2~ Full of thorns

«Full of thorns
I bind myself in this sand castle»

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Il giovane non fuggì mai.
Si rinchiuse nella sua torre e visse lì senza incontrare mai più nessuno.

Si ritrovò a convivere con sé stesso, con i suoi pensieri e le sue paure, e più passava il tempo più queste crescevano.

Smise di parlare, smise di sognare, a volte pensò di smettere perfino di vivere.

L'unica cosa per cui continuava a sopravvivere, a cui si dedicava con devozione, era il suo giardino.

Sua madre, quando era in vita, aveva amato i fiori, e ora lui se ne prendeva cura.
Erano gli unici essere viventi che non si ritraevano alla sua vista, gli unici essere viventi in grado di vederlo senza maschera, e accettarlo così com'era.

Amava quei fiori con la stessa intensità con cui odiava sé stesso.

Erano la sua unica gioia, la sua unica speranza e la sua unica possibilità: adorava il loro modo di esistere, la loro fragile bellezza, il loro profumo.

Nel suo castello di spine e di memorie dolorose, loro erano l'unico colore, l'unico calore, l'unica presenza che gli ricordava la realtà: non stava sognando, non era intrappolato in un qualche incubo senza via d'uscita, quella era la sua vita, per quanto orribile fosse.
E in qualche modo quel pensiero gli impediva di impazzire.

Un giorno, il sole che splendeva più del solito, il giovane si trovava immerso nel suo giardino, quando una farfalla colorata gli svolazzò davanti.

La scacciò di riflesso con un cenno della mano, ma la farfalla non cadde: continuò a svolazzare lontano da lui, scendendo dolcemente fino ai suoi fiori e poggiandovisi delicatamente sopra.

Lo stelo del fiore si piegò sotto quel peso, ma sostenne la farfalla: entrambi gli esseri erano quieti, colorati. Bellissimi.

Il giovane li invidiò per qualche istante.
In seguito si inginocchiò per osservare più da vicino: le cose belle meritavano di essere guardate e apprezzate, era dalle brutte che bisognava ritrarsi.
O almeno, questo era ciò che gli aveva insegnato la vita.

Quella farfalla variopinta gli ricordava com'era stato da piccolo: un bellissimo bambino tristemente chiuso nella sua campana di cristallo.
Splendido, ma solo.

Ringhiò tra sé, scacciando quei pensieri tristi e infuriandosi con sé stesso per averli avuti.
Non poteva vivere di rimpianti, o non avrebbe vissuto affatto.
L'unica cosa che poteva fare era accudire i suoi fiori, senza pensare a niente, e soprattutto a nessuno, nemmeno e specialmente a sé stesso.

Non aveva abbastanza forza, abbastanza coraggio, e nemmeno abbastanza volontà, per affrontarsi.

Non era degno dei suoi stessi pensieri, né tantomeno era degno di affetto.
Ecco ciò in cui credeva.
Poteva solo occuparsi dei suoi fiori.

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