[ITA] 20

By _PennyDreadful_
Un'altra giornata persa direbbe tuo padre, un'altra fantastica giornata produttiva pensi, invece, tu.
A Bologna ha piovuto tutto il giorno e hai passato ore a camminare sotto i portici del centro per immortalare le scene più belle che un tempo simile può offrire. Sei stanca, fradicia. L'umidità si è insinuata sotto al giaccone, si è incollata alla pelle e l'ha trafitta fino alle ossa. Eppure tu continui a camminare fiera, con la schiena dritta e il passo spedito verso la fermata del 20. La tua Reflex nella tracolla e gli occhiali ormai luridi infilati nel tasca sinistra, che tanto non ci vedevi più niente con quelle lenti a chiazze.
Pensi già a cosa dovrai fare una volta arrivata a casa. Riguarderai tutte le foto, una per una, con attenzione maniacale e poi scarterai le più brutte. Hai quasi terminato di preparare il progetto a cui stai lavorando da mesi, eppure non sei soddisfatta, senti che manca qualcosa.
La signora Piccoli ti ha promesso un allestimento curato nei minimi dettagli per la tua prima esposizione fotografica. Volti di strada è il titolo che avete scelto insieme, una ventina di scatti rubati ai volti che animano Bologna, la tua amata città.
Hai ancora due settimane per scegliere le ultime foto che faranno parte della serie e ti sembra pochissimo tempo. Sicuramente il vecchio clochard che canta Dalla con il suo cagnolino tra le braccia e la bambina cinese che saltella nella pozzanghera saranno due personaggi da aggiungere alla tua collezione.
Guardi l'orologio, segna le quattro del pomeriggio. Mamma ti sta aspettando a casa. Oggi devi aiutare Francesco a fare i compiti, mentre lei va dall'estetista. "Vieni con me, ti faccio dare una sistemata" ti ripete da anni, ogni volta che prende appuntamento, senza stancarsi dei tuoi rifiuti. Invece tu sei stufa di sentirla e di subire tutti i suoi commenti passivo-aggressivi. Non fa altro che sottolineare quanto la tua taglia di pantaloni non sia adeguata alla tua età. Insiste perché ti cambi colore ai capelli e pettinatura perché "i ricci crespi andavano negli anni '80 quando ero giovane io. Ora fanno solo ridere".
Lo sai benissimo che pesi troppo in proporzione al tuo metro e mezzo di altezza. Odi i tuoi ricci color cenere da che ne hai memoria, ma non sei mai riuscita a disciplinarli, se non raccogliendoli e soffocandoli sotto a uno spesso strato di gel. Non sei mai stata come tua madre. Tu non sai truccarti, non hai gusto nel vestire e non ti è mai importato di apparire più carina. Ami i vestiti larghi e neri, quelli che ti coprono i fianchi morbidi e mascherano il tuo seno prorompente. Gli occhiali da vista, con la loro montatura eccentrica, celano a sufficienza le occhiaie profonde e le tue ciglia rade. Hai imparato fin troppo bene a mimetizzarti, a renderti invisibile, tanto che ormai se senti uno sguardo che si posa su di te ne sei infastidita. Nessun ragazzo fino a oggi ha mai mostrato interesse nei tuoi confronti e non avrebbe senso buttare soldi in stupide sedute di fotodepilazione, ma tua madre non vuole arrendersi; non si rassegnerà mai alla natura sciatta di sua figlia, una figlia che da lei non ha ereditato nulla di buono.
Sospiri e la condensa ti appanna la vista per un attimo. Gli occhiali, dopo una bella strofinata con un lembo del maglione, sono tornati al loro posto e il mondo è di nuovo nitido di fronte a te.
Attraversi la strada di corsa. Il 20 è alla fermata e sta per ripartire. Non hai voglia di aspettare che passi il prossimo, fa troppo freddo.
Uno stridio di ruote che frenano di colpo ti blocca a metà della carreggiata. Un gruppo di passanti si ferma a curiosare.
