14 - Perché non restate a cena?
Dapprima brusio, poi vociare indistinto.
Man mano che si avviavano nella direzione indicata dall'uomo del distributore di benzina, Greenerywood sembrava prendere vita.
Adesso riuscivano a scorgere bambini che si rincorrevano e le cui risa giungevano acute fino a loro.
L'imponente costruzione religiosa si stagliava sopra i tetti delle case che però ne coprivano ancora gran parte della visuale se non il tetto aguzzo del campanile che accoglieva tre campane d'ottone.
«Finalmente della movida.»
Jason era stato il primo a svoltare l'angolo di una delle case tutte identiche tra di loro. Davanti a loro si aprì un'enorme piazza al cui centro era posizionato un palco di legno decorato con festoni verdi e gialli. Circa una centinaia di sedie era posizionata sotto di esso, occupata per lo più da persone anziane, mentre i più giovani rimanevano in piedi ad ascoltare la donna che dalla sua posizione sopraelevata parlava alla popolazione.
«...E il banchetto di benvenuto si terrà alle 19:00 alla fattoria McGonall. Siete invitati a partecipare con cibo e bevande. Si terrà l'annuale rappresentazione del ringraziamento e infine la danza attorno al fuoco.»
La donna fece una pausa. I suoi lunghi capelli grigi erano mossi dalla leggera brezza che scopriva i piedi nudi sotto l'abito bianco che sfiorava il pavimento.
«Ma questo sarà un anno speciale. Di rado ci capita di avere ospiti: inaspettati, sì, ma benvenuti.»
Lo sguardo della donna si era spostato sui ragazzi che, spiazzati, non sapevano cosa dire. Cosa fare.
Alla fine fu Madison a fare un passo in avanti ma, prima che potesse dire qualunque cosa, la donna parlò di nuovo, adesso rivolta al pubblico.
«Avremo modo di conoscerli meglio questa sera se decideranno di restare. Non vi rubo più altro tempo, cari concittadini. Tornate alle vostre mansioni e gioite nell'attesa di ciò che accadrà più tardi.»
Il pubblico applaudì con convinzione; alcuni fischiavano in segno di apprezzamento mentre altri auguravano una buona giornata alla donna sul palco.
Non appena la piazza si svuotò quasi del tutto, la donna del palco si avviò nel punto in cui erano rimasti fermi i ragazzi.
«Non volevo mettervi in imbarazzo», disse con un sorriso cordiale, «mi chiamo Melissa Dowan, sono il sindaco di Greenerywood.»
«Molto piacere signora Dowan» , Henry offrì prontamente la sua mano, «non si preoccupi, non ci ha messi in imbarazzo, eravamo solo affaticati dalla scalinata per arrivare fin qui.»
«Oh, poveri cari», Melissa porto le mani al petto, «sarete accaldati e stanchi. Io vivo qui vicino, proprio dietro la chiesa. Perché non venite a bere qualcosa di fresco?»
«Non vorremmo disturbare, son-»
«Insisto», disse la donna senza far finire Henry di parlare.
«Oltrepassate la chiesa e vi apparirà subito una grande casa color salmone. Troverete Helge, la mia governante; ditele che vi ho invitati io e di farvi accomodare in giardino. Io devo spedire dei documenti ma non ci metterò molto, a fra poco.»
La donna sorrise ai cinque e si incamminò verso una delle tante vie strette del paese.
«Dobbiamo davvero andare a casa di una sconosciuta? E se fosse una serial killer?»
Alana intervenne non appena furono di nuovo soli. Voleva mettere in chiaro che non si sarebbe fatta convincere, non dopo quello che era successo nella casa nel bosco. Quella gente era strana: meno avevano a che fare con loro e meglio era.
«E dove vorresti andare? Da qualche parte dobbiamo pur cominciare.»
Madison teneva la schiena dritta e il solito cipiglio stampato in viso, ma la voce aveva avuto un tremito e persino Noah se n'era accorto.
