II. Liberi
"La pressione che diventa depressione
La paura che diventa odio, l'ansia che diventa orrore
La morte che diventa un desiderio
Un incubo diventa vero, la droga che diventa amore
Mi tengo tutto dentro
Nessuno lo sospetta ma io sto impazzendo"
– Chris Benoit, Mostro
Era di nuovo ad una delle feste enormi di Rick, un suo amico. Nonostante non avesse voglia, dopo una giornata a scuola e a lavorare in officina da suo zio. Ma lo aveva quasi costretto e allora avrebbe dovuto indossare la solita maschera da spaccone stronzo. La verità era ben diversa. All'inizio delle superiori aveva fatto amicizia con questi ragazzi che non facevano altro che divertirsi, li aveva trovati divertenti, si era adattato a loro. Ma con il passare del tempo, fingere era diventato stancante. La verità era che lui studiava molto per conseguire ottimi risultati che gli avrebbero permesso di avere una borsa di studio per l'università più lontana che gli veniva in mente, per andarsene da questo schifo di città, dove tutti erano finti. Buttò la sigaretta a terra e la spense con il piede, si passò le dita tra quei ciuffi corvini mentre faceva un profondo sospiro. Il fumo uscì dalle sue labbra, danzando. Mancava poco al diploma, no? Si diede coraggio ed entrò, come al solito aveva lasciato la porta, della sua gigantesca casa, aperta. Chiunque poteva entrare.
«Matth, finalmente sei qui!» una voce lo accolse, seguito da una pacca sulla spalla.
«Non potevo mancare, Jona», ghignò alzando un lembo della bocca. Ogni volta che metteva quella maschera, sentiva che tirava sempre più, che stringeva il suo viso e gli provocava dolore.
«È pieno di ragazze», aggiunse il suo amico allusivamente. Disgustoso, era proprio disgustoso. Non era mai stato d'accordo con quella visione delle ragazze come oggetti. Aveva una sorellina e sapere che sarebbe stata vista in quel modo lo faceva arrabbiare.
«Vedrò cosa posso fare», lo liquidò prendendo un bicchiere di birra prima di ricevere un'altra pacca sulla spalla.
Rick gli sorrise divertito, «Amico, non sai cosa ti sei perso». Rimaneva sempre il solito esagerato. Era sicuro che gli avrebbe raccontato una delle sue "avventure".
«Cosa mi sono perso?» chiese il corvino facendo un sorso di quella birra amara. Ne aveva proprio bisogno.
«Alcuni ragazzi hanno alzato troppo il gomito ed hanno colpito Liam», raccontò ridendo.
Liam? Quel Liam? Il così detto "perfettino della classe"? Non sembrava un tipo da feste ed alcol, anche se di lui sapeva ben poco. Proveniva da una famiglia di avvocati, era bravo a scuola e veniva sempre escluso. Non sapeva bene il perché, ma lui non aveva fatto nulla per impedirlo. Parlava solo se interpellato, in molti credevano fosse muto. Veniva sempre a scuola con una camicia ed un maglioncino, i suoi ricci biondi come oro sempre ben in ordine ed i suoi occhi azzurri, cristallini, erano sempre rivolti verso il basso. Aveva una pelle diafana, sembrava non avesse mai preso sole come una specie di vampiro. Sinceramente, non ci aveva mai parlato e neanche gli interessava più di tanto farlo. «E adesso dov'è?» doveva pur far finta di essere interessato.
«Non lo so, si teneva la faccia ed è corso via», scoppiò a ridere nel ricordare la scena. «Comunque, ho visto Patricia. Forse è la volta buona che la convinco ad uscire con me», aveva una strana ossessione per quella ragazza. Che si fosse innamorato? Lo vide sparire tra folla, inghiottito.
