Prologo
Innanzitutto, benvenuti!
Vi ringraziamo immensamente per essere passati di qui e speriamo che non ve ne pentirete. È la prima volta che ci cimentiamo nella scrittura di una storia a quattro mani e speriamo che il nostro lavoro possa piacervi e entrarvi sotto la pelle. Detto questo,
Buona lettura!
Tra le cose che odiavo di più c'erano: il rossetto sui denti, lo smalto sbeccato, la cellulite e Juliette Gordon. Quella ragazza avrebbe fatto meglio a mettersi da parte e smetterla di provarci con Brad. Lui era il mio Brad e le unghie smaltate di quella poveraccia potevano andare ad arpionare qualcun altro. Tutti tranne il campione numero uno della scuola: Brad Cooper, il capitano della squadra di basket, la stella del liceo e, secondo il parere della popolazione femminile della scuola, futuro modello di Calvin Klein.
Così, quella mattina, scesi dall’auto di mia madre con la luna storta e con lo sguardo furioso.
Ebbene sì, avevo avvistato Juliette nei paraggi del mio uomo ed ero andata su tutte le furie. Le avrei strappato tutti i capelli e avrei dato fuoco alla sua divisa.
Quando sbattei lo sportello alle mie spalle Carla, la mia amica spagnola tutta curve e con una pericolosa inclinazione all'illegalità, mi raggiunse di corsa. Stringeva tra le braccia un plico di fogli ed aveva alcuni capelli fuori posto.
«Buongiorno Dalilah!» cinguettò sorridente.
Si permetteva addirittura di essere felice quando un'ochetta da quattro soldi ci stava provando con il mio principe azzurro!
Quindi le lanciai un'occhiataccia e la superai con uno sbuffo.
Suvvia, dovevo molto a quella ragazza, ma avrebbe fatto meglio a svegliarsi, o l'avrei uccisa ancora prima dei suoi 19 anni.
«Carla — sospirai — perché c'è Juliette accanto a Brad? Perché non sei lì a tenerla d'occhio?»
Dovevo fare tutto io in quella dannata scuola! Nessuno che capisse i miei problemi e mi aiutasse!
La mia amica si affrettò per raggiungermi e mantenne il suo sorriso da stupida stampato in faccia.
La vidi salutare qualcuno, per poi rispondere alla mia domanda.
«Beh, c'è già Yvonne a farle la guardia. Le ho chiesto di tenerla d'occhio al posto mio e lei ha accettato senza fare storie.»
Mh… Potevo anche accettare quella scusa.
Yvonne Black era una novellina, era ancora una matricola ma aveva del potenziale. Tuttavia aveva ancora bisogno di un training adatto e chi, se non me, poteva occuparsene?!
Quella ragazzina mi sarebbe tornata utile, però non potevo lasciare un compito così prezioso ad una inesperta come lei.
Brad era la mia missione numero uno, e non avevo alcuna intenzione di cederlo a quella stupida di Juliette!
Sarei andata io stessa a controllare la situazione.
La prima campanella suonò e io, invece di dirigermi verso la scuola, svoltai subito a sinistra e mi incamminai verso il giardino sul retro.
Quei due erano lì. Li avevo visti!
Lasciai che Carla si lamentasse del mio passo troppo spedito e continuai la mia marcia verso il trono.
In quella scuola Brad era il re e io la sua regina. Juliette era solo l'ultima arrivata, trasferitasi da poco e con l'aria da santarellina stampata in faccia!
Ma chi si credeva di essere? Che se ne tornasse in Francia!
«Dalilah, così entreremo in ritardo!» mi avvertí Carla, affannandosi dietro di me e provando a tenere quei fogli al loro posto.
Quella ragazza non aveva il senso delle priorità, dannazione.
Arrivammo che il mio principe azzurro stava ridendo di una qualche battuta di cattivo gusto di Juliette. La poverina era vestita con una felpa indecente di qualche misura più grande e dei leggins neri inguardabili.
Il solito stile da scappata di casa, visto e rivisto da anni, ormai.
Così forzai un sorriso e mi avvicinai ai due sospetti, sentendo il fiatone di Carla ancora alle mie spalle.
Tappezzai il territorio con lo sguardo. Molti studenti incrociarono il mio sguardo e percepirono subito l'aria di tempesta.
Le loro espressioni impaurite si fissarono su Juliette e Brad e alcuni sussurri si innalzarono qui e lì.
La mia vittima teneva una tazza di Starbucks tra le mani, la stava usando per riscaldarsi le dita e continuava a sfregare i palmi contro il cartone colorato del bicchiere.
Stava ingurgitando calorie liquide, in pratica.
Forzai un sorriso e mi avvicinai sempre di più.
Yvonne era accucciata in un angolo del cortile, appena mi vide si fece tre volte più piccola e capì che la sua ora sarebbe giunta di lì a poco. Prima dovevo occuparmi di quella mangia-baguette troppo espansiva per i miei gusti.
«Mh… sento odore di fallimento!» esordii, attaccandomi al braccio di Brad. Poi mi voltai verso Juliette e simulai la sorpresa nei miei occhi.
«Ah, c'è la francese, ecco perché!»
I due ragazzi mi guardarono stupiti. Non si aspettavano di vedermi lì.
«Vengo da Bradfield. Sono inglese, non francese»
Assunsi un'espressione impietosita, sporgendo leggermente il labbro inferiore.
«Quindi, oltre ad avere un nome orribile, hai anche il brutto vizio di parlare anche se non interpellata»
Mi godetti la sua faccia irritata e aspettai la sua risposta. Le conveniva non giocare con il fuoco o si sarebbe scottata gravemente.
