo stato mi sento inerme, mi distruggo dentro. La guardo e penso sia bellissima anche adesso, nonostante la paura e la rabbia che provo, nonostante il suo pallore, le labbra seccate dal freddo e i capelli gonfi per l'umidità. La guardo e fa male, perché continuo a non capire.

«Allora cos'è tutto questo, Demi? Spiegami!» Adesso sono io a pregare. «È normale per te baciare le persone, vivere con loro certi momenti e poi ignorarle come se niente fosse mai successo?»

«E se baciarti fosse stato un errore...?»

I singhiozzi che si sforza di soffocare mi fanno tremare.

Non può crederci davvero.

«Cazzate.», sfiato, col cuore a pezzi, senza muovere un muscolo, senza toglierle lo sguardo di dosso. «Niente di ciò che c'è tra noi è un errore. Se altri errori ci sono stati, saranno passati, con altra gente, in altre storie, ma non è niente che riguardi davvero me e te.»

Osservo il suo mento farsi più tremante, i suoi occhi più spenti mentre le lacrime le colano di nuovo sulle guance.

Perché pensa che siamo un errore? Forse la colpa non è dello stronzo dell'altra sera ma... mia?

Ricordo la prima volta che ho visto Demetra. È accaduto qui, in fondo al corridoio. Aveva quei jeans strappati alle ginocchia, l'aria curiosa e quell'ombra buia nello sguardo che mi ha colpito.

Fermo, piantato nel mezzo di quello stesso corridoio come in un déjà vu, una sola cosa mi vortica nella mente: o tutto questo non ci riguarda davvero, ma proviene da qualcosa di molto più arretrato e doloroso, oppure ha trovato qualcosa in me che la rende insicura e le sta facendo rinnegare ogni momento.

«C'entra qualcosa Connie, per caso?», sputo tutto d'un tratto, sentendo i palmi ribollire.

Demetra aggrotta subito le sopracciglia. «Cosa? No!»

«Sicura? Perché se è il mio rapporto con lei a darti motivo di dubitare di me, ti posso assicurare che siamo solo amici.», ribadisco subito. «Siamo andati a letto insieme, sì, ma lei sa già che tu sei importante per me! L'ha capito da sola, quella sera al Jamboree!»

Demetra schiude le labbra e spalanca di più le palpebre come fosse stata colta di sorpresa. Mi fissa, a lungo, con aria esausta. Poi prende un respiro profondo. «Constance non c'entra niente...», mormora con voce nasale, stropicciandosi la faccia con entrambe le mani.

«Quindi c'entro io?», continuo un po' assillante. Non ho più un solo briciolo di pazienza, e lo sento nel sangue che mi pulsa nelle vene, nelle falcate nervose che muovo per fronteggiarla. «Ho sbagliato qualcosa? Ti ho dato modo di non fidarti di me?»

«Aidan, no! No!», urla snervata e stanca. Le spalle basse e rigide sotto il giaccone, il viso umido. «Tu non hai mai sbagliato niente!»

«Allora perché questo continuo fingere e scappare, nascondersi da me, da Rose, da tutto e tutti? Cosa stai facendo, Demi? Cosa cazzo stai facendo?! Parlami!», incalzo esasperato con le lacrime agli occhi. «Rivoglio indietro la ragazza che si imbarazzava a stringermi la mano, quella che mi baciava con lentezza e si preoccupava di chiudermi la giacca per non farmi ammalare, quella che si illumina quando si parla di Shakespeare e che mi rimprovera perché ordino un caffè americano e non un espresso. Rivoglio lei. Rivoglio te!»

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