Ed ora? Non aveva alcuna voglia di ballare, né tanto meno di continuare ad indossare quella maschera sempre più stretta. Salì le scale, l'unico posto in cui Rick non permetteva a nessuno di entrare era la terrazza perché i suoi genitori si erano lamentati del fatto che poteva essere pericoloso. Aprì il pacchetto, sfilò una sigaretta, la passò lentamente tra le dita per poi posizionarla tra le labbra. Aprì la porta a vetri che dava sulla terrazza, la brezza gli accarezzò delicatamente il viso come per dargli il benvenuto. Si chiuse la porta alle spalle, soffocando i rumori della festa. Fu lì che lo vide, rannicchiato in posizione fetale, con le spalle al muro, il volto nascosto tra le braccia conserte. Quei ricci dorati sfioravano la pelle pallida delle sue braccia. Liam non era andato via. Senza distogliere lo sguardo da quella figura mingherlina, si accese la sigaretta. Doveva dirgli qualcosa? Che cosa poteva dirgli? Non ci aveva mai parlato, poteva fare domande? Perché mai avrebbe dovuto dirgli qualcosa? La soluzione migliore era indietreggiare lentamente e silenziosamente e svignarsela. «Non pensavo fossi ancora qui», entrambi sussulatarono. Aveva parlato senza pensarci.
Liam alzò lentamente il capo ed incrociò i suoi occhi azzurri come il cielo d'estate con quelli grigi come la strada di Matth. Era la prima volta che si guardavano negli occhi, il silenzio sembrava averli circondati. C'erano solo loro lì. Aveva le gote leggermente arrossate, umide di lacrime salate. Le sue labbra, solitamente rosee, avevano uno spacco e del sangue si era seccato intorno. Tirò su con il naso, «Matthew?».
Si ricordava il suo nome? «Non chiamarmi con il mio nome completo, lo detesto». Si sedette a terra, al suo fianco, «Chiamami Matth».
«Perché?» si asciugò goffamente le lacrime rimaste su quelle ciglia lunghe, chiare.
«Perché mi sembra troppo elegante per me, solo la mia famiglia mi chiama così».
«Intendevo, perché non dovrei essere qui?»
«Sei stato colpito, pensavo fossi tornato a casa. Tutto qui».
«Non posso tornare a casa così presto, dopo che ho insistito per venire qui» ammise. Che anche lui non fosse ciò che mostrava?
«Ma rimanere qui, da solo, non ha senso».
«Lo stesso vale per te».
«Touchè», ridacchiò notando che anche il biondino aveva fatto un piccolo timido sorrisino. «Ti va di svignarcela?» in fondo neanche lui voleva rimanere lì.
«Per andare dove?»
«Niente domande, o si o no», si alzò da terra. «Allora?»
«V-va bene», ammise seguendolo, titubante.
§
Si trovavano davanti ad un'officina chiusa. La sola illuminazione erano i lampioni e l'atmosfera era simile ad uno di quei film dell'orrore dove gli stalker spiano la vittima. Il silenzio era quasi surreale, interrotto soltanto dal fruscio delle foglie.
«Mi hai portato in un'officina?» Liam aggrottò la fronte, confuso.
«È l'officina di mio zio, ci lavoro ogni giorno dopo scuola», spiegò mentre apriva una delle due serrande. «Vieni», gli fece un segno con il capo entrando, subito seguito dal biondino. «Queste sono le bambine di mio zio», accese la luce ed indicò due moto. Una nera, una bianca. «Una Ducati pinigale V4 e-»
«Honda CBR 1000RR», lo interruppe continuando al suo posto. Ne sembrava estasiato.
«Non pensavo lo sapessi. Sono bellissime, vero?»
«Ho la passione per motori e macchine», strofinò il palmo sulla nuca, timido. «Sono bellissime».
«Buono a sapersi», Matthew gli mise il casco tra le mani, «Spero tu sappia anche guidarle».
«Aspetta, cosa?» sgranò gli occhi, «Ma sono le moto di tuo zio».
«Si, ma non ha fatto altro che tenerle qui a prendere polvere. Evito che le gomme si appiattiscano», si giustificò salendo sulla Ducati nera ed infilandosi un casco.
Liam lo imitò salendo sulla Honda bianca.
«Seguimi, voglio portarti in un altro posto», sorrise sotto il casco e partì senza attendere risposta.
Sfrecciavano liberi tra le auto, l'aria s'infrangeva su di loro come una carezza. Erano liberi, da pensieri, dai problemi, dal mondo, da tutto. Sfrecciavano nella notte, sotto una luna che li guardava da lontano con un leggero sorriso enigmatico. Si fermarono fuori dalla città, dai rumori, sopra ad una collina con una staccionata in legno, consumata.
