104 - Demetra

Seduta sul divano, rileggo gli ultimi messaggi che Aidan mi ha mandato e a cui io ancora non ho trovato la forza e il coraggio di rispondere. Mi ha scritto per chiedermi come stessi e dove fossi, se da sola o insieme a qualche collega di università e se avessi bisogno di un passaggio verso casa o di qualsiasi altra cosa. Ha detto anche che gli manco, che vorrebbe sentire la mia voce, che vorrebbe vedermi, abbracciarmi, baciarmi... ma che per il momento si accontenterebbe anche solo di una risposta.

Devo sembrargli così stronza...

Sono una stronza, e non merito nessuna delle sue attenzioni.

Tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere.

Col cuore in preda al panico, in balia di una tempesta dicotomica tutta mia, mi ritrovo a fissare la sua foto in alto nella chat. È quella che scattammo tutti assieme a Manchester, la sera del concerto al The Archfiend's Institute.

Ignorarlo e tentare di tenerlo lontano mi fa male. È così doloroso, forse stupido, quasi sicuramente inutile. Che senso ha non rispondere ai suoi messaggi se non riesco comunque a togliermelo dalla testa un solo minuto? Che senso ha obbligarsi a chiudere la porta, trattenersi e tenersi a distanza quando dall'altra parte c'è tutto ciò di cui si sente il bisogno?

Ripenso a tutte le parole che ci siamo confessati negli ultimi giorni, alle dita intrecciate, ai sorrisi in mezzo alla gente, ai baci scambiati al buio, col desiderio sciolto nella dolcezza. Rivedo i suoi occhi cristallini, quella macchia castana nell'occhio sinistro che tanto adoro. Sento l'eco della sua voce profonda dirmi di essersi innamorato di me.

«Credo questi possano starti, e anche se li sporchi di vernice non importa.» Leo mi sorprende, sbucando dal corridoio con una T-shirt d'un blu sbiadito e un vecchio pantalone da ginnastica che ha recuperato per me.

Non sono ancora pronta per tornare a casa, ed è anche probabile che ci sia Aidan con Rose per via della crioterapia. Forse, per un altro paio d'ore, è meglio che stia qui e aiuti Leo come avevo promesso tempo fa. «Andranno benissimo. Grazie.»

Abbozzo un sorriso che non mi riesce davvero e mi alzo per andargli incontro. Il telefono lasciato tra i cuscini del divano.

«Novità?», mi chiede indicando il cellulare col mento mentre gli sfilo i vestiti dalle mani.

«Nessuna e-mail da parte dell'università. Quante possibilità ci sono che ciò che è successo passi in sordina?»

«Il peggio che possono fare sarà richiamarvi entrambe. Dubito possano compromettere un percorso di studi solo per una lite.» Leo mi cammina davanti per raggiugere la cucina. Schiude la finestra e tira fuori dalla tasca dei jeans larghi il suo pacchetto di sigarette. «Niente neanche dalla tua amica stronza o da Aidan?»

Quel nome pronunciato a voce alta mi fa mancare un battito. Una volta di più, il mio corpo freme. Mi giro verso di lui, i vestiti ancora stretti tra le dita. «Aidan?»

«Se conosco i suoi meccanismi mentali, e ti assicuro che li conosco, alla notizia che hai avuto un incontro di pugilato con quella là, sarebbe corso al campus o direttamente qui pronto a capovolgere il mondo e assicurarsi che tu stia bene.» Mi fissa per un lungo momento, con la sigaretta premuta tra le labbra sottili. «Il fatto che ancora non sia arrivato a buttare giù la porta, mi fa pensare che non gli hai detto nulla. O sbaglio?» Leo fa scattare l'accendino due volte prima che la sigaretta si accenda. Prende una boccata di fumo guardandomi dritto negli occhi.

Non sono abituata allo sguardo serio che mi sta rivolgendo. Sembra rigido, forse deluso, e non so se sia per come mi sto comportando. Prima il caos con Marzia che l'ha costretto ad intervenire e ora tutta la faccenda attorno ad Aidan.

Colpevole adesso, incasso la testa tra le spalle. «Non gliel'ho detto.»

«Perché no? Paura della sua reazione?», insiste soffiando il fumo di lato senza scostare lo sguardo da me. «Aidan a volte può essere soffocante, ma non lo fa con cattiveria.»