«Ma tu chi saresti?» chiese poi.
La guardai di sottecchi. Non solo si avvinghiava a Brad come una malattia, ma aveva anche il coraggio di dire che non sapeva chi fossi, nonostante frequentassi il suo stesso corso!
«Una persona che non vorresti conoscere. Adesso, se non ti dispiace, io e Brad dobbiamo andare in classe» le feci uno dei miei più grandi sorrisi falsi e afferrai il mio uomo per un braccio, trascinandolo via da quell’oca da quattro soldi.
«Si può sapere che ti è preso?» domandò Brad, probabilmente ancora scosso dalla scenata che avevo appena fatto. Ma cos’altro avrei potuto fare? Non avrei mai abbandonato l’uomo dei miei sogni nelle mani di quella sciacquetta.
Per fortuna arrivammo davanti alla classe e per la prima volta fui la persona più felice del mondo nel vedere la professoressa di italiano seduta al suo posto, dietro la scrivania, con lo sguardo severo puntato su di noi.
«Siete in ritardo, tutti e tre!» la francese ci aveva seguiti ed era entrata subito dopo di noi.
«È la quarta volta per te questa settimana, Thompson. Alla prossima filerai dritta in presidenza.»
Minimizzai il tutto con un gesto della mano ed andai a prendere il mio posto. Carla era già nel suo banco e mi guardava con curiosità.
«Cosa è successo?» mi domandò non appena mi sedetti accanto a lei.
«Niente di particolare. Ho solo salvato la mia dignità allontanando quell'obbrobrio dalla mia ragione di vita. Spero che abbia recepito il messaggio» le spiegai, continuando a lanciare occhiatacce a quella ragazzina insolente.
«Capisco» rispose, poi posò la penna sul quaderno e cominciò a prendere appunti.
Dubito fortemente che tu abbia capito...
Le prime due ore trascorsero tra sbadigli, occhiate assassine e stiracchiamenti. La terza ora, quella di goniometria, era sicuramente la più pesante della giornata e, onde evitare di addormentarci, io e Carla, cercammo di comunicare a bassa voce, senza attirare l'attenzione della professoressa seduta dall'altro lato dell'aula.
«Pensavo che potremmo andare al centro commerciale questo pomeriggio, dopo scuola» propose. Perché no? Distrarmi un po’ da quella ormai monotona routine non sarebbe stato un male.
«Thompson e Rodriguez! Silenzio!»
«Sì, scusi» disse Carla, afferrando un pezzetto di carta e una matita.
Allora?, scrisse su di esso.
Presi la matita dalle sue dita.
Va bene, dopo scuola andiamo direttamente lì.
Al termine delle lezioni ci precipitammo all’esterno e ci lanciammo in un taxi, mentre Juliette imprecava dietro di noi. Sicuramente aveva bisogno anche lei di un passaggio.
Sorry, mangia-baguette. Due a zero per me.
Una volta arrivati alla nostra meta, cominciammo a girare per i negozi, comprando quasi più di quanto i nostri portafogli potessero permettersi. Molto presto il sole cominciò a tramontare e, su comune accordo, decidemmo di tornare ognuno a casa propria.
Fuori dall’edificio non c’era nemmeno l’ombra di un dannato taxi e così, con le mani piene di buste e pacchetti, ci avviammo a piedi.
Circa a metà strada, il nostro destino si incrociò con quello di una povera vecchietta che aveva uno stand di piccoli gioielli e amuleti, probabilmente una di quelle zingarelle da quattro soldi che si spacciavano per veggenti, attirando solo cani randagi, donne disperate e pidocchi.
La mia attenzione fu catturata da un amuleto dorato posato su quella piccola bancarella. Aveva la forma di una piccola clessidra e, da quella distanza, sembrava anche riempito con della polverina beige, probabilmente sabbia.
«Pensi quello che penso io?» domandò Carla.
«Tu cosa stai pensando?»
«Di rubare quell’amuleto, quello a forma di clessidra.»
A quanto pareva, quell’oggetto aveva inevitabilmente attratto anche lei.
«Sì. Distrai la vecchietta, ci penso io a prenderlo» esclamai, mettendo distanza tra noi.
Quando Carla si fermò a parlare con quella signora, io mi avvicinai allo stand e, senza farmi notare, feci scivolare il nostro obiettivo nella borsa. Poi mi allontanai e mi diressi verso il marciapiede opposto, aspettando che la mia amica mi raggiungesse.
Era stata proprio lei, Carla, ad insegnarmi la dolce arte del rubare senza lasciare tracce. Lei era un mito del mestiere, un esempio da seguire assolutamente.
Una delle sue poche qualità. Poverina.
«Lo hai preso?» chiese.
«Sì, ma l’ho rubato io, per cui me lo tengo.»
Il suo viso fu attraversato da un’espressione insoddisfatta, che non commentai.
Tornata a casa e, ormai stremata dalla giornata trascorsa, mi diedi una sciacquata veloce, posai l’amuleto sul comodino accanto al letto e mi catapultai sotto le coperte, cadendo presto tra le braccia di Morfeo.
Angolo autrici
Ma ciao a tutti, piccoli pistacchini. Io e Jen siamo qui per ringraziarvi di essere passati a leggere il prologo di questa nostra nuova storia a quattro mani. È la prima volta che entrambe ci cimentiamo in un'esperienza del genere e speriamo di riuscirci al meglio (tempo e impegni permettendo). Non sappiamo quanto frequentemente aggiorneremo (anche se speriamo spesso), ma possiamo assicurarvi che l'attesa varrà la lettura.
Ci si risente presto!
Jen & Dina
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