«Temo che non abbiamo molte alternative», si inserì Henry, «ormai siam venuti fin qua, sarebbe sciocco andarcene senza aver dato prima un'occhiata in giro. Soprattutto quando ci sono tutti questi indizi sul jackalope.»
«Sono stufa della ricerca, del jackalope che, spoiler alert, non esiste. Pensi solo ai tuoi interessi, fregandotene dei tuoi amici. Persino Madison vorrebbe tornare indietro ma ha troppa paura di ferire i tuoi sentimenti per dirtelo.»
«Nessuno ti ha chiesto di venire, se non ti va bene puoi sempre tornare al campeggio. La strada la conosci.»
Jason era insieme arrabbiato e sconvolto da quel cambiamento comportamentale. Alana ai suoi occhi era sempre apparsa come una ragazza debole, senza carattere. Mentre adesso poteva scorgere la rabbia mista a paura che trapelava dal suo volto.
Henry appoggiò la sua mano sulla spalla dell'amico, gesto che calmò quel suo scatto quasi immediatamente.
«Come ha detto Jason, nessuno ti ha obbligata a seguirci. E per completezza non ho costretto neanche loro due», disse indicando i suoi amici. Il suo sguardo era duro e inespressivo. Se anche ci fosse rimasto male per le parole della ragazza, Alana non poteva saperlo.
«Siamo qui perché l'abbiamo scelto noi ed è vero che ho un po' di paura, ma è una paura irrazionale di non so cosa. L'unica cosa che so è che io davanti alla prima difficoltà non scappo e ormai sono qui e ci resto.»
Il trio, come era ovvio, si era coalizzato contro di lei.
Alana si sentiva confusa e anche un po' dispiaciuta per le parole che aveva rivolto a Henry. Non si riconosceva più, sembrava che quella che era sempre stata non avesse più il controllo sul suo corpo e sui suoi pensieri e una nuova versione di se stessa avesse preso il sopravvento.
«Noah?»
Jason guardò impaziente il ragazzo. Voleva sapere se era con loro oppure no, perché un'altra scenata come quella non credeva di poterla reggere.
«Io ci sono.»
–--
Il sole cocente picchiava forte sul capo di Alana. Sentiva la testa confusa, non riusciva a collegare bene i vari pensieri che si affollavano nella sua mente e il frinire incessante delle cicale non aiutava di certo.
Le sembrava di aver camminato per ore ma non era riuscita ancora ascorgere il distributore di benzina. Da lì sarebbe stato semplice arrivare alla scalinata e poi al campeggio.
Ma ogni volta che svoltava un angolo di una delle tante vie acciottolate, un'altra via acciottolata identica alla prima si apriva davanti a lei. E altre casette tutte identiche tra di loro costeggiavano la strada immobili e inutili, nessun indizio che le dicesse di essere sulla strada giusta.
–--
«E così voi alloggiate al campeggio?»
Melissa Dowan sorseggiava un infuso alla cannella freddo seduta su una sedia di vimini in giardino.
I raggi solari erano schermati dalla pergola su cui diverse piante di buganvillee si arrampicavano fitte e rigogliose dalla quale alcuni fiori color glicine erano caduti sul tavolo di legno attorno al quale erano seduti i ragazzi. Se anche la signora Dowan si era accorta che ne mancava una di loro non lo diede a vedere.
«Esattamente, adesso abbiamo avuto una pausa di qualche giorno e ne abbiamo approfittato per esplorare la zona.»
Madison aveva preso in mano la situazione ed era lei che portava avanti quella conversazione da circa venti minuti, gli altri facevano solo dei rapidi interventi ma era chiaro che la padrona di casa aveva creato una sorta di legame con l'unico membro femminile del gruppo.
«Spero che vi fermiate a cena, allora. Stasera si terrà l'annuale festa di inizio estate.»
Allo sguardo interrogativo dei ragazzi, quella aggiunse sorridendo: «so che siamo già in estate inoltrata, sono anziana, sì, ma ancora riesco a ragionare bene. Qui a Greenerywood festeggiamo semplicemente l'inizio del raccolto e rispetto a ciò che facevamo durante la primavera, ovvero coltivare e controllare che tutto crescesse bene, questo è un bel cambiamento.»