«Lo so, so che si sarebbe preoccupato per me perché... ci tiene.» Deglutisco. Il cuore stretto in una gabbia di spilli che ho creato io stessa. «È solo... tutto troppo complicato adesso...»

Respiro a fatica, quasi non riuscissi più a prender aria. Con uno scatto nervoso e robotico, cerco di avviarmi verso il corridoio per chiudere il discorso. Poi torno indietro, per fottutissima educazione. «Vado un attimo in bagno a cambiarmi e torno. Tu pensa pure a cosa farmi fare, ma ricordati che non so usare i rulli.»

«Cosa è complicato, Demi?» Incerto, Leo increspa la fronte e soffia via un'ultima boccata di fumo prima di chiudere la finestra. «Non state assieme? Avevo capito che le cose tra te e Aidan fossero avviate ormai...»

La direzione che sta prendendo questa conversazione mi spaventa. Già sento male al petto.

«È stato un errore, ma l'ho capito e sto cercando di rimediare. Non posso permettermi di sbagliare ancora.» Le gambe tremano. Abbasso lo sguardo e tento di sfuggire, se non alla situazione ormai stretta, almeno ai suoi occhi.

«Cosa hai sbagliato?»

«Ho sbagliato ad innamorarmi di Aidan! Ecco cosa!», sfogo a voce alta, prendendomela con lui come farei con me stessa. Il naso pizzica e, per un momento, l'espressione seria e tesa di Leo, si annacqua dietro le lacrime che trattengo.

Quegli occhi grigi restano fissi su di me, le labbra tanto strette da sembrare ancora più sottili. «E questo sarebbe un errore?»

«Sì, per me lo è! Perché innamorarsi significa abbassare le difese, investire fiducia e speranza, rendersi vulnerabili!» Gesticolo tanto ma mi fermo d'un tratto. Prendo fiato, tiro su col naso. «E io non posso più permettermi di essere vulnerabile...»

«Innamorarsi non significa di certo solo guai e debolezza.»

«Be', io sono sbagliata perché l'amore non fa altro che portarmi ad un errore dopo l'altro!»

Le sopracciglia di Leo guizzano un momento. «Se ti riferisci a storie precedenti andate male, suppongo sia normale, no? Chi non ha mai preso abbagli per le persone sbagliate?», insiste spalancando le braccia, parecchio confuso. «Se ti sei innamorata adesso, è capitato e basta, e non è qualcosa che puoi aberrare o vivere con troppa testa. Non è per fare il Platone della situazione, ma mente e cuore sono agli antipodi, nemici da sempre.»

«Io però non voglio essere il campo di una nuova battaglia.»

Una sensazione amara e acida mi brucia la gola. Scosto lo sguardo altrove, verso la finestra, sforzandomi di ricacciare indietro le lacrime. Le dita tremano attorno ai vestiti che stringo forte.

Leo deglutisce, in silenzio per qualche lungo momento. Sospira poi, e muove qualche passo verso di me. «Demi, se è Aidan a renderti tanto insicura, posso assicurarti che ciò che prova per te è sincero.»

Mi avvolge le spalle con entrambe le mani e un brivido mi scuote non appena il suo calore raggiunge la pelle. La camicia è troppo sottile, troppo, troppo. In uno scatto terrorizzato, fuggo da lui. «Non è Aidan il problema! Sono io! Leo, sono io! Guardami!» Piango, timorosa e colpevole anche solo dell'espressione inerme e attonita che gli ho lasciato addosso.

«Ti sto guardando, cazzo!» Sbraita ad occhi sbarrati. «Ti sto guardando e onestamente non vedo cosa ci sia di sbagliato in te né dove sia il cazzo di problema!»

«Ciò che ho fatto è il problema! I miei errori sono il problema e ce li ho ancora con me!»

«Quali errori hai con te, Demi?! Cos'hai fatto di così imperdonabile, si può sapere?!» Quel tono piccato e l'atteggiamento infastidito di Leo mi danno uno scossone al cuore.

Le braccia mi crollano lungo i fianchi. I vestiti che stringevo tra le dita cadono attorno ai miei piedi. Tremo. L'immagine di Leo davanti a me  si perde tra le lacrime che piango mentre, bottone dopo bottone, comincio ad aprire la camicia che indosso.

È in mezzo ad un soggiorno disastrato, tra polvere e cose vecchie, che decido di mostrare il peggio di me. La mia polvere e le mie cose vecchie.

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