09 - 03:33

Henry Fillmore non ricordava l'esatto momento in cui l'agenda era diventata la continuazione naturale del suo braccio. Pensare a un prima era ridicolo perché quel prima era talmente lontano e sepolto nella memoria che era come non esistesse affatto. Anche vista dall'esterno l'agenda aveva un certo fascino: la pregiata pelle marrore si intrecciava in motivi decorati che ne incorniciavano il perimetro; nel corso degli anni si era arricchita di annotazioni e ritagli di giornale che non permettevano più una perfetta chiusura della stessa che invece si apriva su pagine ogni volta diverse come se tutte avessero la medesisma importanza. Odorava leggermente di chiuso e di muffa, ma quell'odore di muffa che fa venire in mente antichità, ricerche nel cuore della notte, lavoro incessante fino al traguardo. Henry sperava di assomigliare a quella agenda; se non completamente almeno il necessario per poter dire di non essere come gli altri.

Quel pomeriggio erano successe tante cose, troppe cose, che avevano fatto scattare un campanello nella sua testa e non poteva esimersi dall'annotarle subito, prima che i dettagli sfumassero via in quel mare che erano i suoi pensieri.

Non ha senso restare a letto, pensò sgusciando fuori dalla cabina. Ormai era abituato a quell'insonnia che lo accompagnava fin da bambino.

L'immancabile Cartier al polso segnava le 03:33. Si beò di quella coincidenza: le tre erano l'ora delle streghe e proprio quella era, per quanto stupida, l'impressione che gli aveva dato la donna del bosco.

L'aria fresca gli riempì i polmoni e scacciò via il leggero senso di nervosismo che non si era neanche accorto di provare. Andò alla solita quercia, si sedette tra le solite radici e iniziò a scrivere con la solita penna blu. Se ci fosse stato lì suo padre lo avrebbe rimproverato per la ritualità e meticolosità con cui eseguiva determinate azioni. Ma non c'era e anche se ci fosse stato a Henry non sarebbe comunque fregato nulla.

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Alana Mills si era pentita amaramente di essere andata a letto troppo presto e per giunta senza cena. Adesso i suoi occhi vigili fissavano le travi di legno del tetto della cabina e lo stomaco brontolava per la fame. Non era mai stata particolarmente coraggiosa ma se voleva avere una qualche possibilità di riaddormentarsi doveva entrare in mensa e mangiare qualcosa nonostante fosse notte.

Chiuse la porta il più silenziosamente possibile e si incamminò verso la struttura al centro del campo. Era quasi arrivata, l'enorme tetto rosso faceva capolino dalle cime degli alberi, quando sentì di nuovo quella strana musica.

"Lo sto immaginando, lo sto immaginando, lo sto immaginando" si disse per farsi coraggio. Ma in realtà non ci credeva neanche un po'. Adesso che l'intero pianeta sembrava immerso nel silenzio più assoluto riusciva persino a identificare lo strumento che produceva quel suono.

Un flauto. Sembrava quasi di riuscire a vedere le agili dita muoversi sui fori in una danza perenne. Non era una melodia particolarmente bella bensì ipnotica. Non avrebbe potuto fare a meno di ascoltare nemmeno se lo avesse voluto. Assomigliava al fruscio delle foglie, allo scorrere dell'acqua, al ronzio di un insetto.

Ad Alana venne la pelle d'oca proprio sotto ai lobi delle orecchie, in quella parte che non è del tutto viso e non è del tutto collo.

«Alana» chiamò una voce facendola trasalire non appena calò di nuovo il silenzio. Sembravano essere passati pochi attimi ma l'intorpidimento dei piedi fermi sulle radici sporgenti raccontavano un'altra verità.

«Scusa non volevo spaventarti, non sapevo quale fosse il modo migliore di annunciarmi» disse Henry, «probabilmente un colpo di tosse sarebbe stato l'ideale ma mi sembrava stra-»

«Hai sentito anche tu la musica?» chiese la ragazza arrivando subito al punto.

«Sì, un tantino inquietante vero?» sorrise lui cercando di tranquillizzarsi. Il pomeriggio aveva avuto tutto un altro effetto ascoltarla, sembrava plausibile. Ma adesso al buio e da solo aveva avuto paura.

«L'ho registrata» le disse mostrando il cellulare, «domani la facciamo ascoltare anche gli altri».

«Non dormivi?» chiese lei notando l'agenda e la penna che il ragazzo stringeva tra le braccia.

«É il mio talento» ammise con un sorriso che però non raggiunse gli occhi.

Alana lo guardò senza dire niente, non sapeva mai cosa dire quando qualcuno le rivelava particolari che avevano sentore di intimità. Perché per Alana quella affermazione voleva dire ecco, ora conosci una parte di me, siamo un passo più vicini.

«Prendi la mia felpa» le disse notando che indossava solamente una t-shirt a maniche corte.

«Come mai fuori? L'idea di saltare la cena non era poi così buona, eh?» indicò l'edificio a pochi metri da loro.

«Colpevole»

Fortuna che era buio o l'avrebbe vista arrossire.

