01 - Sarà una lunga estate

LA LUCE DEL SOLE FILTRAVA dalle persiane della camera da letto situata al secondo piano della casa della signorina Jess Wilkinson e donava una sfumatura dorata all'armadio facendolo sembrare il concorrente di un qualche talent show, illuminato dalle luci del palcoscenico, in procinto di esibirsi. L'armadio si trovava ai piedi del letto in cui dormiva Alana Mills che stava per svegliarsi scoprendo di aver dormito di nuovo più del solito. Si era trasferita, lì nello stato di Washington, ormai da quasi due settimane e ancora non era del tutto abituata al nuovo orario imposto dalla zia sull'inizio delle attività da svolgere durante la giornata.

Alana entrò in cucina strofinandosi gli occhi. Sorrise riconoscente a sua zia, Jess, che le aveva già preparato il cappuccino.

«Dormito bene?» domandò Jess.

«Benissimo, ho solo staccato la sveglia senza rendermene conto». In realtà non era riuscita ad addormentarsi prima delle tre, ma non c'era nessun motivo di far preoccupare la zia ammettendolo.

«Sono sicura che lunedì non avrai bisogno di nessuna sveglia, l'ansia ti farà aprire gli occhi al momento giusto» scherzò la zia girando il coltello nella piaga. Al solo pensiero ad Alana quasi non andò più neanche di fare colazione.

Lunedì ci sarebbe stata la grande riapertura del Raquette Lake Camp, il campo estivo di cui Jess Wilkinson era direttrice e in cui Alana avrebbe ricoperto il ruolo di insegnante del corso creativo.

«E non fare quella faccia! Quando eri più piccola non vedevi l'ora che arrivasse l'estate per venire qui»

«Zia, quando ero più piccola venivo qui come campeggiatrice, non avevo nessuna responsabilità. Ora sono dall'altro lato»

«Sì, sei passata al lato oscuro di coloro che svolgono lavoretti estivi», fece roteare gli occhi Jess. «E poi ti pago bene, respiri aria fresca, c'è dell'ottimo cibo: non hai di che lamentarti»

Il campo estivo era stato al centro dell'attenzione tutto l'ultimo periodo e il motivo delle ripetute litigate tra la ragazza e i suoi genitori.

"Alana, non puoi passare tutto il tempo a casa. Hai sedici anni dovresti uscire, farci arrabbiare perché rientri troppo tardi" le ripetevano preoccupati di continuo.

"Non credo sia una cosa che c'entri molto con l'età" rispondeva lei, stanca di quelle strigliate che subiva un mese si e l'altro pure, "è solo il mio carattere, e poi dovreste essere contenti che sono una ragazza responsabile".

L'aveva scampata altre volte, ma non quella. Non avrebbero permesso che passasse l'ennesima estate da sola, soprattutto adesso che sarebbero stati impegnati come ingegneri e per mesi nella costruzione di un nuovo centro commerciale. In realtà la ragazza non voleva degli amici: persone che, con molta probabilità, le avrebbero voltato le spalle alla prima occasione. L'amicizia era un sentimento nobile, certo, ma raro da trovare. Aveva assistito - e vissuto - a troppi colpi di fulmine seguiti da addii improvvisi per volersi barcamenare in qualcosa del genere e inoltre erano ben poche le persone che trovava realmente interessanti.

«Appena finisci di fare colazione vieni fuori che dobbiamo ultimare le cabine» le ricordò la zia mentre indossava l'ormai inseparabile cappello di paglia con un enorme nastro rosa che andava allacciato sotto al mento, in netto contrasto con i suoi capelli scuri. «Saranno tutti simpaticissimi, me lo sento » così dicendo uscì, lasciando Alana in cucina il cui volto era un misto di rabbia e preoccupazione.

Aveva lottato fino all'ultimo giorno ma alla fine aveva ceduto. Gli unici due aspetti positivi di tutta la vicenda erano il tempo che avrebbe trascorso con Jess, che vedeva troppo poco spesso, e il posto immerso nel verde. Se non altro lo stare in mezzo alla natura le avrebbe attenuato l'ansia che occupava ogni centimetro del suo corpo.

Quella sera sarebbero arrivati gli altri suoi colleghi istruttori e supervisori del campo. Era a causa loro che ad Alana era stata inflitta tale penitenza: un'intera estate in compagnia di coetanei avrebbe sicuramente dato la giusta spinta alla nascita di nuove amicizie, o almeno era ciò che credevano i suoi genitori.

Con un sospiro sconsolato inzuppava biscotti al cioccolato nel cappuccino oramai freddo pensando però al comodo letto al piano di sopra e a quanto le sarebbe mancato. Da lunedì avrebbe passato le sue notti estive nella cabina Wildflower dove avrebbe supervisionato cinque bambine di undici anni, che a giudicare dalla scheda di iscrizione non sembravano proprio degli angioletti.