Ti porti una mano al petto. Il cuore sta pulsando talmente veloce da farti percepire un lieve dolore. Retrocedi lentamente fino al marciapiede.
-Mi scusi. Non l'ho vista arrivare, è colpa mia.-
L'autista della Mercedes ti fa un gestaccio e poi riparte sfrecciando. Il 20 nel frattempo se n'è andato.
Ti incammini fino alle strisce e, questa volta, attendi paziente che il semaforo diventi verde. Qualcuno si piazza alla tua destra, un'altra persona alle tue spalle. Senti il calore dei loro corpi che attenua il gelo invernale. Il semaforo verde scatta e procedete tutti in fila come soldati verso il marciapiede opposto. Tu giri per raggiungere la pensilina e noti con la coda dell'occhio che uno dei due che prima camminava al tuo fianco, ora ha svoltato nella tua stessa direzione. Lo ignori. Ti pianti di fronte alla tabella degli orari e scorri con il dito fino al prossimo autobus previsto. Ancora quindici minuti, se tutto va bene.
Ti siedi sulla panchina d'acciaio. È fredda e un brivido ti percorre dalle cosce fino alle spalle. Leggi distrattamente le notifiche sul cellulare. Controlli l'ora: sono passati solo cinque minuti.
A quel punto ti guardi attorno annoiata. Una signora parla ad alta voce al telefono in una lingua che dall'accento sembra russo. Il ragazzo che ha attraversato la strada con te, invece, continua a camminare avanti e indietro. Sembra nervoso, impaziente. Prende il pacchetto di sigarette che tiene nella tasca posteriore dei jeans, lo apre ed estrae una sigaretta, l'ultima. Lancia l'involucro vuoto nel cestino dei rifiuti e si porta la sigaretta alla bocca. La accende, inspira una lunga boccata di fumo, poi si sfrega le mani. Noti la sigaretta che trema tra le sue labbra screpolate e sfugge per tuffarsi in una pozzanghera ai suoi piedi. Entrambi seguite quel volo silenzioso con stupore, inermi come statue. Lo vedi trattenere un'imprecazione e involontariamente sospiri esasperata. Per un attimo i vostri occhi si incrociano. Sei sinceramente dispiaciuta per lui, lui lo sente. Anche tu poco fa hai perso l'autobus e stavi per essere falciata da un'auto. Pensi che, in fondo, tra sfigati ci si debba aiutare, così cerchi una sigaretta in quel casino che è la tua borsa e gliela porgi.
Le sue pupille si dilatano. Non sa se accettarla o meno, non si aspettava un gesto tanto generoso, glielo leggi in faccia.
-Grazie- dice.
Ha una bella voce e deve avere solo qualche anno più di te. Sulla schiena porta una custodia che contiene una chitarra. I suoi capelli castani sono lunghi e bagnati di pioggia. È vestito in modo semplice, carino, ma la sua giacca di denim è troppo leggera per quella stagione, pensi.
Lui ti sorride e per un attimo qualcosa sembra esploderti dentro. Un fremito mai provato ti scuote e ti senti arrossire. Abbassi lo sguardo, imbarazzata dalla tua stessa reazione e non hai più il coraggio di rialzare la testa finché non arriva il tuo autobus. Nel frattempo preghi in silenzio che il 20 sia anche il suo autobus perché, anche se non avrai mai il coraggio di rivolgergli parola, desideri prolungare quella sensazione di calore nel petto il più a lungo possibile. Temi che quella possa essere l'unica volta che lo vedrai in vita tua e non sei pronta a dire addio a quel sorriso gentile che per un attimo ti ha fatta sentire qualcuno.
