Capitolo 9

Buondì, prima di leggere ho bisogno di chiarire alcune cosette. Per prima cosa mi sento di dirvi che questo capitolo non è proprio “completo”, nel senso che manca una parte, secondo me, che non sono riuscita a scrivere; non mi è neanche venuta in mente, figuratevi...
Quindi qualsiasi cosa manchi, se dovesse mancare, la aggiungerò più tardi e ovviamente vi avviserò. L'altra cosa è che il capitolo non è corretto, perché, credetemi, se dovessi mettermi pure a correggere questo capitolo vedrebbe la luce il mese prossimo, per come sono fatta io.
Bien, questo era tutto! Vi lascio alla lettura.

Capitolo 9

«Sai, sto seriamente pensando che tu ti stia geneticamente mutando in un coniglio» commentò scocciato Damien alla vista delle carote nel suo piatto. Possibile che quella ragazza mangiasse solo quel dannato ortaggio? Non le mancava il sapore di un fetta di pizza, di una torta o della gelatina alla fragola? Era un mutante, sì, di sicuro doveva essere così...

«Mi piace l'arancione e poi sono salutari» si difese debolmente la ragazza, prima di lanciargli uno sguardo di fuoco. «E poi non devo di certo dare spiegazioni a te!»

Damien sospirò profondamente, provando pena per lei. Prese il piatto di carote e lo sostituì, a malincuore, col suo.

«Che fai?» esclamò allibita la ragazza, fissando la fetta di pizza che giaceva nel piatto al posto delle sue carote.

«Visto che ti piacciono così tanto voglio sentire cosa mi sto perdendo. Magari le carote della mensa sono le carote più buone del mondo e io mi sto perdendo un incredibile viaggio di sapori.»

Addentò una carota e per poco non la rigurgitò nuovamente nel piatto, tuttavia fece finta di nulla e continuò a masticare sotto lo sguardo di Peyton. Ingoiò a fatica quella cosa umida e molliccia e si sentì un eroe di guerra dopo averlo fatto.

«No... fa davvero schifo» fu la sua crudele sentenza.

«Allora ridammi il mio piatto!»

La ragazza tentò di riprendersi il piatto ma Damien fu più veloce e lo tirò verso di sé. «No, ora tocca a te dirmi cosa ne pensi del mio pranzo.»

La capo cheerleader inarcò un sopracciglio e lo fissò stupita del suo comportamento. In fondo erano solo delle stupide carote! Cosa gli importava di ciò che mangiava? Possibile che non gli andasse mai bene niente della sua vita, che stesse sempre a sindacare su ogni cosa?

«Questo giochino per bambini mi ha stancato, Peyton deve stare attenta a ciò che mangia altrimenti nessuno riuscirà più a sollevarla.»

Damien e Peyton, come anche Mason e Sadie, si voltarono verso Sienna. Walker la fissò con visibile ripudio.

«Nessuno ha chiesto la tua inutile opinione, e poi pensa per te che è meglio...»

Il ragazzo ignorò lo squittio offeso della ragazza e ripuntò lo sguardo sulla rossa di fronte a lui, aspettando che si decidesse ad addentare la fetta di pizza ormai fredda. Peyton scelse di non obbiettare oltre e diede un morso alla pizza, trattenne il gemito di felicità nell'assaporare qualcosa di diverso da verdure non condite.

«Allora? Com'è?» le chiese Damien.

«Mh. Ne ho mangiate di più buone.»

E probabilmente era vero, ma era passato così tanto tempo da non ricordarselo nemmeno più e quella fetta di pizza sembrava la più buona dell'intero stato. Vide il ragazzo accennare un sorrisino quasi impercettibile mentre si portava alla bocca un'altra carota, poi ci ripensò all'ultimo secondo e la lasciò cadere nel piatto con una smorfia disgustata, mettendo da parte il vassoio.

Mason le diede un colpetto col piede per richiamare la sua attenzione e col capo le indicò un punto dietro Sadie. «Paige sta venendo verso di noi.»

Peyton lanciò uno sguardo verso la ragazza bassina ma formosa che si stava avvicinando al loro tavolo con un sorriso amichevole. Paige Cooke era al capo del consiglio studentesco, bella e simpatica, fin troppo simpatica, era gentile e disponibile verso tutti e nessuno sapeva promettere e non mantenere come lei. E, cosa più importante, era la migliore amica della ragazza di Liam quindi un chiaro nemico.

«Salve ragazzi!»

Il saluto gioioso della ragazza venne ricambiato da un coro di cupi e depressivi "Ciao".

«Venerdì sera darò una festa a casa mia e mi farebbe piacere ci foste anche voi!» Paige diede gli inviti a Peyton e si allontanò quasi saltellando come un elfo felice.

«Disgustoso...» commentò Sadie.

«Finalmente una festa!» Sienna si agitò felice sulla sedia, afferrando il bicipite di Mason che si stava per portare alle labbra gli spaghetti. La forchetta si agitò per qualche secondo prima che il poveretto perdesse la presa e gli cadesse nel piatto. Damien si stupì di vedere il ragazzo chiaramente seccato e tuttavia scollarsi con delicatezza la ragazza di dosso prima di riprendere a mangiare come se nulla fosse. Doveva ammettere che per essere un'atleta con la fama da testa calda era stranamente calmo e con molta più pazienza di lui, soprattutto con una come Sienna.

