6 Un vecchio ritorno

Joshua sospirò sollevato non appena Cade venne portato via; aveva altre cose da fare, ben più importanti di una futile promessa che non aveva importanza né morale né civile.
Non sapeva neanche il perché gli aveva promesso una casa: lui era Joshua Joyce, il futuro rivoluzionario degli Stati Uniti, e non poteva abbassarsi a un texano senza lavoro.
Sbuffo' ed accese il cellulare, un nuovissimo modello appena uscito in commercio, sostituendo quel vecchio rottame che aveva avuto ai tempi del disastro di Hong Kong. Inviò un'email a Wembley, il suo dipendente più fedele, con su scritto:

I prototipi sono pronti?

Dopo qualche minuto lo scienziato gli aveva risposto con un:

Sissignore. Sono pronti per il collaudo

E allora Joshua aveva concluso con un:

Prepara il tutto. Arrivo tra due minuti


Gill Wembley sospirò, lasciandosi andare sulla sedia a rotelle, completamente esausto; dopo due anni di duro lavoro, lui e i suoi colleghi avevano terminato la creazione dei prototipi, esaurendo tutto il Transformio che era rimasto sulla Terra e smontando completamente tutti i vecchi robot da cui lo potevano ricavare. Chiuse gli occhi e si concesse un donut, prendendolo da una scatola bianca, posta alla sua destra. Si rilassò, lasciandosi andare sullo schienale, ma dopo neanche cinque minuti udì una voce severa che lo richiamò.
"Wembley".
Lo scienziato aprì gli occhi di scatto, vedendo con sgomento il suo capo.
"Sì signor Joyce?", domandò, mettendosi in piedi in fretta e furia.
"Avete terminato veramente?", chiese Joshua, incredulo.
"Sissignore. Come può vedere tutti e gli otto prototipi sono terminati".
Indicò col braccio tutti i robot che regnavano nel lato più corto del laboratorio, un gigantesco capannone pieno di macchinari e scienziati. I Transformers erano allineati tra loro, in piedi; in quest'ordine vi erano Nistro Zeus, Berserker, Infernocus, Megatron, Barricade, Mohawk, Dread bot e Onslaught. Tutti loro avevano una cosa in comune: oltre ad essere formati dal Transformio ed avere il nome segnato su un cartellino informatico, buona parte del loro metallo era della derivazione - anche piccola - del Megatron originale.
"E come avete sistemato il loro sistema di obbedienza?", domandò Joshua a Wembley.
Quest'ultimo premette un tasto sulla tastiera tuch della scrivania e i Transformers vennero colpiti da una scossa elettrica, prendendo vita: gli occhi erano rossi o verdi, ma tutti parevano carichi di una forza paragonabile a quella di un dio. Appena Megatron riconobbe Joshua gli si inginocchiò con rispetto, imitato dagli altri robot.
"Ordini signore?", domandò con tono regale.
Joyce non disse nulla, ancora sorpreso di tale obbedienza. Fece per parlare, ma dal computer della postazione di Wembley si udì un allarme sottile ma fastidioso, come quello del forno quando segnalava che il cibo al suo interno stava bruciando. Joshua gli si avvicinò e assieme a Wembley analizzò la situazione: non era un allarme, ma la notifica di una videochiamata in arrivo, proveniente da un punto non ben precisato del nord America, approssimativamente a pochi chilometri da Chicago. Joshua avviò la chiamata: quando lo fece, vide seduti all'interno di un'auto i suoi due tramite, coloro che erano rimasti in America per sorvegliare il lavoro della ragazzina.
"Che volete?", chiese il capo.
"Signore" attaccò Davis "la ragazza ce l'ha fatta".
"A fare cosa?".
"A sistemare il Transformer", rispose Max.
"Siete sicuri?".
"Sissignore" riprese Davis "ha fatto un ottimo lavoro, impiegando molto meno tempo del previsto".
"Perfetto".
"Quali sono gli ordini adesso?", domandò Max.
"Nessuno. Vi aggiornero' io".
Chiuse la comunicazione e tornò a guardare Wembley.
"Un altro Transformer per la mia collezione", disse il pelato.
"Dove si trova signore?".
"In campagna, vicino a Chicago".
"Ma è in America".
"E allora?".
Joshua guardò i Transformers, ancora in ginocchio, in attesa di ordini.
"Ho un compito per voi", disse guardandoli.

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