L'autobus frena con i suoi cigolii fastidiosi e schizza un po' d'acqua sui pantaloni della signora russa. Sali tenendo le mani affondate nelle tasche e le dita segretamente incrociate. Lui non si muove, non pare intenzionato a prendere il 20. Ti accomodi sul sedile singolo vicino all'uscita e decidi di dargli un'ultima occhiata. Vuoi imprimere nella memoria ogni lineamento del suo viso e dirgli addio. Lo cerchi senza sembrare troppo interessata e ti accorgi che non c'è più. È sparito. Giri la testa a destra e sinistra, ma di lui nessuna traccia.
L'autista chiude le porte e riparte con uno sbuffo del motore. Non hai il tempo di pensare a cosa possa essere successo che riconosci una figura familiare muoversi vicina a te; lo vedi prendere posto proprio nella fila di sedili all'altro lato dell'autobus e resti senza fiato.
All'improvviso un'idea folle ti balena in testa: lui è il soggetto che ti mancava. Quel viso imbronciato, segnato dal freddo è l'immagine perfetta per chiudere la serie di fotografie. Devi solo riuscire a scattare in modo discreto, senza che se ne accorga. Il suo sguardo perso oltre il finestrino ti dà il coraggio necessario per osare, non se ne accorgerà.
Tiri fuori la Reflex, fingi di regolare le impostazioni, punti l'obiettivo in direzioni casuali, poi trattieni il respiro e scatti. Una, due, tre volte. Un particolare che prima ti era sfuggito, ora ti impedisce di distogliere lo sguardo: tra le dita tiene ancora stretto ciò che resta della sigaretta che gli hai donato poco fa. Lui sembra percepire la tua attenzione morbosa e si volta verso di te, ti guarda dritto negli occhi. È serio tanto da fare paura. Si alza e si dirige nella tua direzione, mentre il panico ti divora lo stomaco.
-Hai da accendere?- ti chiede. -Il mio accendino è scarico.-
Annuisci con la testa, ma non riesci a produrre alcun suono. Sei arrossita, di nuovo, e scavi nella tua borsa piena di cianfrusaglie come un cane da tartufo. Dove diavolo l'hai messo l'accendino?
Lo trovi dopo il minuto più lungo della tua vita. Gli occhi castani di lui ti bruciano sulla pelle, mentre aspetta la sua fermata. All'ultimo secondo, prima di scendere, si accende la sigaretta e ti lancia l'accendino. Rispondi al suo cenno di saluto e lo lasci andare via, senza dirgli nulla.
Non hai passato un giorno senza ripensare a quello sconosciuto, ma ti sei rassegnata al fatto che non lo incontrerai mai più.
La signora Piccoli ti accoglie con un abbraccio caloroso.
-Vera, dimmi, sei emozionata?-
-Molto. Ha fatto un gran lavoro, davvero, devo proprio ringraziarla. Ho detto ai miei genitori di venire più tardi. Volevo parlare con lei senza interferenze riguardo alla mostra.-
-Lo capisco, cara, ora parleremo di tutto. Appena vedo i tuoi, però, devo dirgli che hanno una figlia davvero talentuosa. A proposito, ho una grande notizia per te: poco fa è entrata una persona, ha fatto il giro della galleria, si è fermata di fronte a una foto e mi ha chiesto informazioni. Alla fine l'ha acquistata, anche se ho dovuto un po' trattare sul prezzo. È la foto scattata sull'autobus.-
-Questa sì che è un grande notizia. Chi è il compratore?-
-Lo sai che non posso dirtelo. È importante che resti anonimo per te.-
-Ha ragione, mi scusi. È solo che non posso credere che qualcuno abbia dato dei soldi per avere una mia fotografia. È assurdo... Non può fare un'eccezione?-
-Solo per questa volta, perché è il primo acquirente e soprattutto perché è ancora qui che gironzola... Lo vedi quel tipo laggiù, quello con la giacca a quadri? È stato lui a comprare la foto.-
Strizzi gli occhi per mettere a fuoco meglio l'immagine, ma l'uomo è troppo distante. Fai qualche passo per avvicinarti a lui, gli giri attorno senza farti notare. Devi vedere chi ha acquistato la tua foto preferita, chi ha compreso la bellezza di quel profilo in bianco e nero. Sei lì, alla sua sinistra, a un metro e mezzo da lui e come vittima di uno scherzo della tua mente, riconosci i tratti del ragazzo con la sigaretta, lo stesso della foto. I capelli ora sono asciutti e ben pettinati, gli abiti più eleganti. Anche tu sei vestita bene oggi, tua madre ti ha regalato un abito di sartoria per l'occasione e non hai potuto tirarti indietro.