«Ci hanno dato quattro inviti...» sussurrò Peyton tra i denti, fissando i cartoncini colorati come se avesse tra le mani delle bombe pronte a esplodere.

«Come quattro? Noi siamo tre!» esclamò Sienna.

La rossa fissò Damien negli occhi e fu subito chiaro a entrambi che quell'invito non era affatto casuale, c'era lo zampino di Liam.

«È chiaro che qualcuno è ansioso di conoscere Walker.»

La frase di Mason fece rabbrividire Aldous di rabbia. Il quarterback allontano da sé il piatto di pasta, la fame gli era improvvisamente passata e poté leggergli sul viso la stessa irritazione che provava lui. Era chiaro che quell'idiota li stesse tenendo sotto controllo e rifiutare l'invito lo avrebbe insospettito.

«Io vengo solo se viene anche Sadie.»

«Cosa? Io non ci penso proprio!»

Il ragazzo strinse tra le mani quella dell'amica, stringendola leggermente.

«Ti prego Sadie, ho bisogno della tua presenza.»

Le guance della ragazza s'imporporarono leggermente e annuì, dissimulando l'imbarazzo in uno sguardo accondiscendente.

«E va bene, in fondo senza di me ti cacceresti solo nei guai.»

Damien le sorrise grato e le strizzò l'occhio. «Esattamente.»

Peyton fissò quella scena con curiosità ma la familiare, e allo stesso tempo sconosciuta, fitta allo stomaco la costrinse a volgere lo sguardo verso la porta della mensa.

«Abbiamo solo un giorno e mezzo per abituarci all'idea di dover recitare la parte degli amiconi davanti a quel bastardo» fece notare Mason. «Dovremo tirare fuori le nostre grandi doti recitative.»

La capo cheerleader sospirò frustrata e stanca, voleva solo essere lasciata in pace da Liam e dalla sua comitiva. Distribuì gli inviti ai compagni e infilò il suo nella borsa senza nemmeno guardarlo.

* * *

«Non ho ancora capito perché io debba accompagnarti a fare compere. È solo una stupida festa!»

«Sì, festa a cui tu mi hai costretta a partecipare. Quindi prendila come una forma di pagamento per doverti fare da balia.»

Damien alzò gli occhi al cielo e senza accorgersene stava imitando l'amica frugando tra gli abiti esposti in negozio, si riscosse con una smorfia disgustata quando gli capitò sotto agli occhi un tubino corto pieno di pallettes e sbuffi di organza.

«Spero almeno tu faccia in fretta, odio stare in posti come questi.»

«Tu odi qualsiasi posto non sia una sala giochi o una fumetteria» gli rispose l'amica da uno dei camerini.

Be', non aveva tutti i torti in effetti...

«Bene, io ho fatto, possiamo anche andare via.»

Sadie uscì dal camerino con un sorrisino soddisfatto, sul braccio giaceva un vestitino rosso che Damien non riuscì a inquadrare del tutto, l'unica cosa che riuscì a notare era la piccola cintura nera in pelle sotto quella che doveva essere la vita.

Riprese a respirare solo quando uscirono dal negozio, l'amica fissava il suo acquisto con aria soddisfatta e Damien dovette ammettere a se stesso di essere abbastanza curioso di vedere la sua amica con indosso quell'abito. Era rimasto, in un primo momento, abbastanza stupito che alla richiesta di essere accompagnata a fare compere, lui a quella stupida festa ci sarebbe andato con un jeans e una felpa e aveva dato per scontato che lei avrebbe fatto lo stesso. Però Sadie era una ragazza, aveva sempre curato il suo aspetto, ed era ovvio che volesse apparire al meglio accanto alle persone più popolari della scuola. Non condivideva tutto quello, ma lo accettava e non le avrebbe mai fatto una morale stupida e inutile.

«Ehi, Damien! Guarda qui!»

Il ragazzo volse lo sguardo verso la vetrina accanto alla ragazza, Sadie gli puntava con l'indice delle magliette bianche con l'imbarazzante foto di un gruppo di ragazzi e sotto vi era una scritta che recitava "migliori amici per sempre". Una cosa davvero imbarazzante...

«A quanto pare sono personalizzabili, che ne dici se ce ne facciamo una anche noi?» chiese Sadie, più emozionata di una bambina a Natale.

«Neanche per sogno! Non abbiamo più cinque anni e poi in che occasione potremmo mai...»

In un secondo, nella sua mente si fece strada un'idea talmente infantile ma irresistibile che non poté trattenere un ghigno compiaciuto. Prese il cellulare dalla tasca e aprì la galleria, sperando di non aver cancellato ciò che stava cercando, sospirò di sollievo quando trovò la foto che lui e il trio di scemi si erano fatti solo qualche giorno prima.

«Ho cambiato idea, entriamo...»