Si tolsero i caschi e lo vide. Vide un sorriso solcare il volto del gracile biondino, lo vide curvare quelle labbra rosee ferite. «Allora?» distolse lo sguardo da quelle labbra.
«Non mi sono mai divertito tanto, grazie». Scese dalla moto avvicinandosi alla staccionata che avrebbe dovuto fare da guardrail e vi si sedette sopra.
Il corvino lo affiancò, «Vengo spesso qui quando voglio stare tranquillo, quando voglio evadere».
«Da cosa?»
«Dalla vita. Da quando papà è morto la mamma si fa in quattro per me e mia sorella. E per aiutarla ho iniziato a lavorare all'officina», sfilò il pacchetto dalla tasca estraendo una sigaretta.
«E i tuoi amici?»
«Loro non sono miei amici», posizionò quel bastoncino di tabacco tra le labbra e lo accese. «Penso che con gli amici tu possa essere te stesso, molto tempo fa ho capito che con loro non potevo esserlo», stese il pacchetto a Liam che accettò l'offerta.
«Perciò con loro indossi una maschera», non era una domanda ma una constatazione.
«Già», perché parlava come se ne sapesse qualcosa? Perché gli stava raccontando di sé? «Comunque non ti facevo tipo che fuma», ridacchiò.
«A volte si mostra solo ciò che si vuole mostrare, no?» sbuffò del fumo. «Posso usare anche io questo posto? Per evadere, intendo».
«Da cosa mai dovresti evadere, principino? I tuoi voti scolastici sono eccellenti, economicament-»
«Queste cose non sono tutto nella vita. Mi sento oppresso dalle aspettative che la mia famiglia mi mette ogni giorno sulle spalle, il fatto di dover eccellere in ogni cosa che faccio. Per non parlare del fatto che vengo paragonato ai miei fratelli già divenuti avvocati. Io... »
«Vivi nelle loro ombre», concluse al suo posto.
«Già. Spesso mi sono sentito solo in quell'ombra, schiacciato da quelle aspettative, mi sono sentito a disagio sia fuori che dentro casa, non mi sono sentito abbastanza. Ho cercato di farla finita», sussurrò mentre si massacrava le dita. Era evidentemente agitato, non lo aveva mai detto a nessuno. Nessuno sapeva ciò che era successo oltre la sua famiglia, nulla era trapelato. A chi avrebbe dovuto dirlo? Non aveva mai avuto amici.
«Allora sono stato fortunato», si sentì quelle iridi azzurre su di sé, ma non le incrociò continuando a guardare la città piena di luci. «Se fossi riuscito nel tuo intento non avrei mai passato questa bella serata, no?»
«Sono facilmente sostituibile, Matthew».
Continuava a detestare il suo nome, ma detto da lui, con quella voce così gentile, non sembrava tanto male. Si voltò finalmente a guardarlo, «Non lo sei, Liam». Un silenzio assordante li pervase, li circondò. L'azzurro si mescolò con il grigio, le pupille si fusero assieme. Matth avvicinò lentamente il viso a quello pallido del ragazzo fino a sfiorargli delicatamente le labbra. Erano calde. Leccò il labbro inferiore per poi baciarlo. Infilò le dita tra quei ricci aumentando il contatto. Si staccò lentamente aprendo gli occhi, lo osservò. Aveva ancora gli occhi chiusi, con quelle ciglia lunghe bionde che rendevano il suo viso ancora più delicato. Poi l'azzurro invase la sua mente, i loro visi ancora vicini.
«Il tuo viso senza maschera è il più bello che abbia mai visto, perché guardandoti negli occhi non ho potuto solo vedere la tua anima, ma anche sfiorarla», sussurrò mordendosi leggermente il labbro spaccato.
«Si sono sfiorate», sibilò correggendolo.
«Si sono baciate», rispose Liam con le gote leggermente purpuree. Con la luna che faceva loro compagnia in un mare blu, pieno di stelle e la città, piena di luci, lontana. Erano finalmente liberi.
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