"Fare sia la capo cabina che l'insegnante del corso creativo è un'opportunità per metterti in gioco" le aveva detto suo padre con un occhio sulla strada e uno rivolto al sedile del passeggero, durante il viaggio in auto fin lì, " sarà un bel cambiamento rispetto ai tuoi pomeriggi passati a leggere".

Si trovava al campo già da dieci giorni e aveva aiutato zia Jess con tutti i preparativi e l'organizzazione. Se non si soffermava sul motivo per cui si trovava lì, avrebbe potuto dire di starsi divertendo nei panni di ragazza di campagna. Conosceva ogni singola parte di quel posto. Nonostante fossero passati quattro anni dall'ultima sua volta in quei boschi, tutto era rimasto come lo ricordava. Da bambina aspettava l'estate con trepidazione, felice di allontanarsi da casa, di fare esperienze diverse, conoscere nuove persone. Ma adesso non si sentiva più così propositiva nei confronti della vita da un bel pezzo. Ah, cosa avrebbe dato per far sì che rimanesse tutto com'era. Tornare quella che era un tempo. Ma non lo era più e lunedì sarebbe stato un disastro, ne era sicura.

Per le sei del pomeriggio avevano finalmente ultimato tutto. Era stata una giornata calda persino per gli standard della zona e le zanzare non le avevano lasciate in pace neanche per un momento. Jess e Alana, soddisfatte ma sfinite, stavano distese sopra delle balle di fieno, troppo stanche persino per parlare. Il lago Spokame sul quale si affacciava il campeggio era come una tavola scintillante, le cicale cantavano incessantemente dalle fronde degli alberi, e il profumo di gelsomino rendeva tutto magico, carico di possibilità.

Alle venti erano finalmente arrivati tutti gli altri. Si erano sistemati nelle cabine, avevano fatto un veloce giro della struttura e ora si accingevano a partecipare alla annuale cena di benvenuto.
Alana si sentiva terribilmente in ansia al pensiero di incontrare così tante persone tutte in una volta e si disprezzava - ok, forse disprezzare non era l'aggettivo giusto ma rendeva l'idea - per questo. Non voleva fare bella figura con loro, che motivo ne aveva? Neanche li conosceva. Tuttavia non riusciva a tranquillizzarsi. Si guardò allo specchio per la centesima volta. I lunghi capelli lisci e neri, tratto distintivo della famiglia di sua madre, non avevano tenuto la piega mossa neanche per dieci minuti. Il jeans che aveva scelto le stringeva un po' troppo sui fianchi e a completare il quadro le era comparso un brufolo proprio in fronte. Inspirò e lasciò uscire l'aria lentamente. Un'ultima occhiata allo specchio - sperava forse che l'immagine riflessa cambiasse? - e scese in salotto.

Zia Jess si era proprio superata quella sera. Aveva ripulito la stanza da tutte le cianfrusaglie che erano spesso sparse in giro. Un jazz di sottofondo accompagnava le conversazioni dei nuovi arrivati. Candele accese erano posizionate sul bordo del camino creando un ambiente accogliente. Le fotografie di famiglia erano poste in bella mostra sul lungo mobile in legno che racchiudeva ogni tipo di liquore. La tavola, poi, era imbandita di ogni genere di prelibatezza: pollo arrosto con patate, verdure grigliate, involtini di pesce, diversi tipi di torte salate. Alana non aveva finito di contemplare quella visione celestiale che si accorse di qualcosa che mai si sarebbe aspettata lì, tanto distante da casa: incontrare qualcuno che conosceva.

Quella capigliatura biondo-venti-carati, come amava definirla il  possessore, spiccava tra un mare di teste nero e castano.

Noah stava chiacchierando amabilmente con due ragazze che pendevano letteralmente dalle sue labbra. Era distante, si disse Alana. Battere in ritirata non sarebbe stato poi così complicato. Certo, non avrebbe potuto evitarlo in eterno; non quando erano colleghi al campeggio, ma quello non era decisamente il momento e il modo giusto di confrontarlo.

Aveva quasi svoltato l'angolo, diretta al piano di sopra con un piatto pieno di tramezzini, quando lui voltò leggermente la testa e la vide. Gli occhi celesti di lui incontrarono i neri di lei.

Salutò con una scusa le due ragazze, che rifilarono un'occhiata tagliente ad Alana, e percorse velocemente lo spazio che li divideva.

«Alana? Ma sei realmente tu?» disse il ragazzo biondo oramai a qualche passo da lei con quel sorriso che ricordava ancora troppo bene.
«Ma cosa ci fai qui? Se sapevo ci saresti stata saremmo potuti venire insieme» le chiese lui in quel vortice di domande che sembrava solo all'inizio.

Come era possibile che le parlasse così dopo tutto ciò che era successo fra di loro?

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