Lo guardi meglio per accertarti che non si tratti di un sogno. È proprio lui.
Non si è ancora accorto della tua presenza e cerchi di allontanarti in silenzio. Vorresti nasconderti o, meglio, svanire nel nulla. Lui ora sa che una pazza lo ha fotografato per strada e non avrai mai più il coraggio di affrontarlo.
I tacchi rimbombano nella sala nonostante i passi leggeri e sei costretta a fermarti. Speri non ti abbia notata.
-Le foto sono eccezionali, sai?-
Speranza vana.
-Grazie- mormori girandoti lentamente.
Lui è di fronte a te, più bello di come lo ricordassi.
-Ho acquistato la mia foto, cioè quella che mi hai scattato sul 20.-
-Scusami. Non volevo, cioè volevo, ma speravo non lo venissi a sapere. Quel giorno ero in giro a cercare nuovi scatti per la mia esposizione e quando ti ho visto ho pensato avessi un volto interessante.-
-L'ho capito da come mi hai ritratto. Credo che nessuno mi abbia mai visto come mi vedi tu e mi piace.-
Resti per qualche secondo in silenzio, senza parole.
-Nessuno ha mai visto me, invece.-
-Io ti vedo. Riesco a leggerti dentro attraverso i tuoi occhi. Le tue foto non mentono.-
-È un caso che tu oggi sia qui?-
Ti domandi cosa significhi quello che ha appena detto, ma non vuoi indagare oltre.
-In realtà no. Sull'autobus hai perso questo- dice, allungandoti il volantino della mostra.
-E quando...-
-Stavi cercando l'accendino nella borsa e ti è sfuggito.-
Il disordine in cui vivi non ti è mai parso così bello.
-Come hai capito che era la mia mostra?-
-Non lo sapevo, speravo solo di rivederti. Poi ho trovato la mia foto e ho capito che eri tu l'artista. Sei davvero brava. Quanti anni hai?-
Lui sperava di rivedere me.
-Venti.-
-Venti fotografie. Vent'anni. L'autobus numero 20- riflette ad alta voce. -Oh... Che stupido, non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Marco, piacere.-
Il numero venti ti porta bene, pensi.
-Vera, piacere mio.-
-Ti posso invitare a prendere un caffè o qualcos'altro da bere?-
Ti sta chiedendo di uscire o ti sta prendendo in giro?
-Quando?-
-Il giorno venti alle ore venti, mi pare ovvio.-
Questo ragazzo è bizzarro, ha gusti strani, però ti piace. E pure tanto.
-Ok. Il venti alle venti- ripeti per essere certa di avere capito bene.
-Ora devo andare. Questo è il mio numero di telefono, puoi chiamarmi, se vuoi, oppure mandarmi un messaggio per farmi avere il tuo numero.-
Infili il bigliettino nella borsetta minuscola che tua madre ti ha prestato.
Guardi Marco allontanarsi.
-Scusa, aspetta!- Lo rincorri. Non vuoi lasciarlo andare via di nuovo senza fare niente. -Ce l'hai una sigaretta?-
Le sue labbra si tendono in quello stesso sorriso che tanto hai sognato nei giorni scorsi.
Vi avviate insieme verso l'uscita.
Marco ti passa l'accendino e il tuo sguardo si posa sull'ingresso del palazzo che accoglie l'esposizione. Il civico è il 20.

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