* * *

Chiuse la porta della propria camera e lanciò con un gesto fiacco sia lo zaino che il proprio borsone sul pavimento prima di lasciarsi cadere, stanco, sul letto. Si portò un braccio sugli occhi e tentò di non pensare a tutto ciò che gli stava andando storto negli ultimi tempi; gli allentamenti lo stavano uccidendo e non riusciva a trovare il tempo di studiare come avrebbe voluto, Liam e la sua stupida scommessa aumentavano il carico di stress che si portava dietro. E oltre a quello c'era il "problema" del suo futuro, era scontato a tutti che dovesse vincere la borsa di studio per un ottimo college che gli garantisse una carriera sportiva brillante, eppure a Mason non interessava affatto il football.

Lo odiava, odiava doversi allenare, correre dietro una stupida palla e scontrarsi con bestie che non avevano altra meta nella vita se non di continuare a farsi placcare e mandare all'ospedale per un po' di fama.

Un leggero bussare alla porta lo fece scattare immediatamente e si mise seduto sul letto.

«Mason, posso entrare?»

La voce di suo padre arrivò ovattata nella stanza, ma l'evidente soddisfazione che avvertì in quelle poche parole, in quell'innocua domanda, lo fecero rabbrividire.

«Sì, papà.»

Il genitore, un omone alto e dalle spalle talmente ampie da passare a stento attraverso la porta, entrò in stanza e sorrise al figlio, un sorriso così fiero e felice che Mason provò l'impulso di piangere come un bambino e di scappare da quella casa. Da quella città.

Il padre si sedette accanto a lui e gli batté una pacca sulla gamba. «Figliolo, ho ottime notizie!»

Quelle erano le parole che ormai temeva da quasi nove mesi.

«Ho parlato con il tuo allenatore, e a quanto pare non c'è solo un college interessato a offrirti una borsa di studio, ma bensì tre!» La voce del padre era piena di gioia e avrebbe voluto provarla anche lui. Abbozzò un finto sorriso e si lasciò abbracciare desiderando di poter urlare, urlare che non era quella la vita che voleva, il futuro che sognava, ma tenne tutto dentro e lasciò che il genitore godesse di quel momento anche per lui.

«Sono così fiero di te, Mason. Dovrai addirittura scegliere dove andare, quale proposta accettare, sei il mio orgoglio.»

«Grazie» riuscì a rispondere, inghiottendo dentro sia il singhiozzo che gli era salito in gola che i propri sogni.

Suo padre si allontanò da lui e gli scompigliò i corti capelli. «Tra poco è pronta la cena, tua madre ha preparato il tuo piatto preferito per festeggiare. Cambiati in fretta e scendi, capito?» Lanciandogli un ultimo occhiolino l'uomo uscì dalla stanza del figlio, lasciandolo da solo con il proprio sconforto e dolore. Mason attese qualche secondo prima di afferrare il trofeo che si trovava sul suo comodino e lanciarlo con rabbia dall'altro lato della stanza.

Dannazione lui non le voleva quelle stupide borse di studio! Aveva sperato, invano, che nessuno si sarebbe interessato a lui; era addirittura arrivato a giocare male quasi tutte le partite del semestre pur di allontanare gli occhi da sé, ma a quanto pare nulla era servito. Di sicuro non erano stati il suo talento a renderlo tanto ricercato, piuttosto era essere figlio di un importante ex stella del football a renderlo così prezioso. Suo padre era stato un giocatore talentuoso e super conteso prima che un brutto infortunio lo costringesse a ritirarsi proprio all'apice della sua carriera e, come in ogni cliché, ora stava proiettando su di lui tutti i sogni e la fama che non era riuscito a realizzare o tenersi.

Avrebbe voluto dirgli la verità, ma ogni volta che vedeva il suo volto così fiero, così felice, le parole gli morivano dentro e con esse una parte di lui. Era da un anno che l'uomo era uscito dal brutto vizio dell'alcol e aveva paura che la sua confessione avrebbe potuto farlo cadere di nuovo in quella spirale di distruzione e non poteva fargli quello. Non poteva nemmeno a sua madre, che si era sacrificata tutti quegli anni per lui. Si alzò dal letto e aprì l'armadio, frugò per qualche secondo fra gli abiti finché non trovò ciò che cercava. Strinse tra le mani il piccolo pezzo di marmo bianco ancora incompleto e lo fissò con tristezza per un'ultima volta. Era quella la sua passione, la scultura, lo era sempre stata e da sempre sognava di poter frequentare l'accademia di belle arti, ma sapeva benissimo cosa avrebbe scatenato se lo avesse confessato alla sua famiglia.

Tentò di lanciare quella statuina incompleta al suolo, di mettere fine con lei anche quella parte di se stesso, ma non ci riuscì. Si portò l'oggetto al petto prima di nasconderlo nello zaino e scendere in salotto per la cena. Non era quella la degna fine per quel pezzo di marmo o per i propri sogni, l'indomani avrebbe trovato il modo di sbarazzarsi dell'oggetto senza doverlo necessariamente distruggere. Avrebbe tenuto con sé i suoi sogni soltanto per un'altra notte.

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