«Credevo avessi a cuore la violazione di proprietà privata» la prese in giro ripensando alla frase che solo qualche ora prima aveva pronunciato la ragazza.

«Ma tranquilla, non dirò niente a nessuno se ne guadagno un trancio di pizza».

Di pizza, purtroppo, neanche l'ombra e i due ragazzi dovettero accontentarsi di gelato e patatine.

«Tu mi stai dicendo che davvero i tuoi genitori hanno speso tutti quei soldi per comprarti un escavatore cingolato?» chiese Alana scioccata guardano la foto dell'automezzo giallo dal cellulare del ragazzo.

Si erano seduti su uno dei tanti tavoli vuoti con le gambe a penzoloni e, nonostante non avevano acceso la luce, il bagliore della luna si diffondeva dalle enormi finestre rendendo meno nera l'oscurità notturna.

«Le cose o le faccio in grande o non le faccio»

«Ma avresti potuto comprarti qualsiasi cosa e scavare a mano, a quanti metri può trovarsi lo scheletro di un coniglio?»

«Ti assicuro che i resti possono essere rinvenuti a decine di metri di profondità. E poi non vedo perché avrei dovuto scegliere cosa comprare»

La ragazza fece roteare gli occhi. «Ah già, a volte dimentico che nuoti nei soldi»

«Non guardarmi in quel modo» disse lui ferito dal commento della ragazza, «non sono così».

Per quanto si sforzasse, Henry non riusciva a smorzare quell'aspetto del suo carattere. Non si vergognava certo del suo status sociale, senza di quello lui non sarebbe diventato il ragazzo che era adesso. Ma non voleva dare l'impressione di superiorità che spesso il suo aspetto e le sue parole esprimevano.

«Non sono così» ripeté a bassa voce cercando di togliere un minuscolo frammento di foglia dai pantaloni.

«Ti sta colando il gelato sulla maglietta» gli fece notare lei interrompendo quel silenzio.

Un altro passo più vicino.

Dov'è l'uscita di sicurezza?

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«Jason mi fai male» rise Noah sottraendosi alla furia dell'amico che tentava in tutti i modi di buttarlo in acqua dal molo.

«Non fare il difficile, so che lo vuoi» e con una mossa rapida riuscì nel suo intento e poi si tuffò anche lui.

La lezione di nuoto era terminata da un'ora e come accadeva sempre più spesso i due erano rimasti insieme a riordinare.

«Mi devi almeno un bacio» gli disse una volta risalito in superficie, pericolosamente vicino al suo collo.

Jason poggiò le sue labbra su quelle ragazzo. Un miscuglio di salato, ciliegia e desiderio lo travolse ma come sempre durò troppo poco.

«Potrebbero vederci» disse Noah esageratamente preoccupato.

Quel qualcosa, come lo definivano loro, era nato in un pomeriggio simile a quello e a tanti altri che erano passati e che - si sperava - sarebbero venuti.

Niente di eccessivamente serio, si erano detti la prima volta nella rimessa delle barche. Jason si era fermato ad aiutare l'amico a mettere a posto salvagenti e teli in microfibra. Nelle ultime settimane c'erano state troppe mani sfiorate e ginocchia urtate per essere una casualità. E così, accanto alle canoe ordinatamente appoggiate al muro, Jason si era fatto coraggio e l'aveva baciato. Dopo l'imbarazzo iniziale vevano concordato sul far rimanere la cosa privata: non tanto perché temevano le reazioni degli altri, piuttosto per evitare tutte le domande che sarebbero venute. Al contrario di Noah, l'orientamento sessuale di Jason era noto a chiunque lo conoscesse. Non aveva preferenze tra ragazzi e ragazze. Basta che parlino al mio cuore, e non solo, specificava lui con sorriso malizioso. Ma l'altro ragazzo non era ancora pronto ad ammettere il motivo delle proprie colpe con Alana, stava cercando le parole giuste e la relazione con Jason gli sembravauna via d'uscita troppo semplice.

«Mi dispiace interrompervi, ma Henry ci vuole al suo cospetto» li guardò Madison dalla passerella di legno.

I due sentirono il suo sguardo indagatore che li scrutava e si allontanarono repentinamente.

«Adesso usciamo» le rispose il fratello imbarazzato.

«Non c'è bisogno che fate finta di niente, avevo già capito tutto da un pezzo» disse lei con un sorrisino, arricciando una ciocca di capelli chiari fra le dita.

Jason la guardò incredulo. «Ma siamo stati discreti»

«Siamo gemelli, non puoi nascondere verità così ovvie»

Noah era paralizzato. Erano davvero stati così poco cauti? Poche persone erano a conoscenza della omosessualità del ragazzo, ed essere visto lo aveva fatto sentire esposto. Lo aveva fatto sentire il ragazzino che si addormentava tutte le sere piangendo.

Credevo di averla superata questa fase. Si chiese uscendo dall'acqua, arrabbiato con se stesso.

La ragazza si era incamminata diretta alle cabine. «Non dirò niente, se è questo che ti preoccupa, istruttore di nuoto» disse ora rivolta a Noah, «con me i vostri segreti sono al sicuro».

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