14 Un passato da non dimenticare

Dopo pranzo - poco dopo l'autorizzazione del padre a lasciare Heather a casa loro e l'arrivo della sorella - Alessia mostrò alla nuova arrivata la camera da letto. La rossa rimase paralizzata appena la vide: chi l'aveva dipinta aveva vomitato una terribile combinazione di rosa, viola e bianco. I mobili erano rosa carne, perfino i letti; tuttavia - anche se sembrava la stanza di una bambina - molte cose lì dentro stonavano con quei colori. Un esempio erano le lenzuola: erano colorate, ma non c'era neanche una goccia di rosa in loro. Altri esempi erano i poster di film - appesi alla porta e sopra ai letti - e le due mensole di tre metri, ciascuna piena zeppa di libri. C'era una scrivania che faceva angolo in fondo a destra; era bianca, e in un angolo vi erano due foto. Quella di destra raffigurava un uomo anziano, dai capelli corti e bianchi; aveva i baffi biancastri, e portava degli occhiali da sole. Era seduto su una sedia all'interno di un ristorante, e appariva girato verso l'obiettivo della fotocamera. Nell'altra foto invece c'era una donna: aveva i capelli corti e riccioluti, di un castano scuro. Gli occhi erano dello stesso colore ed aveva un sorriso a trentadue denti. Heather la fissò e guardò anche Alessia, notando tra le due donne una somiglianza stratosferica.
"So che non ti piace il rosa" disse la mora "ma questa stanza ha anni, e non ci possiamo permettere di ridipingerla".
"Capisco" Heather indicò le due foto "chi sono questi?".
Alessia le guardò.
"Amedeo Evangelista e Mirato Desi" rispose "mio nonno e mia madre".
La rossa si sedette sul letto adiacente all'entrata.
"Desi?" domandò "Vuoi dire Daisy".
"Desi, non Daisy. I suoi genitori l'hanno voluta chiamare così".
"Ma che nome è?".
"Ma che ne so".
Si sedette frustrata di fianco a Heather, sospirando. L'altra ragazza la guardò, e notò che al collo portava due collane: la prima era da uomo, con come pendolo un alieno xenomorfo arrotolato su sé stesso, quasi a formare un cerchio. Il secondo ciondolo era più piccolo e la catenina sottile; il pendolo era una D color argento.
"Suppongo che quella D stia per Desi", disse Heather, guardando la collana.
Alessia annuì.
"Non l'ho mai potuta indossare quando c'era la mia matrigna. Parlare di mia madre era un tabù".
"E perché?".
"Colpa della mia matrigna, Lisa. Era invidiosa, quindi con lei di mia madre non se ne poteva parlare, e i gioielli come questo" guardò la collana con la D "erano vietati".
"Che troia".
"Parole sante. Tua madre com'è?".
Heather sospirò.
"Le hanno sparato. Dovevano uccidere me, e lei mi si è messa davanti, salvandomi".
"Mi dispiace. Tu almeno l'hai conosciuta, e ti ricordi di lei. Io invece no".
"No?".
"No. È morta quando avevo quattro anni. So com'è fisicamente per via del video del suo matrimonio con mio padre, e di carattere...tutti dicono che io sono una sua fotocopia".
"È un bel complimento".
"Sì...".
Rivolse lo sguardo verso il parquet, come rassegnata.
"Se mi posso permettere..." cominciò a dirle Heather "posso chiedere com'è morta tua madre?".
"Cancro allo stomaco" rispose senza guardarla "mio padre l'ha aiutata e sostenuta per tutto il tempo in cui era malata, fino alla sua morte...".
"E voi? Intendo, te e tua sorella, che avete fatto?".
"Stavamo a casa, e quando eravamo sole andavano da dei maledetti che comunemente si chiamano nonni".
"Non ti piacevano?".
Alessia alzò la testa e guardò Heather negli occhi.
"A quei maledetti non è mai importato di noi, nemmeno della loro figlia malata! Non sono mai andati a trovarla, e non hanno versato neppure una lacrima alla sua morte! È colpa loro se ho perso un anno di scuola!".
"Colpa loro?".
"Sì! Non mi hanno mai fatto abituare al parlato, e per questa cosa ho dovuto fare non so quante visite da medici e psicologi! Al terzo anno di asilo parlavo come una bambina di due anni, e quindi ho dovuto fare un quarto anno per imparare meglio a parlare, perdendo un anno!".
Alla fine di quello sfogo sbuffo', sdraiandosi sul letto con le ginocchia piegate. Heather invece rimase paralizzata, talmente tanto che non riusciva né a parlare né a pensare. Quella sì che era un'orrenda storia: non ricordarsi della propria madre, avere dei nonni che ti odiano...eppure, Alessia non sembrava disperata o cose simili. Sembrava semplicemente stanca e frustrata, e quell'atteggiamento diede a Heather la possibilità di parlare.
"Vorrei dirti mi dispiace" cominciò a dire "ma so che non cambierebbe niente".
Alessia la guardò e si mise seduta, con un sorriso appena accennato.
"Lo so purtroppo, ma io vado avanti in ogni caso".
"Mi domando come tu faccia".
"Faccio quello che devo e basta, senza piangermi addosso"
Heather sorrise e la abbracciò.
Alessia ricambiò.

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