«è... un'interessante tradizione, e poi le stagioni, o quantomeno i loro nomi, sono dei costrutti umani, nulla vieta di usarli in maniera alternativa.»
Madison poggiò il bicchiere sul tavolo.
«Sarebbe un piacere per noi partecipare a questa occasione speciale, difficilmente una volta ritornati alle nostre case assisteremo a qualcosa di unico come questo. Mi chiedevo se ci fosse un posto, uno spiazzale sicuro, in cui allestire le nostre tend- »
«Non se ne parla! Siete miei ospiti e alle mura di questa casa farà piacere ospitare persone nuove e giovani.»
«Non vorremmo disturbare, davver-»
«Insisto», disse la signora Dowan con dolcezza, «non me la sentirei di far dormire dei ragazzini in mezzo al nulla. Helge vi mostrerà le vostre camere, io adesso ho delle commissioni da sbrigare, ci vediamo direttamente alla festa questa sera.»
«Grazie per l'ospitalità, allora. Ma non sappiamo come arrivare allafattoria per la festa.»
«Nonsarà troppo difficile, quasi tutti andranno a piedi. L'importante èche per le sei e trenta circa vi fate trovare in piazza. Da lìseguite gli altri e il gioco è fatto.»
MelissaDowan si alzò in piedi: «adesso devo proprio andare. Rilassatevi,esplorate il paese, divertitevi. Ci vediamo più tardi», disse rientrando in casa.
–--
La villa del Sole – così si chiamava la casa in cui erano ospiti – era una costruzione diversa dalle altre presenti a Greenerywood. Innanzitutto era di un delicato color salmone, e poi era costruita in pietra. I muri erano spessi e levigati; anche quando cambiavano direzione, gli angoli erano smussati. Le finestre presenti creavano una piacevole corrente che faceva tintinnare le campanelline agganciate alle persiane in legno. Il piano di sopra accoglieva le camere da letto assegnate ai ragazzi, ognuna con bagno privato.
Noah aveva appena finito di farsi una doccia, finalmente libero da quello strato appiccicoso di sudore che ricopriva la sua pelle.
Più di una volta si chiese se Alana era giunta al campeggio. Gli dispiaceva averla lasciata andare da sola, ma ormai si era rassegnato. Le cose tra di loro non sarebbero mai tornate quelle di un tempo e proteggerla a ogni costo non era giusto nei confronti di se stesso, e neanche nei confronti di Alana. Doveva imparare a cavarsela da sola, soprattutto dopo come si era comportata negli ultimi due giorni.
Controllò il cellulare.
Niente campo.
Indossò il cambio di vestiti che aveva portato con se - una semplice maglietta nera con dei jeans scuri – e si sdraiò sul letto posto in mezzo alla camera. Era comodo e riusciva a scorgere il campanile dalla finestra aperta. Diverse fotografie occupavano le pareti. Alcune raffiguravano la signora Dowan seduta su un prato. In altre erano presenti più persone, in posa e non, tutte sorridenti. Infine, c'era quella che aveva catturato l'attenzione di Noah: era una vecchia foto in bianco e nero.
Diverse persone si trovavano in una radura e agli alberi era legato un festone che recitava "festa del raccolto '53".
La donna al centro teneva un bambino fra le braccia. Noah non riusciva a capirne il sesso perché il viso era nascosto da un'enorme maschera dalle fattezze di lepre cornuta.
Al ragazzo vennero i brividi a guardare quella foto. Sembravano tutti felici e forse si trattava solo di una tradizione di quelle zone, ma il tutto gli dava un senso di irrequietezza. Gli occhi vuoti di quella maschera sembravano seguirlo in ogni punto della camera.
Controllò ancora il cellulare.
Niente.
Era inutile rimanere lì con quella agitazione che sentiva addosso. Se fosse stato a casa avrebbe fatto un lungo allenamento per scaricare la tensione, ma lì era bloccato.
Lasciò la camera in cerca degli altri: dovevano assolutamente vedere quella foto.
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